1118_CONTRATTO PER UCCIDERE (The Killers). Stati Uniti 1964; Regia di Don Siegel.
Charlie Strom (interpretato da Lee Marvin) vuole vederci chiaro: perché l’ultimo suo contratto (John Cassavetes nei panni di Johnny North) si è lasciato uccidere senza scappare? E’ da questo punto che nel film Contratto per uccidere si sviluppa l’indagine – a scopo criminale, ben inteso – di Strom e del suo socio Lee (Clu Gulager), due killers che decidono di scoprire il perché dello strano comportamento della loro ultima vittima. In ballo c’è un bottino da un milione di dollari e quindi ne vale la pena, sostiene giustamente Strom mentre ne discute col suo giovane socio, che invece vorrebbe accontentarsi della parcella e considerare chiuso l’affare. Vale la pena di approfondire la scelta di utilizzare il termine ‘giustamente’: è evidente che di giusto, facendo riferimento alla giustizia, all’etica o alla morale, non c’è niente, nelle motivazioni di Strom ma in questo caso il termine va inteso come adeguato, adatto, giusto, insomma. Ma allora perché utilizzare qui un termine in modo in qualche modo poco appropriato? Per sottolineare come le coordinate etiche e morali nel film sono svuotate del loro significato originale e quindi vengono meno al loro ruolo. Don Siegel, regista di questo splendido Contratto per uccidere, ignora completamente il quadro morale, infrastruttura narrativa alla base del cinema classico, perfino in quello di film di genere come noir o polizieschi. Pellicole in cui, più che altrove, valevano le parole del maestro Fritz Lang quando diceva che c’erano solo due categorie di persone, cattivi e molto cattivi ma, per convenzione, venivano chiamati buoni i cattivi e cattivi i molto cattivi. Siegel ignora perfino quella convenzione.
Perché Contratto per uccidere è popolato da ben poche figure anche solo genericamente oneste, forse solo il meccanico (Claude Atkins) sembra una persona tutto sommato a modo, ma è un personaggio marginale. Johnny è scorretto, si veda la scena della gara automobilistica per capirne l’animo; gli altri sono praticamente tutti criminali. Tra cui una meravigliosa Angie Dickinson presta le grazie a Sheila Farr, una femme fatale perfida e indimenticabile; Ronald Reagan è invece Jack Browning, ovvero il boss della gang: il futuro presidente americano è particolarmente adatto al ruolo e al tema del film nella sua unica e falsa espressione interlocutoria. La traccia dominante nel racconto è il cercare, come si diceva all’inizio, di vederci chiaro: cosa difficile da farsi nell’America mostrata da Siegel, tra occhiali scuri indossati dai killers, istituti per non vedenti, malattie agli occhi, donne tanto belle quanto ingannatrici e spietati criminali dalla faccia abbronzata e ipocrita. Ma la sorpresa finale è che non c’è alcun mistero, non c’è niente di rilevante da svelare: North si è lasciato ammazzare perché era già morto, ucciso, metaforicamente, dagli atroci inganni di Sheila.
La polizia, l’unica vera figura legale presente nel film, arriva solo nel finale ma, prima che la pattuglia possa intervenire, anche l’ultimo sopravvissuto dell’intrigo muore per i colpi ricevuti. Quindi tutto il film, che in effetti basa il suo racconto su una serie di flashback, è in ritardo: sono in ritardo i killers, che uccidono un uomo già morto, ed è in ritardo la polizia, che arriva a cose già risolte. E dire che il protagonista è uno che va veloce in macchina e che entra nel giro losco proprio per la capacità di arrivare per tempo nell’agguato al furgone postale. E’ quindi forse un monito, questo Contratto per uccidere? Si cerca di capire ma quello che si scopre è che il momento topico è già passato, e se anche proviamo a fare in fretta, la ricerca della velocità, l’essere sbrigativi e brutali non evita il sostanziale ritardo. E la violenza fisica gratuita dei killers, spesso sopra le righe (i pugni in faccia alla Dickinson o la bestiale aggressione all’impiegata non vedente) aumenta la sensazione di vuoto tipico di un appuntamento mancato che il racconto ci lascia: un delitto inutile, ormai in ritardo. Viene ucciso un uomo che non vuole i soldi e nemmeno la donna dell’altro e, ai moderni sicari, non resta che spargere morte e violenza senza un reale motivo e, soprattutto, senza nemmeno più quella sorta di senso romantico che, ai bei tempi andati, gli si poteva concedere. Un’involontaria metafora significativa ce la offre l’attore Ronald Reagan: al tempo pare si pentì di aver partecipato a questo film, interpretando un cattivo – contrariamente al suo solito – e nel quale, per di più, prendeva a schiaffi Sheila, una donna, la sua donna. Reagan si accingeva ad entrare in politica e quello di Jack Browing, il suo ultimo ruolo nel cinema, non sembrava affatto il miglior biglietto da visita possibile.
Ma, lo si è detto, l’America era un paese di ciechi.
Angie Dickinson
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