342_SANDOKAN Italia, Francia, Germania Ovest, Regno Unito 1976. Regia di Sergio Sollima.
La produzione RAI Sandokan
fu un’eccellente combinazione di molteplici fattori che risultarono concordi
nel contribuire al notevole risultato finale. E bisogna stare attenti all’uso
delle parole per descrivere quello che accadde perché, ad esempio, il termine combinazione può indurre a pensare al
caso e quindi alla sorte, ma in questa situazione è importante dare merito al
merito senza scomodare madama fortuna.
Innanzitutto il format: uscito
successivamente anche al cinema suddiviso in due parti, in versione un poco
ridotta, Sandokan è ben più di un
tipico sceneggiato dell’epoca, e
qualcosa di diverso anche da una serie TV. In effetti nasce come trasposizione
dai lavori letterari di Emilio Salgari, nello specifico alcuni libri del suo
ciclo de I Pirati della Malesia, un’opera di notevole respiro narrativo che
conferisce alla produzione televisiva una profondità strutturale già più complessa
del solito. Senza troppi preamboli, ma con la giusta capacità di ambientare il
racconto, ci troviamo presto in un mondo, quello coloniale di metà Ottocento
nell’Asia più misteriosa, di cui si capiscono tutto sommato rapidamente le
coordinate narrative. Niente di particolarmente complesso, per la verità: ma va
dato il giusto merito a Sergio Sollima, il regista del film, di padroneggiare
bene la materia. Ottimo autore, era già noto per la sua propensione ad
approfondire gli argomenti trattati: agli esordi si dedicò ai film di
spionaggio (tre, di cui due con lo stesso protagonista, l’Agente segreto 3S3),
in seguito al western all’italiana (la sua trilogia
politica), e al thriller (altri 3 film, meno coerenti tra loro rispetto ai
precedenti cicli).
Con Sandokan Sollima ha a disposizione 360
minuti per sviluppare a dovere il tema, sebbene anche questo lavoro avrà due
episodi in qualche modo collegati (Il
Corsaro Nero, sempre da Salgari e con gli stessi protagonisti di Sandokan, e il seguito vero e proprio, La tigre è ancora viva! Sandokan alla
riscossa). Ma Sandokan, il
maestoso sceneggiato RAI trasmesso in sei episodi, è un’opera ampiamente
soddisfacente già di suo, anche senza collocarla nella trilogia salgariana dell’autore. Il regista si è ormai fatto le
ossa sulla narrativa cinematografica di
genere, in modo particolarmente efficace con i citati spaghetti-western; il far west è un’epopea semplice, un po’ come
quella coloniale britannica in Asia, e Sollima è autore che è in grado di
immergere la vicenda di pura avventura, in uno sguardo politico appassionato.
Qui i pirati sono mostrati con le loro ragioni di fondo, ma anche con la loro
crudezza, mentre i britannici con il loro interessi e una ostentata crudeltà a
tratti anche maggiore rispetto ai rivali. Il tema della storia d’amore tra
Sandokan (uno straordinario e memorabile Kabir Bedi) e Marianna (una dolcissima
Carole André) è sfruttato in modo eccellente da Sollima.
Oltre a gettare una
luce sentimentale su tutta quanta la storia, (al punto che il genere del film potrebbe essere inteso
come d’avventure, al plurale: sia
d’armi che di cuore) il regista lo utilizza in chiave politica. La presenza di Marianna a Mompracem è prima una scusa per
dedicare una sorta di documentario sugli usi e costumi dei locali, e quindi al
concetto di prestare attenzione all’altro;
poi nella partecipazione della stessa ragazza inglese ai balli locali, diviene un
manifesto all’integrazione in chiave atipica, ovvero da parte del colonizzatore
verso il colonizzato. Il clima che di lì in poi si respirerà a Mompracem
(almeno fino allo sviluppo narrativo successivo), di grande felicità e
spensieratezza, è attribuito alla presenza della Perla di Labuan sull’isola, e sta a significare di come il connubio
tra culture diverse può portare benefici in senso generale. La funzionalità
degli attori e la loro professionalità è tradizione degli sceneggiati RAI e se
Aldolfo Celi (davvero strepitoso nella parte di Brooke, il cattivo) e in parte minore anche Andrea Giordana (un efficace
Fitzgerald, il militare britannico pretendente di Marianna), rispettano appieno
le attese, il cast ci riserva autentiche sorprese. Detto di Kabir Bedi
(all’incredibile esordio internazionale), e di Carole Andrè (forse un po’
acerba ma comunque funzionale), l’interprete chiamato per il terzo elemento
maschile, la spalla dell’eroe, in questo caso è in grado di rubare la scena ai
due antagonisti principali: Philippe Leroy è infatti uno straordinario Yanez De
Gomera, un personaggio sicuramente riuscito tanto quanto Sandokan e Brooke.
Sfruttando la ricca fonte di spunti di Salgari, Sollima è preciso nel
tratteggiare anche i personaggi di contorno: si pensi a Tremal-Naik (Ganesh
Kumar) modificato dal regista per differenziarlo da Sandokan, oppure a Lucy
Mallory (Milla Sannoner), seconda figura femminile della storia, e utilizzata
per mettere un po’ di dialettica ficcante, tipica del gentil sesso, visto che
Marianna è piuttosto parca in quel senso. Per adattare la storia, Sollima e gli
sceneggiatori, scandiscono le vicende seguendo la successione dei sei episodi
televisivi, prendendosi il tempo necessario anche per gli approfondimenti dei
caratteri dei personaggi o delle ambientazioni. E’ un pregio non da poco
perché, se la visione perde un po’ in scorrevolezza, ne guadagna nella
profondità dello sguardo e nell’ariosità complessiva.
Lo scenario illustrato da
Sollima non è del tutto alieno allo spettatore italiano (o più genericamente
occidentale) perché le storie di pirati si conoscono, ma quanti sono i dettagli
storici (la colonizzazione britannica), geografici (le isole dell’Asia
nell’area indiana), naturalistici (gli animali), culturali (usi e costumi
sull’isola), tecnici (chi conosceva il praho,
la barca tipica malese?) profusi nell’opera? C’è un intero mondo da far
scoprire e Sollima vi si dedica con ottima applicazione. Del resto la
produzione di Sandokan è degna di un
kolossal hollywoodiano: due anni di preparazione, otto mesi di riprese in loco,
tra la Thailandia ,
la Malaysia
e l’India. La credibilità dell’ambientazione è così assicurata, mentre qualche
perplessità viene osservando le scene del combattimento con la tigre.
Pur se
comprensibilmente complicate da rendere, l’ausilio degli effetti speciali aiuta
ad ottenere un risultato certamente buono ma non eccellente, del resto legato
alle capacità tecniche del tempo (di primo livello, per altro: gli stessi
tecnici del Superman di Richard
Donner). Tuttavia, al di là di qualche scorcio visivo un po’ artificioso, le
scene dei combattimenti col felino, in particolar modo quello aereo del salto
incrociato, sono di grande effetto evocativo ed ebbero una forte presa sugli
spettatori del tempo. Che furono la maggioranza degli utenti televisivi
italiani, essendo lo sceneggiato un successo di grandissime proporzioni; va
precisato che il pubblico che si entusiasmò fu perlopiù composto da
giovanissimi. E qui vanno fatti ancora complimenti a Sergio Sollima, davvero
magistrale nel dosare le componenti narrative in gioco.
Forte dell’esperienza
personale e nazionale del cinema di
genere, come si è detto in primis con gli spaghetti-western, il regista fornisce una prova che sul piano dell’avventura
pura e del carisma dei suoi personaggi è di prim’ordine; ma il suo narrare,
essendo il prodotto televisivo accessibile ad una platea tanto vasta e composta
prevedibilmente anche da bambini, è mondato dagli eccessi volgari o scabrosi
tipici di quel nostro cinema. Incurante della tipica insofferenza del giovane pubblico
abituale dei film avventurosi delle sale cinematografiche parrocchiali del
periodo, Sollima incendia la storia con una passionale storia d’amore,
riuscendo a rendere più universale il suo testo. C’è anche una grande
attenzione nel dare spessore ai cattivi: Brooke, che giova della straordinaria
verve recitativa di Celi, è un personaggio sfaccettato, complesso, con slanci
comportamentali forse non di positività in senso stretto, ma comunque
articolati e certamente non banali. E Sandokan e i suoi mitici tigrotti (Ragno
di Mare, Sambigliong, Giro Batol e gli altri), sono leali e certamente
apprezzabili, ma duri e spietati nelle battaglie o decisi a mettere a morte
Brooke una volta che l’hanno catturato. Questi aspetti furono certamente forti, soprattutto se si pensa che
erano destinati in prima serata sulla
rete televisiva nazionale negli anni settanta, e la lungimiranza di Sollima fu
proprio di aver eliminato ogni possibile contestazione di natura secondaria
(volgarità gratuite, scene di sesso) per poter far accettare il cuore di una
storia che doveva necessariamente essere così cruda per evocare il tono
drammatico della vicenda e del contesto storico.
Il finale, tragico, la morte
di Marianna, lo sconforto di Sandokan, lasciano forse l’amaro in bocca
momentaneo allo spettatore, ma conferiscono al racconto un tono adulto e
maturo. Dal punto di vista della confezione, niente da eccepire alla qualità
generica delle riprese, non certo a livello delle migliori produzioni
cinematografiche ma comunque più che dignitosa, anche considerando la matrice
televisiva. Un aspetto fondamentale, nel successo dello sceneggiato, fu la
musica: di grandissimo impatto la sigla iniziale (che suona su immagini stilizzate
che richiamano fortemente quelle usate spessissimo negli spaghetti-western), come anche quella conclusiva, con un testo
efficace che rimase (e rimane) facilmente in testa agli spettatori. Bellissima,
benché meno orecchiabile ma musicalmente eccellente, Caccia alla tigre, la traccia strumentale che accompagna l’inizio
del terzo episodio, con le fasi di ricerca nella giungla al grosso felino.
Insomma, Sandokan fu un grande
successo perché nessuno dei suoi molteplici aspetti fu trascurato, e Sollima fu
bravo a calibrare ogni elemento nel modo giusto. E va dato anche merito che,
oltre all’aspetto spettacolare e di intrattenimento, il regista riuscì a
interpretare in modo corretto la matrice educativa
che la televisione di stato in un paese come l’Italia aveva sempre avuto.
Questo mantenendo anche una credibilità narrativa per nulla edulcorata:
insomma, un capolavoro.
Milla Sannoner
Carole André
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