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venerdì 3 maggio 2019

SANDOKAN

342_SANDOKAN Italia, Francia, Germania Ovest, Regno Unito 1976. Regia di Sergio Sollima.

La produzione RAI Sandokan fu un’eccellente combinazione di molteplici fattori che risultarono concordi nel contribuire al notevole risultato finale. E bisogna stare attenti all’uso delle parole per descrivere quello che accadde perché, ad esempio, il termine combinazione può indurre a pensare al caso e quindi alla sorte, ma in questa situazione è importante dare merito al merito senza scomodare madama fortuna. Innanzitutto il format: uscito successivamente anche al cinema suddiviso in due parti, in versione un poco ridotta, Sandokan è ben più di un tipico sceneggiato dell’epoca, e qualcosa di diverso anche da una serie TV. In effetti nasce come trasposizione dai lavori letterari di Emilio Salgari, nello specifico alcuni libri del suo ciclo de I Pirati della Malesia, un’opera di notevole respiro narrativo che conferisce alla produzione televisiva una profondità strutturale già più complessa del solito. Senza troppi preamboli, ma con la giusta capacità di ambientare il racconto, ci troviamo presto in un mondo, quello coloniale di metà Ottocento nell’Asia più misteriosa, di cui si capiscono tutto sommato rapidamente le coordinate narrative. Niente di particolarmente complesso, per la verità: ma va dato il giusto merito a Sergio Sollima, il regista del film, di padroneggiare bene la materia. Ottimo autore, era già noto per la sua propensione ad approfondire gli argomenti trattati: agli esordi si dedicò ai film di spionaggio (tre, di cui due con lo stesso protagonista, l’Agente segreto 3S3), in seguito al western all’italiana (la sua trilogia politica), e al thriller (altri 3 film, meno coerenti tra loro rispetto ai precedenti cicli). 
Con Sandokan Sollima ha a disposizione 360 minuti per sviluppare a dovere il tema, sebbene anche questo lavoro avrà due episodi in qualche modo collegati (Il Corsaro Nero, sempre da Salgari e con gli stessi protagonisti di Sandokan, e il seguito vero e proprio, La tigre è ancora viva! Sandokan alla riscossa). Ma Sandokan, il maestoso sceneggiato RAI trasmesso in sei episodi, è un’opera ampiamente soddisfacente già di suo, anche senza collocarla nella trilogia salgariana dell’autore. Il regista si è ormai fatto le ossa sulla narrativa cinematografica di genere, in modo particolarmente efficace con i citati spaghetti-western; il far west è un’epopea semplice, un po’ come quella coloniale britannica in Asia, e Sollima è autore che è in grado di immergere la vicenda di pura avventura, in uno sguardo politico appassionato. Qui i pirati sono mostrati con le loro ragioni di fondo, ma anche con la loro crudezza, mentre i britannici con il loro interessi e una ostentata crudeltà a tratti anche maggiore rispetto ai rivali. Il tema della storia d’amore tra Sandokan (uno straordinario e memorabile Kabir Bedi) e Marianna (una dolcissima Carole André) è sfruttato in modo eccellente da Sollima. 

Oltre a gettare una luce sentimentale su tutta quanta la storia, (al punto che il genere del film potrebbe essere inteso come d’avventure, al plurale: sia d’armi che di cuore) il regista lo utilizza in chiave politica. La presenza di Marianna a Mompracem è prima una scusa per dedicare una sorta di documentario sugli usi e costumi dei locali, e quindi al concetto di prestare attenzione all’altro; poi nella partecipazione della stessa ragazza inglese ai balli locali, diviene un manifesto all’integrazione in chiave atipica, ovvero da parte del colonizzatore verso il colonizzato. Il clima che di lì in poi si respirerà a Mompracem (almeno fino allo sviluppo narrativo successivo), di grande felicità e spensieratezza, è attribuito alla presenza della Perla di Labuan sull’isola, e sta a significare di come il connubio tra culture diverse può portare benefici in senso generale. La funzionalità degli attori e la loro professionalità è tradizione degli sceneggiati RAI e se Aldolfo Celi (davvero strepitoso nella parte di Brooke, il cattivo) e in parte minore anche Andrea Giordana (un efficace Fitzgerald, il militare britannico pretendente di Marianna), rispettano appieno le attese, il cast ci riserva autentiche sorprese. Detto di Kabir Bedi (all’incredibile esordio internazionale), e di Carole Andrè (forse un po’ acerba ma comunque funzionale), l’interprete chiamato per il terzo elemento maschile, la spalla dell’eroe, in questo caso è in grado di rubare la scena ai due antagonisti principali: Philippe Leroy è infatti uno straordinario Yanez De Gomera, un personaggio sicuramente riuscito tanto quanto Sandokan e Brooke. 

Sfruttando la ricca fonte di spunti di Salgari, Sollima è preciso nel tratteggiare anche i personaggi di contorno: si pensi a Tremal-Naik (Ganesh Kumar) modificato dal regista per differenziarlo da Sandokan, oppure a Lucy Mallory (Milla Sannoner), seconda figura femminile della storia, e utilizzata per mettere un po’ di dialettica ficcante, tipica del gentil sesso, visto che Marianna è piuttosto parca in quel senso. Per adattare la storia, Sollima e gli sceneggiatori, scandiscono le vicende seguendo la successione dei sei episodi televisivi, prendendosi il tempo necessario anche per gli approfondimenti dei caratteri dei personaggi o delle ambientazioni. E’ un pregio non da poco perché, se la visione perde un po’ in scorrevolezza, ne guadagna nella profondità dello sguardo e nell’ariosità complessiva. 

Lo scenario illustrato da Sollima non è del tutto alieno allo spettatore italiano (o più genericamente occidentale) perché le storie di pirati si conoscono, ma quanti sono i dettagli storici (la colonizzazione britannica), geografici (le isole dell’Asia nell’area indiana), naturalistici (gli animali), culturali (usi e costumi sull’isola), tecnici (chi conosceva il praho, la barca tipica malese?) profusi nell’opera? C’è un intero mondo da far scoprire e Sollima vi si dedica con ottima applicazione. Del resto la produzione di Sandokan è degna di un kolossal hollywoodiano: due anni di preparazione, otto mesi di riprese in loco, tra la Thailandia, la Malaysia e l’India. La credibilità dell’ambientazione è così assicurata, mentre qualche perplessità viene osservando le scene del combattimento con la tigre. 
Pur se comprensibilmente complicate da rendere, l’ausilio degli effetti speciali aiuta ad ottenere un risultato certamente buono ma non eccellente, del resto legato alle capacità tecniche del tempo (di primo livello, per altro: gli stessi tecnici del Superman di Richard Donner). Tuttavia, al di là di qualche scorcio visivo un po’ artificioso, le scene dei combattimenti col felino, in particolar modo quello aereo del salto incrociato, sono di grande effetto evocativo ed ebbero una forte presa sugli spettatori del tempo. Che furono la maggioranza degli utenti televisivi italiani, essendo lo sceneggiato un successo di grandissime proporzioni; va precisato che il pubblico che si entusiasmò fu perlopiù composto da giovanissimi. E qui vanno fatti ancora complimenti a Sergio Sollima, davvero magistrale nel dosare le componenti narrative in gioco. 

Forte dell’esperienza personale e nazionale del cinema di genere, come si è detto in primis con gli spaghetti-western, il regista fornisce una prova che sul piano dell’avventura pura e del carisma dei suoi personaggi è di prim’ordine; ma il suo narrare, essendo il prodotto televisivo accessibile ad una platea tanto vasta e composta prevedibilmente anche da bambini, è mondato dagli eccessi volgari o scabrosi tipici di quel nostro cinema. Incurante della tipica insofferenza del giovane pubblico abituale dei film avventurosi delle sale cinematografiche parrocchiali del periodo, Sollima incendia la storia con una passionale storia d’amore, riuscendo a rendere più universale il suo testo. C’è anche una grande attenzione nel dare spessore ai cattivi: Brooke, che giova della straordinaria verve recitativa di Celi, è un personaggio sfaccettato, complesso, con slanci comportamentali forse non di positività in senso stretto, ma comunque articolati e certamente non banali. E Sandokan e i suoi mitici tigrotti (Ragno di Mare, Sambigliong, Giro Batol e gli altri), sono leali e certamente apprezzabili, ma duri e spietati nelle battaglie o decisi a mettere a morte Brooke una volta che l’hanno catturato. Questi aspetti furono certamente forti, soprattutto se si pensa che erano  destinati in prima serata sulla rete televisiva nazionale negli anni settanta, e la lungimiranza di Sollima fu proprio di aver eliminato ogni possibile contestazione di natura secondaria (volgarità gratuite, scene di sesso) per poter far accettare il cuore di una storia che doveva necessariamente essere così cruda per evocare il tono drammatico della vicenda e del contesto storico. 
Il finale, tragico, la morte di Marianna, lo sconforto di Sandokan, lasciano forse l’amaro in bocca momentaneo allo spettatore, ma conferiscono al racconto un tono adulto e maturo. Dal punto di vista della confezione, niente da eccepire alla qualità generica delle riprese, non certo a livello delle migliori produzioni cinematografiche ma comunque più che dignitosa, anche considerando la matrice televisiva. Un aspetto fondamentale, nel successo dello sceneggiato, fu la musica: di grandissimo impatto la sigla iniziale (che suona su immagini stilizzate che richiamano fortemente quelle usate spessissimo negli spaghetti-western), come anche quella conclusiva, con un testo efficace che rimase (e rimane) facilmente in testa agli spettatori. Bellissima, benché meno orecchiabile ma musicalmente eccellente, Caccia alla tigre, la traccia strumentale che accompagna l’inizio del terzo episodio, con le fasi di ricerca nella giungla al grosso felino. Insomma, Sandokan fu un grande successo perché nessuno dei suoi molteplici aspetti fu trascurato, e Sollima fu bravo a calibrare ogni elemento nel modo giusto. E va dato anche merito che, oltre all’aspetto spettacolare e di intrattenimento, il regista riuscì a interpretare in modo corretto la matrice educativa che la televisione di stato in un paese come l’Italia aveva sempre avuto. Questo mantenendo anche una credibilità narrativa per nulla edulcorata: insomma, un capolavoro.  





      Milla Sannoner


          
Carole André










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