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sabato 6 febbraio 2021

LA REGINA DELLE PIRAMIDI

744_LA REGINA DELLE PIRAMIDI (Land of the Pharaohs). Stati Uniti1955. Regia di Howard Hawks.

Film forse non del tutto riuscito, ma comunque molto sottovalutato, La Regina delle Piramidi di Howard Hawks è un’opera non solo interessante, ma addirittura illuminante. Siamo nella metà degli anni cinquanta, il regista americano ha appena girato Gli uomini preferiscono le bionde (1953) e quattro anni dopo, nel 1959, girerà Un dollaro d’onore: questo per capire quanto fosse calda la sua mano in quella fase della carriera. Eppure La Regina delle Piramidi fu sostanzialmente un fiasco. In effetti il film, un sontuoso peplum, si potrebbe azzardare se fosse stato prodotto da qualche studio di Cinecittà, appartiene ad un genere che non era semplice da gestire. L’antico Egitto era un’ambientazione più che affascinante, d’accordo, ma la capacità formidabile di Hollywood finiva quasi per essere un’arma a doppio taglio: Hawks che si cimentava con i faraoni veniva inevitabilmente preso sul serio e se poi la vicenda non risultava credibile, qualcosa poteva lasciar l’amaro in bocca. Era un rischio che era difficile correre con un autentico peplum italiano (La Regina delle Piramidi era sì parzialmente girato negli studi di Roma, ma con approccio e budget americani), che aveva sin da subito quell’aspetto naif che otteneva una sostanziale accondiscendenza dello spettatore. Ma in realtà il pubblico, e anche molti degli odierni recensori, si persero un aspetto che, da solo, salva e pone La Regina delle Piramidi come uno dei testi più interessanti e innovativi dell’epoca. In questo senso i distributori italiani sembra che, per una volta, abbiano intuito le potenzialità dell’opera e, con la loro pessima mania di modificare i titoli anche nel significato, abbiano cercato di trasferire l’accento del film di Hawks dal tema storico/egiziano generale (The Land of Pharaohs, questo il titolo originale) alla folgorante protagonista della vicenda. 

Sebbene il faraone Cheope (Jack Hawkins) risulti in un primo momento al centro del racconto è chiaro che, sin dalla sua prima apparizione, la Principessa Nellifer, interpretata da una fantastica Joan Collins, sbaragli ogni forma di concorrenza scenica divenendo il vero polo di attrazione della pellicola. Joan ha ventidue anni, è meravigliosa, ma ha soprattutto qualcosa di magneticamente pericoloso nello sguardo, qualcosa che, all'occorrenza, poteva unire due elementi che, per convenzione, siamo abituati a vedere in ottica contrastante: bellezza e cattiveria. La bellezza, non solo al cinema ma proprio nella tradizione culturale, è abbinata alla bontà, così come la bruttezza alla cattiveria (la strega delle favole è sempre brutta e cattiva). Per la verità questa semplice equazione era stata nel tempo intaccata, per esempio dal tema della superficialità indotta dalla bellezza (il mito di Narciso) e, successivamente, anche il cinema aveva incominciato a mischiare sempre più le carte, basti citare la bellissima strega cattiva in Biancaneve e i Sette Nani (1937, ovviamente prodotto da Walt Disney). Ma la figura di Nellifer cristallizza alcune di queste caratteristiche contrastanti in modo veemente e inaspettato e, in questo, la Collins è assolutamente insuperabile; dal momento che è giovanissima, lo fa attingendo evidentemente da quella propria naturale inclinazione che la porterà a divenire in futuro un’autentica icona in tal senso. 

Per restare al film di Hawks, sebbene non sia la protagonista citata per prima nei titoli, lo è di fatto; una cattiva che regna sullo schermo, che domina la scena senza che nessun antagonista tra i buoni (o presunti tali) sia in grado di tenerle testa. Certo, nel finale, la regina degli egiziani è beffata, finendo imprigionata nella tomba di Cheope colma di tesori. Ma si era nei cinquanta, gli anni in cui si celebrava, almeno al cinema, i primi passi dell’ascesa della donna nella società americana: durante la guerra, nelle fabbriche belliche, le lavoratrici avevano dimostrato coi fatti di non essere da meno degli uomini e, ora che il conflitto era alle spalle, non intendevano affatto fare un passo sociale indietro lasciando di nuovo campo libero ai maschi. 

Questa emancipazione guadagnata sul terreno avverso (quello professionale, da sempre appannaggio degli uomini) fu celebrata da Hollywood con l’ascesa di temi (i drammoni a tinte forti) e generi (il melò) che mettevano sulla scena argomenti cari al pubblico femminile o portavano alla ribalta problemi che la nuova consapevolezza delle donne creava in seno alle istituzioni, ovviamente quella della famiglia in testa. Gli anni cinquanta videro un’autentica esplosione di attrici che assursero al ruolo di vere e proprie star (da Marilyn Monroe in giù) ma, visto che le dive al cinema c’erano comunque sempre state, quello che cambiava era il contesto, con film che davano più corpo (non solo in senso letterale delle formose pin-up) alla figura femminile, laddove nel noir, ad esempio, genere tipico degli anni quaranta, questa aveva un ruolo più che altro simbolico, riflesso altro in cui il protagonista, rigorosamente maschile, finiva per perdersi. Nei fabulous fifties si celebrava, quindi, pur con tutti i limiti dell’industria cinematografica, l’ascesa della donna e il film di Hawks e la sua magnifica protagonista arrivavano a portare una nota non troppo intonata con il resto del concerto. 


La Nellifer della Collins era una donna profondamente intrisa di femminilità, eppure per nulla vittima dello stato delle cose; La Regina delle Piramidi, oltretutto, era un film storico e, sebbene fosse evidente che non andava preso in quel senso, veicolava comunque l’idea che la donna nella società, anche in quelle più antiche, non era poi così docile e sottomessa come si poteva pensare. E poi, l’ambientazione egiziana del film di Hawks sembrava interpretare in modo calzante il glamour, la ricchezza e il benessere del boom economico del dopoguerra: la sensuale figura di Nellifer, avvolta in preziosi abiti che fasciavano il perfetto corpo della Collins, sono anzi tra le migliori interpretazioni della bellezza anni 50. Ecco quindi che un parallelo tra l’Egitto all’apice della sua gloriosa Storia e l’America nel dopoguerra veniva spontaneo e, in un certo senso, era anche quello che sperava la produzione de La Regina delle Piramidi. Il problema è che poi Hawks approfitta del paragone per fare un’evidente critica alla moderna società occidentale, dominata dall’egoismo e dal culto della personalità, in modo sinistramente simile a quella dei faraoni. E, quindi, in un film che sembra celebrare i fasti della ricchezza e del benessere a cui gli americani si stavano abituando dopo il periodo bellico, questa rimase probabilmente una prospettiva poco digeribile al pubblico accorso nelle sale. Ma c’è di peggio. Gli anni 50, si è detto, celebravano l’ascesa dell’importanza della donna nella società americana; Hawks però, attraverso la figura di Nellifer, mostrava come le donne, in situazioni del tutto simili (i fasti dell’epoca dei faraoni come i favolosi anni cinquanta) non erano per nulla migliori degli uomini. 

Le speranze che un maggiore coinvolgimento delle donne nella vita politico sociale permettesse all’umanità di evitarsi tragedie come le Guerre Mondiali, generalmente attribuite unicamente all’attitudine maschile, si andavano probabilmente formando a livello di coscienza collettiva proprio in quegli anni. E Hawks era talmente in anticipo sui tempi da smentire quell’illusione ancora prima che prendesse completamente forma: le donne non sono affatto migliori degli uomini e il personaggio della Collins era lì a dimostrarlo in tutto il suo malvagio ma irresistibile fascino. Che poi, volendo, non era nemmeno una critica, alla figura femminile, quanto piuttosto la rivendicazione di avere gli stessi diritti degli uomini, sia nel fare la cosa giusta che quella sbagliata. Un punto di vista obiettivo e moderno, quando ancora era a venire la rivoluzione femminista: forse effettivamente un po’ troppo in anticipo. Soprattutto se andava a mettere in discussione i faraonici investimenti che lo stesso autore, anche produttore, aveva riversato nel film. L’insuccesso commerciale consigliò Hawks di prendersi una pausa di quattro anni, prima di tornare a dirigere i suoi ultimi film mentre Joan, che aveva avuto un ruolo tanto importante nell’opera, non era che all’inizio della sua avventura americana. Ma Hollywood, che sulle illusioni fondava il suo impero, non le perdonerà mai fino in fondo di aver cercato di spegnerne sul nascere una tanto comoda da cullare come quella del politicamente corretto in salsa rosa.





Joan Collins














8 commenti:

  1. ed ecco il famoso film incriminato! :P
    dunque immagino che in Italia questo film abbia avuto più fortuna che negli USA, forse era meglio se pure il titolo originale si concentrasse sulla Regina protagonista, per rendere più malleabile la critica :D
    mi piace molto la foto della Collins con il vestito verde, sembra così fuori contesto, eppure ha quel non so che...

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  2. Quella foto credo sia della campagna promozionale quindi non necessariamente il vestito poi era uno di scena. Mah, sul successo italico non saprei che dire. Certo, il fatto che Hawks non avesse mai usato prima il cinemascope probabilmente influì sulla scarsa empatia del pubblico. Hawks scelse di dirigere una storia sulle piramidi proprio perchè disponeva per la prima volta del cinemascope (le piramidi non erano la prima opzione, per la verità; come preferenze avrebbe voluto una storia sulla grande muraglia ma non si riuscì per i pessimi rapporti con la cina). In ogni caso, la figura della regina non sembrava fosse così importante, per gli autori della storia; io nella mia rece ho dato risalto a quello che secondo me è, oggi, più interessante. Per Hawks, probabilmente, erano più importanti gli aspetti storici (rispettati con qualche compromesso) o il fatto di cercare di limitare l'uso del montaggio proprio grazie all'uso dello schermo panoramico. Questa è una battuta, ma pare che hawks non fosse un fan del montaggio e per alcuni lo schermo panoramico poteva restituire il tempo naturale alle scene, non essendo necessario il montaggio alternato per mostrare, ad esempio, due interlocutori, prima uno e poi l'altro. Con lo schermo in cinemascope stavano comodamente tutte due in scena.

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  3. Già che c'ero ho controllato. Ecco cosa dice Hawks a proposito del montaggio, in un intervista ai Cahiers du Cinema:
    "Cahiers: quale momento del tuo lavoro preferisci? Sceneggiatura, riprese, montaggio?
    Hawks: odio il montaggio.
    Cahiers: Ma fai il montaggio dei tuoi film?
    Hawks: Oh, sì! Contemporaneamente alle riprese, se possibile. "
    Nel senso che girava solo lo stretto necessario e quindi era impossibile poi tagliare qualcosa in sala montaggio.

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  4. Da notare che, sebbene io consideri Hawks uno dei massimi maestri del cinema, ritenga personalmente il montaggio l'essenza stessa del cinema.

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  5. Giurassico Ale ha scritto:
    ok, queste idiosincrasie da parte degli "addetti ai lavori" sono sempre curiose, pure Sergio Bonelli pare odiasse leggere le sceneggiature dei suoi collaboratori :P
    Sì, in effetti mi è capitato, soprattutto nei film più vecchi, di notare qualcosa di strano nelle scene in cui ci sono due personaggi che parlano, come se quello di spalle fosse in quel momento bloccato e nemmeno stesse guardando l'altro in faccia...
    forse per un appassionato di cinema il montaggio è importante perchè ci vede il grosso del lavoro per "far funzionare" il tutto... io stesso smonto e rimonto il mio commento non so quante volte, prima di decidermi a postarlo :D

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  6. Scusa Ale, per errore ho cancellato il tuo post invece del mio che dovevo correggere. Sono riuscito a recuperarlo solo quotandolo. Mi spiace.

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  7. Tornando al montaggio, banalmente, i recenti "legolize", (quelle strisce umoristiche che non so chi produca), dimostrano come il montaggio riesca a dare vita anche a dei semplici omini di plastica. Da notare che il passaggio ad effetto è sempre quello "più statico" (se è possibile dirlo in un simile contesto), ovvero quello finale con la zoomata sulla faccia di uno dei personaggi che sembra che stia riflettendo o che rimanga esterrefatto. Ovvio che al cinema le potenzialità si moltiplicano, ma questo semplice esempio dà un'idea di quale importanza abbia il montaggio.

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  8. ok, no problem per il commento, almeno si è salvato, grazie ;)
    ah già, i legolize, ce ne sono di simpatici ma anche di stupidi...

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