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martedì 15 gennaio 2019

IL RAGAZZO DI CAMPAGNA

287_IL RAGAZZO DI CAMPAGNA; Italia 1984;  Regia di Castellano e Pipolo.

Il ragazzo di campagna, film del 1984 di Castellano e Pipolo, può essere preso a testimonianza di quello che poteva essere il cinema leggero italiano nei successivi anni; cosa che, purtroppo, non si concretizzò. Non che l'opera sia un capolavoro, in onestà; ma da alcuni è, anche comprensibilmente, considerato un film di culto. Il ragazzo di campagna ha infatti certamente dei limiti, alcuni tanto evidenti che vi si poteva metter rimedio senza eccessivo sforzo: il principale è il livello di recitazione troppo basso e, in qualche interprete, sinceramente non accettabile. Il tizio che fa il regista dello spot pubblicitario nel supermercato, ad esempio, ha pochi minuti a disposizione, ma riesce comunque a lasciare una macchia di indelebile sciatteria recitativa su tutto il film. Forse il registro interpretativo di Renato Pozzetto, che è Artemio, il ragazzo di campagna protagonista, può aver generato un equivoco, per cui non  si è richiesto una professionalità minima al resto del cast. Ma va detto che si tratta di un problema estendibile a tutto il cinema italiano, almeno dagli anni ottanta in poi, per cui il fenomeno andrebbe analizzato in un contesto più ampio. In ogni caso, Pozzetto ha uno stile di recitazione un po' surreale, ma compensato dalla innata comicità; il suo è un equilibrio precario, cinematograficamente parlando, ma funzionale. Già diverso il caso di Massimo Boldi, nel film Severino Cicerchia, il cugino di Artemio, che sullo schermo funziona solo quando spinge la sua comicità a tutto gas, ed è perciò molto meno gestibile. Che poi, parlare di gas a proposito del suo personaggio, Severino Cicerchia, è inevitabile, essendo conosciuto come lo scorreggione
Questo aspetto è da segnare come nota a margine: del film è, infatti, l’unico riferimento un po’ sporco, nel senso che comprenda scurrilità varie, da quelle scatologiche a quelle pruriginose o al linguaggio volgare. Sobrietà, sotto questo aspetto, inusuale al tempo e che, negli anni a venire, sarebbe divenuta ancora più rara. Non che ci sia qualcosa di negativo in sé, sia chiaro: ma si tratta di espedienti che vengono usati, in genere, in mancanza di idee, e dall’effetto immediato sebbene effimero e senza costrutto. Tornando al pur simpatico Boldi che, in un certo senso, tiene alta la bandiera della scurrilità a buon mercato anche ne Il ragazzo di campagna, il fatto che negli anni seguenti sia diventato una star del nostro cinema di cassetta, la dice chiara sul livello delle nostre produzioni: remunerative, senz'altro, ma non in senso cinematografico. Anzi, probabilmente diseducative in quell’ottica; ma andiamo oltre. Il resto del cast si attesta su una professionalità attoriale insufficiente: ad esempio, le attrici delle scene rurali, la madre di Artemio e la fidanzata promessa Maria Rosa, possono al massimo reggere una recita parrocchiale; purtroppo non all'altezza  neanche Donna Osterbuhr, negli eleganti panni di Angela, la ragazza che il nostro incontra a Milano. 
Tantissime le gag umoristiche: alcune ottime, altre buone e qualcuna meno valida. Come quella della partita di calcio, ad esempio; ma va riconosciuto che ce ne sono a getto continuo per tutta la durata del lungometraggio e, quindi, ci può stare che qualcuna funzioni meno. Il rimando al calcio, tra l'altro, è però funzionale ad uno degli aspetti della società moderna (italiana) preso di mira dall'intrinseca critica dell'opera di Castellano e Pipolo. Angela, in casa, ha il poster di Platini ed è una tifosa che si lascia condizionare dai risultati della propria squadra del cuore: un atteggiamento diffuso, sia la dipendenza dal calcio che l'idolatria per le star del football (o della musica) che testimoniavano un grado di progressiva estraneazione dell'individuo dalla propria concreta realtà, condizione al tempo particolarmente diffusa. Perché, in fondo, Il ragazzo di campagna, al di là della semplice critica alla città da contrapporre all'elogio per la vita rurale, riesce a dare un quadro credibile, al netto del tono comico/surreale della pellicola, della Milano da bere dei primi anni ottanta. 
Non un risultato così scontato, nel 1984. E, comunque, il film ha una sua forma narrativa, discretamente costruita; del resto Castellano e Pipolo sono due esperti sceneggiatori, oltre che registi, e questo assicura una buona scrittura alla base del film. Resta un po' da stabilire se il finale sia la solita celebrazione dell'opportunismo nazionale o, volendo essere meno severi, sia piuttosto una constatazione onesta della nostra realtà. Artemio, riposto le speranze di farsi una vita in città come quelle di avere chances con Angela, torna al paesino per scoprire che Maria Rosa non è poi così male. A quel punto torna in scena Angela, che prova a rilanciare la relazione con l'uomo con qualche ipotetica futura possibilità; Artemio tentenna, ma poi valuta la cosa poco credibile, e sceglie definitivamente Maria Rosa. Quindi, se Angela ci fosse concretamente stata...?
Italiani, brava gente; ma sempre pronti a cambiar bandiera. 


Donna Osterbuhr





Sandra Ambrosini



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