287_IL RAGAZZO DI CAMPAGNA; Italia 1984; Regia di Castellano e Pipolo.
Il ragazzo di campagna,
film del 1984 di Castellano e Pipolo, può essere preso a testimonianza di
quello che poteva essere il cinema leggero
italiano nei successivi anni; cosa che, purtroppo, non si concretizzò. Non che
l'opera sia un capolavoro, in onestà; ma da alcuni è, anche comprensibilmente,
considerato un film di culto. Il ragazzo di campagna ha infatti
certamente dei limiti, alcuni tanto evidenti che vi si poteva metter rimedio
senza eccessivo sforzo: il principale è il livello di recitazione troppo basso
e, in qualche interprete, sinceramente non accettabile. Il tizio che fa il
regista dello spot pubblicitario nel supermercato, ad esempio, ha pochi minuti
a disposizione, ma riesce comunque a lasciare una macchia di indelebile
sciatteria recitativa su tutto il film. Forse il registro interpretativo di
Renato Pozzetto, che è Artemio, il ragazzo di campagna protagonista, può aver
generato un equivoco, per cui non si è
richiesto una professionalità minima al resto del cast. Ma va detto che si
tratta di un problema estendibile a tutto il cinema italiano, almeno dagli anni
ottanta in poi, per cui il fenomeno andrebbe analizzato in un contesto più
ampio. In ogni caso, Pozzetto ha uno stile di recitazione un po' surreale, ma
compensato dalla innata comicità; il suo è un equilibrio precario,
cinematograficamente parlando, ma funzionale. Già diverso il caso di Massimo
Boldi, nel film Severino Cicerchia, il cugino di Artemio, che sullo schermo
funziona solo quando spinge la sua comicità a tutto gas, ed è perciò molto meno
gestibile. Che poi, parlare di gas a
proposito del suo personaggio, Severino Cicerchia, è inevitabile, essendo
conosciuto come lo scorreggione.
Questo aspetto è da segnare come nota a
margine: del film è, infatti, l’unico riferimento un po’ sporco, nel senso che comprenda
scurrilità varie, da quelle scatologiche a quelle pruriginose o al linguaggio
volgare. Sobrietà, sotto questo aspetto, inusuale al tempo e che, negli anni a
venire, sarebbe divenuta ancora più rara. Non che ci sia qualcosa di negativo
in sé, sia chiaro: ma si tratta di espedienti che vengono usati, in genere, in
mancanza di idee, e dall’effetto immediato sebbene effimero e senza costrutto. Tornando
al pur simpatico Boldi che, in un certo senso, tiene alta la bandiera della
scurrilità a buon mercato anche ne Il
ragazzo di campagna, il fatto che negli anni seguenti sia diventato una
star del nostro cinema di cassetta,
la dice chiara sul livello delle nostre produzioni: remunerative, senz'altro,
ma non in senso cinematografico. Anzi, probabilmente diseducative in quell’ottica; ma andiamo oltre. Il resto del cast
si attesta su una professionalità attoriale insufficiente: ad esempio, le
attrici delle scene rurali, la madre di Artemio e la fidanzata promessa Maria
Rosa, possono al massimo reggere una recita parrocchiale; purtroppo non
all'altezza neanche Donna Osterbuhr,
negli eleganti panni di Angela, la ragazza che il nostro incontra a Milano.
Tantissime le gag umoristiche: alcune ottime, altre buone e qualcuna meno valida.
Come quella della partita di calcio, ad esempio; ma va riconosciuto che ce ne
sono a getto continuo per tutta la durata del lungometraggio e, quindi, ci può
stare che qualcuna funzioni meno. Il rimando al calcio, tra l'altro, è però
funzionale ad uno degli aspetti della società moderna (italiana) preso di mira
dall'intrinseca critica dell'opera di Castellano e Pipolo. Angela, in casa, ha
il poster di Platini ed è una tifosa che si lascia condizionare dai risultati
della propria squadra del cuore: un atteggiamento diffuso, sia la dipendenza
dal calcio che l'idolatria per le star del football (o della musica) che
testimoniavano un grado di progressiva estraneazione dell'individuo dalla
propria concreta realtà, condizione al tempo particolarmente diffusa. Perché,
in fondo, Il ragazzo di campagna, al
di là della semplice critica alla città da contrapporre all'elogio per la vita
rurale, riesce a dare un quadro credibile, al netto del tono comico/surreale
della pellicola, della Milano da bere
dei primi anni ottanta.
Non un risultato così scontato, nel 1984. E, comunque,
il film ha una sua forma narrativa, discretamente costruita; del resto
Castellano e Pipolo sono due esperti sceneggiatori, oltre che registi, e questo
assicura una buona scrittura alla base del film. Resta un po' da stabilire se
il finale sia la solita celebrazione dell'opportunismo nazionale o, volendo
essere meno severi, sia piuttosto una constatazione onesta della nostra realtà.
Artemio, riposto le speranze di farsi una vita in città come quelle di avere chances con Angela, torna al paesino per
scoprire che Maria Rosa non è poi così male. A quel punto torna in scena
Angela, che prova a rilanciare la relazione con l'uomo con qualche ipotetica
futura possibilità; Artemio tentenna, ma poi valuta la cosa poco credibile, e
sceglie definitivamente Maria Rosa. Quindi, se Angela ci fosse concretamente stata...?
Italiani, brava gente; ma sempre pronti a cambiar bandiera.
Donna Osterbuhr
Sandra Ambrosini
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