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lunedì 12 aprile 2021

UN DOLLARO D'ONORE

796_UN DOLLARO D'ONORE (Rio Bravo) . Stati Uniti1959. Regia di Howard Hawks.

Indiscusso capolavoro, Un dollaro d’onore è un western che entra di diritto tra i migliori di sempre ma il suo sicuro appartenere al genere non deve distogliere l’attenzione dal pregio maggiore dell’opera che è la sua universalità in senso cinematografico. Il film, infatti, soddisfa maggiormente i criteri di cinema puro, assoluto, rispetto a quelli di genere; non che tradisca questi ultimi ma l’attenzione del regista, lo straordinario Howard Hawks, è maggiormente concentrata sull’opera dal punto di vista cinematografico nel senso globale del termine. Certo, l’ambientazione è prettamente western, siamo a Rio Bravo (che è anche il titolo originale), sud ovest degli Stati Uniti, seconda metà del 1800; ci sono i cowboys, lo sceriffo, i saloon e le ballerine, insomma è un film western, questo è innegabile. Ma ci sono anche alcune cruciali contaminazioni, se guardiamo l’opera secondo i criteri dei generi cinematografici. Ad esempio, tutto l’impianto scenico della vicenda è ambientato nella main street della suddetta Rio Bravo, una piccola città di frontiera sulla cui via principale si affacciano l’ufficio dello sceriffo con la prigione, l’albergo di Carlos, il saloon e la stalla per i cavalli; insomma tutti gli interni in cui si svolge il film. In sostanza, l’intero set sembra un rifacimento in scala maggiore di quello di certe commedie ambientate nell’hotel le cui camere danno sul corridoio, coi protagonisti che in queste stanze entrano ed escono con tempismo sincronizzato al fine di far accadere questo o quell’equivoco. Ad esempio, la scena in cui Dude (Dean Martin) ritorna alla prigione dopo essersi lavato e viene accolto a fucilate da Stumpy (Walter Brennan), che così ripulito non lo riconosce, è frutto di questa contaminazione. Ma l’aspetto rilevante di questo connubio con la commedia è che Hawks lo compie togliendo uno degli elementi primari del genere western, che è lo spazio, anzi lo spazio aperto, e gira il film prevalentemente negli ambienti chiusi degli edifici. Per enfatizzare ulteriormente questo effetto, tra le scene girate all’aperto abbondano comunque quelle notturne, nelle quali è l’oscurità a limitare l’orizzonte. 


A rafforzare questo aspetto leggero, tipico della commedia, c’è poi la storia d’amore tra lo sceriffo John T. Chance (John Wayne) e la bellissima Feathers (una stupenda Angie Dickinson) che non è tanto una storia d’amore quanto un approccio da commediola sentimentale, con i due che giocano, si stuzzicano, fanno finta di niente, come due adolescenti alla prima cotta. Del resto il tono disimpegnato è subito chiarito: la ragazza vede lo sceriffo con due vistose mutande da signora in mano (che sono un regalo del gestore dell’albergo alla moglie) e scherza fingendo di credere che appartengano all’uomo. Anche in questo caso la commedia si basa sull’equivocare le parti in gioco, con la donna che assume costantemente l’iniziativa e lo sceriffo sempre più imbarazzato. 

In generale, le contaminazioni presenti in Un dollaro d’onore hanno lo scopo di allentare la tensione, alleggerendo il tono della vicenda. Questo crea un equilibrio mirabile perché la storia raccontata è pesante, con tale Joe Burdette (Claude Akins) che è imprigionato in attesa di giudizio per aver ucciso un uomo a sangue freddo e senza valido motivo. Peccato che questo Joe sia fratello di Nathan Burdette (John Russell), ossia il tipico latifondista che spadroneggia nella frontiera americana del tempo. Quando Nathan apprende che il fratello è detenuto in attesa di giudizio interviene e, visto il rifiuto dello sceriffo a collaborare, la guerra è dichiarata. Queste vicende avvengono però quasi subito, nell’economia del film, e invece lo scontro finale arriva giusto prima dei titoli di coda: la pellicola è così incentrata sull’attesa, sui ripetuti tentativi infruttuosi operati dagli uomini di Burdette, con un crescente senso di suspense che occupa il corposo passaggio centrale della storia. E, proprio per sostenere questa tensione per così tanto tempo, Hawks alleggerisce la trama con le contaminazioni leggere da commedia che non annacquano affatto la suspense ma semplicemente distraggono lo spettatore per fargli riprendere fiato. In questa magica alchimia narrativa risiede uno dei maggiori pregi della poetica di Hawks, di cui Un dollaro d’onore è uno degli assoluti vertici. 


A sostenere ulteriormente la struttura del film, che in effetti non ha mai alcun punto di cedimento, ci sono i personaggi, con le loro storie specifiche. Il protagonista principale è naturalmente Dude, interpretato da un Dean Martin alla prova d’attore della vita. Dude, detto anche Borrachòn (ubriacone in messicano), è il vice sceriffo caduto in disgrazia per colpa di una donna e la sua redenzione, il suo percorso per riprendere la dignità perduta, è la vera storia raccontata dal film. Senza soldi ma assetato, Dude entra nel saloon e Joe Burnett gli lancia con scherno nella sputacchiera il dollaro d’onore del titolo italiano. 

Sopraggiunge Chance (John Wayne) che impedisce a Dude l’umiliazione ma ne ricava in cambio un cazzotto rabbioso da parte dell’uomo che, sofferente per la sete, gli scherni e l’umiliazione comunque subita, perderà le staffe: di lì lo scontro che vedrà un anonimo terzo incomodo venir freddato da Joe. Dean Martin sfodera un’interpretazione eccellente, risultando credibile nella sofferenza da astinenza e nei tormenti interiori che affiorano man mano che la mente si snebbia dai fumi dell’alcool. Wayne, dal canto suo, riesce a dare una maggiore tridimensionalità alla sua solita granitica figura soprattutto nel tet-a-tet con Angie Dickinson in cui riesce a rendere in modo credibile un suo lato debole in genere mai evidenziato. 

La Dickinson è perfetta, di una bellezza un filo troppo moderna ma forse adeguata proprio per questo. C’è infatti una sfasatura temporale tra i personaggi del film: il vecchio Walter Brennan (spassoso nella parte di Stumpy) è uomo d’altri tempi, quasi da Antico Testamento, e potremmo dire che è al servizio della Giustizia per rivalsa, visto che ricorda con una sorta di rancore le ingiustizie patite dai Burdette. A John Wayne, nei panni dello sceriffo Chance, non servono pretesti per servire la Legge: stare dalla parte della ragione per lui è una scelta inevitabile, quasi un destino. Del resto il duca è l’incarnazione dell’eroe classico. Dean Martin/Dude il suo ruolo di eroe invece se lo deve sudare, guadagnare attraverso la redenzione: è sicuramente il personaggio più interessante, più sofferto, e certamente più moderno rispetto a quello dello sceriffo. 

Ma ancora più moderno, potremmo dire quasi futuribile, è il personaggio di Colorado Kid (Ricky Nelson): può essere che Nelson sia stato scritturato per le sue qualità canore, per altro sfruttate alla grande, piuttosto che per altri motivi ma Hawks ne approfitta per delineare l’ideale post-moderno di eroe, sospeso a metà tra opportunismo e solidarietà ma sempre senza eccessivo entusiasmo o partecipazione. Nel cast appare anche Ward Bond, un habitué dei vecchi western e dei film di John Ford, il cui aiuto viene però significativamente rifiutato dallo sceriffo e l'uomo viene poi addirittura eliminato dagli sgherri di Burdette. Era il 1959 ma Hawks correva con anticipo sui tempi: forse questo era un altro segnale che il tempo del western classico fosse finito e i personaggi centrali dovessero essere più moderni, come quelli di Dean Martin, Ricky Nelson o Angie Dickinson; perfino ad una roccia come John Wayne non restava che adeguarsi mostrando qualche debolezza, come quella che provava per la ballerina della storia.

Il film è davvero ricco di sfumature ben calibrate e niente è lasciato al caso, ci sono scene strepitose e anche i dialoghi non fanno eccezione. La scena del bandito ferito che si rifugia nel saloon è fantastica, così come l’incipit senza parole (la prima che viene pronunciata nel film è al quarto minuto) mentre per le battute memorabili va citata almeno quella tra Wheleer (Ward Bond) e lo sceriffo: “Hai messo in prigione il fratello di Nathan?” “Esatto.” “E per quale motivo?” “Il motivo lo stavano portando al cimitero mentre tu arrivavi.”
Ultimo, ma non meno rilevante, è il comparto musicale dell’opera, la cui importanza è sottolineata anche dall’episodio raccontato da Colorado: la musica che Nathan Burdett incarica ai suonatori di suonare, El deguello, è lo stesso che i messicani suonarono in occasione dell’assedio di Alamo, l’episodio storico in cui i texani vennero massacrati. 



Una sorta di avvertimento funebre, per lo sceriffo e i suoi, ma che sancirà anche il momento in cui le mani di Dude smetteranno di tremare. E la risposta sonora dei nostri sarà la splendida My rifle, my pony and me, canzona scritta anch’essa da Dimitri Tionkin, che battezzerà la definitiva composizione della squadra, con l’arrivo di Colorado e il rinnovato spirito di Dude, ovvero Ricky Nelson e Dean Martin nel duetto canoro. Il vecchio Stumpy reclamerà già in quell’occasione musicale il suo spazio, come farà successivamente nell’imminente scontro a fuoco finale, e allora Colorado intonerà con lui la simpatica Get along home, Cindy.
Un grande film classico, forse l’ultimo western classico, che ci dice che per l’eroe americano per eccellenza, John Wayne, è finito il tempo della gloria, che ormai ci sono eroi più moderni e adesso può dedicarsi a passatempi più terreni e piacevoli. Passando per la strada, Stumpy raccoglie il succinto vestito di Feathers, lanciato fuori dalla finestra da Chanche: “Hey Dude, credi che faccia così caldo in quella finestra lassù?” chiede il vecchio all’amico. “Non sono affari che ti riguardano” risponde Dude.
Ma possiamo facilmente indovinare la risposta.




Angie Dickinson








3 commenti:

  1. mi sembrava strano che tu non avessi ancora dedicato una rece a questo filmone... ma poi, leggendo la parte finale, ho capito il perchè... bisognava "arrivarci", dopo aver parlato di altri western più classici :))
    molto interessante tutta la riflessione sul "genere" del film, contaminato di commedia...

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  2. Beh, ci sono ancora tanti "filmoni" di cui non ho ancora postato la recensione: psyco, sentieri selvaggi, pulp fiction, shining... il punto è che se metto le rece solo dei capolavori, secondo me, si svilisce l'importanza degli stessi. Un po' lo stesso problema che ho cercato di superare che riguarda i generi. Ovviamente io ho dei generi preferiti (e penso che si capisca dai post) ma se scrivessi solo di quelli, avrei post certamente più riusciti, più sentiti, ma finirei, temo, per incartarmi su me stesso. Io credo che se ci si concentra solo su una cosa, su un aspetto, su un genere, ci si infila in un circolo vizioso un po' come dire, "autoreferenziale": ci si parla un po' addosso (un po' come sul forum che abbiamo condiviso). Svariare, approfondire ciò che ci è meno nelle corde, "obbligarsi" ad affrontare anche ciò che è meno affine e quindi ciò di cui ci è meno facile scrivere, argomentare, ti migliora in generale e anche quando tornerai sul tuo terreno lo farai con un approccio più completo (per dire, cogliendo i riferimenti alla commedia in un western).

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  3. giusto variare... poi comunque si tratta sempre di vedere dei film... se uno ha la passione, a meno che non va a beccare proprio delle emerite ciofeche, dovrebbe fargli sempre piacere, non a caso hai scritto "obbligarsi" fra virgolette :)
    vero anche il discorso sui forum, infatti anch'io ormai non ci posto più...

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