357_IL PIANETA PROIBITO (Forbidden Planet). Stati Uniti, 1956. Regia di Fred Mcleod Wilcox.
La tempesta del
sommo William Shakespeare è generalmente indicato come fonte di ispirazione de Il pianeta proibito: una somiglianza tra
i ruoli dei personaggi protagonisti è in effetti presente, ma il film di Fred
Mcleod Wilcox eccelle a prescindere da questa illustre parentela. Il pianeta proibito è un film di
fantascienza del 1956, genere di cui interpreta in modo mirabile e esaustivo
tutte le caratteristiche. Gli anni del boom nel dopoguerra avevano visto concretizzarsi
nella vita quotidiana tutti i progressi che la tecnica aveva prodotto per
supportare lo sforzo bellico, e questa frenesia per le innovazioni tecnologiche
venne resa manifesta dal cinema di fantascienza. Il quale, oltre a ciò, se da
un lato anticipava l’imminente corsa allo spazio tra americani e sovietici,
dall’altro permetteva di rendere tangibili, almeno sullo schermo, i timori per
le incognite di un intero mondo, quello oltre
cortina, dal quale trapelavano pochissime informazioni ma era ben
percepibile una certa ostilità (peraltro reciproca), in seguito evoluta
apertamente nella Guerra Fredda. L’opera
di Wilcox è però un esempio di grande consapevolezza, raramente eguagliato in
seguito, e guardandolo oggi appare particolarmente moderno nell’approccio al problema dei problemi che è alla radice
del genere di fantascienza: il rapporto con l’altro, spesso inteso come alieno
ma, nei casi più interessanti, come qualcosa di assai più intimo. Andiamo però
con ordine: innanzitutto va sottolineata la cura con cui l’opera è imbastita.
Si è detto di una certa somiglianza con La
tempesta di Shakespeare; tema arduo da affrontare in sede di analisi di un
film di puro intrattenimento, visto la rilevanza dell’autore inglese. Senza
rischiare voli pindarici, ci si può limitare anche solo ad osservare come
Wilcox, per ambientare una storia su un remoto pianeta nello spazio, scelga
un’impostazione da una vicenda tanto classica nella nostra cultura e
soprattutto decisamente terrestre. E’
un indizio da tenere a mente. Un'ulteriore sponda a questa interpretazione più
introspettiva che fantascientifica è il fatto che sorprendano le ambientazioni
d’interni assai più delle scene spaziali: le astronavi sono infatti banali
dischi volanti, mentre gli arredi della residenza su Altair IV, il pianeta
proibito in questione, sono effettivamente futuribili, essenziali e
minimalisti.
Il cast è ben assemblato, anche se manca di un protagonista
di spessore: il comandante Adams è interpretato da Leslie Nielsen, qui nel suo
primo ruolo di un certo rilievo, mentre è ancora nella fase iniziale della
carriera, quella romantico/avventurosa; Walter Pidgeon è un dottor Morbius
ambiguamente sospeso tra sapienza e superbia; Anne Francis sgambetta in
vestitini cortissimi nella parte di Alta, figlia di Morbius; Earl Hoolliman,
noto caratterista, si occupa delle gag comiche come cuoco di bordo.
Ultimo di
quest’elenco, ma non in ordine di importanza, l'autentico protagonista del film,
(che ad onor del vero colma in parte la lacuna carismatica del cast): è infatti
Robby il robot la vera star di Il pianeta
proibito. Autentica vedette della
pellicola, si merita praticamente tutti i manifesti e le locandine, diviene
istantaneamente una vera e propria icona della fantascienza e, in seguito, ritornerà più volte sullo schermo, da Il
robot e lo Sputnik, film del 1957, alle apparizioni più recenti in Gremlins e Le ragazze della terra sono facili, mentre sul piccolo schermo in
episodi di La famiglia Addams e
addirittura del Tenente Colombo. Il
robot, per quanto di aspetto un po’ buffo, (ed è sfruttato anche in quel senso,
si veda la gag del whisky col cuoco), non è però personaggio da prendere alla
leggera. E’ il primo, tra gli automi del cinema, a rispettare le tre leggi della robotica postulate da
Isaac Asimov. In effetti il nome di Robby sembra ispirato a quel Robbie
protagonista di una storia di Asimov nella quale si faceva riferimento a queste
leggi; leggi che solo in seguito lo scrittore organizzerà in modo compiuto in
quel codice che impedisce ad un automa di recar danno, con la sua condotta, ad
un essere umano. L’intuizione di far rispettare a Robby queste leggi è un
altro indizio della cura che gli autori prestarono alle realizzazione de Il pianeta proibito. E molto validi sono
anche gli effetti speciali dell’attacco delle creature invisibili, opera del
tecnico della Disney Joshua Meador, per l’occasione in forza ad un film
Metro-Goldwyn-Mayer. Ma il vero aspetto che rende l’opera di Wilcox un tassello
imprescindibile nel cinema di fantascienza, è che alla fine si scopre che, in
un remoto e sperduto mondo, al cospetto di una civiltà aliena notevolmente più
evoluta, i rischi maggiori risiedono nel nostro intimo più profondo. Il male è
dentro di noi e se per comprenderlo dovessimo davvero, come l’incrociatore spaziale
C-57-D del capitano Adams, percorrere l’intera galassia, non sarà comunque un
viaggio a vuoto.
Anne Francis