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mercoledì 30 giugno 2021
TEMPORALE ALL'ALBA
lunedì 28 giugno 2021
IL SEME DELL'ODIO
840_IL SEME DELL'ODIO (The Wilby Conspiracy). Regno Unito, 1975; Regia di Ralph Nelson.
C’è una scena, in Il seme dell’odio che, anche a livello cinematografico, esprime il tono di cui è, in modo certo sorprendente, intrisa tutta la pellicola. Jim Keogh, (Michail Caine), un inglese e Shack Twala, (Sidney Poitier), un nero rivoluzionario sudafricano, stanno andando in auto da Città del Capo a Johannesburg, un viaggio di quasi mille miglia. Per la precisione stanno scappando, con i servizi di sicurezza sudafricani e la polizia alle calcagna, una situazione drammatica e quasi senza via di scampo. Su un lungo e monotono rettilineo Keogh, alla guida, si appisola un attimo, finendo fuori strada: dopo averci fatto capire che il sonno ha finalmente vinto l’uomo, il regista Ralph Nelson piazza la macchina da presa ferma, mentre l’auto la supera un attimo prima di deragliare fuori dalla carreggiata. Si ode il fracasso, ma l’inquadratura rimane sulla strada ora deserta; sennonché, durante i rumori della macchina che si ribalta, l’immagine si mette a traballare, accompagnando il sonoro dello schianto con forti sobbalzi della visuale ancora ferma sulla strada; un effetto tipico dei cartoni animati. E quando l’inquadratura va sull’auto capottata, i due uomini sbucano simultaneamente dai finestrini, con l’inglese che beffardamente si lamenta della guida del sudafricano (che non era alla guida). Il fatto sorprendete a cui si accennava prima, è che il tono è ironico pur se il tema del film è l’apharteid, in un periodo in cui non è che fosse tanto salubre scherzarci sopra; forse Nelson ci si arrischia perché ha ben dimostrato con il suo curriculum (Tick… tick… tick… esplode la violenza, Soldato blu) che non può certo essere accusato di essere un suprematista bianco.
In ogni caso, la miscela orchestrata dal regista americano funziona: Il seme dell’odio è un gradevole, divertente, film d’avventura che approfitta dell’ambientazione per mettere in mostra una delle peggiori aberrazioni che la cultura occidentale abbia mai sviluppato. A pensarci bene, il tono ironico è forse anche l’unico che consente di mostrare il Sudafrica della discriminazione razziale senza scadere nel ridicolo: perché, se non fosse che si tratta di un problema tragicamente reale, è evidente che le tesi razziste che animano gli afrikaner (i bianchi del Sudafrica) li rendono ridicoli, nella loro minuscola meschinità. In ogni caso l’ironia consente a Nelson di sferzare la sua critica alla società razzista sudafricana senza appesantire il film e, di conseguenza, smorzarne la portata. Il seme dell’odio è quindi un film appassionante in cui, per assurdo, pur essendo Caine e Poitier due autentici assi, la parte del leone la fa un cattivo, il maggiore Horn (Nicol Williamson) che quando è in scena ruba la ribalta a tutti. Bene anche Rutger Hauer, pur se in un ruolo secondario, mentre è, tutto sommato, ben impiegata la deliziosa Prunella Gee nei panni, spesso succinti, di Rina, la fidanzata di Keogh.
sabato 26 giugno 2021
IL GRANDE GIORNO DI JIM FLAGG
839_IL GRANDE GIORNO DI JIM FLAGG (The good guys and the bad guys). Stati Uniti, 1969; Regia di Burt Kennedy.
A vederlo sembra un western un po’ fuori tempo
massimo, sebbene al tempo il genere non stesse ancora agonizzando, rivitalizzato dalle
correnti crepuscolari o europee; eppure questo è l’effetto che fa Il grande giorno di Jim Flagg. Forse
vedere un uomo come lo sceriffo Flagg (nome che echeggia il significato di bandiera e che è interpretato da una
vera bandiera del western classico
come Robert Mitchum) messo in pensione senza troppi scrupoli da un sindaco che ha la faccia da schiaffi di Martin Balsam, ci fa capire che qualcosa non sia più come un tempo. Comunque, a
parte questa vena nostalgica, cavalcata tra l’altro con buona capacità dal
regista Burt Kennedy, il film si lascia vedere con piacere soprattutto per
l’ottimo cast. L'esplicito compiacimento con cui gli attori (quanto mai players, giocatori, come si usa dire in
inglese) recitano, soprattutto Mitchum e il suo rivale/alleato George Kennedy,
qui chiamato ad un'altra ottima interpretazione, tengono vispa l'attenzione dello spettatore. Nel cast vanno ricordati anche John
Carradine e il figlio David, oltre ad un insolitamente ricco, per un western,
schieramento femminile. Si va dalla voluttuosa Tina Louise, alla delicata Luis
Nettleton, all’esuberante Kathleen Freeman fino alla mitica Marie Windsor (da
ricordare a memoria almeno per le parti in Le
Jene di Chicago e Rapina a mano
armata). Insomma, un buon western, divertente e ben recitato, nel quale il
tema della vecchiaia dei protagonisti si somma a quello del genere cinematografico, ma non
aspettiamoci un grande approfondimento da un’operazione di puro svago e
intrattenimento, per altro ben confezionata.
Tina Louise
giovedì 24 giugno 2021
IL CARDINALE
838_IL CARDINALE (The Cardinal). Stati Uniti, 1963; Regia di Otto Preminger.
Tra i tanti aspetti che colpiscono in un film corposo ed
importante (per via della durata, ma anche dei temi trattati) come Il Cardinale di Ottto Preminger, il
primo a sorprendere, almeno in ordine di tempo, è il modo in cui viene
utilizzato il talento artistico di Saul Bass. Per questo film l’artista
newyorkese produce la grafica dei manifesti, e lì il suo lavoro è abbastanza
tipico, mentre per i titoli di testa, sul momento, può sembrare un po’ come se
il suo genio artistico fosse messo in secondo piano. E’ evidente che non siamo
di fronte a situazioni del calibro di Anatomia
di un omicidio o L’uomo dal braccio
d’oro, due precedenti film di Preminger che erano introdotti dai folgoranti
credits animati del geniale artista. In
quest’opera, i titoli di testa, per altro scritti con caratteri tipicamente
stilizzati in perfetto stile Saul Bass, scorrono piccoli e non invadenti su una
serie di riprese della Città del Vaticano; riprese cinematografiche, e quindi
immagini vere, insomma, e non disegni stilizzati come ci si attenderebbe da
un’operazione che veda coinvolto il designer.
Eppure… eppure l’idea generale è simile ai titoli di testa dei film citati: le
riprese di Preminger sono studiate da apparire quasi astratte, praticamente
simili ai disegni di Saul Bass. Ma questo può forse significare che, se i
casi laici e scabrosi dei film precedenti (omicidio e
droga) necessitavano di una resa simbolica, stilizzata, per poter essere
affrontati, questo non è necessario nel momento in cui ci si accosta ad
un’istituzione come
E l’apparente eccessiva lunghezza de Il Cardinale forse vuole indicare che non si tratta del solito sguardo analitico, quasi astratto, di Preminger, perché un’istituzione come
Ma allora
martedì 22 giugno 2021
LA BANDA DEGLI ONESTI
837_LA BANDA DEGLI ONESTI . Italia; 1956; Regia di Camilla Mastrocinque.
Anche stavolta, Camillo Mastrocinque si conferma valido regista, in grado come pochi di gestire al meglio una presenza in un certo
senso ingombrante come quella di Totò. In questo La banda degli onesti il comico napoletano è la figura centrale,
ovviamente, ben coadiuvato dalla spalla Peppino de Filippo con cui si muove agilmente su storia
costruita dal duo Age & Scarpelli (soggetto e sceneggiatura) orchestrata con maestria. Ulteriore merito della struttura alla base del film, anche gli altri personaggi che compaiono nella storia sono funzionali ad un meccanismo
che ruota tutt'intorno alla banda degli onesti del titolo, ovvero il trio
di protagonisti (oltre a Totò e Peppino c’è anche Giacomo Furia). Il pretesto
narrativo è interessante: Antonio Bonocore fa il portiere di un complesso
condominiale e un inquilino, in fin di vita, pentitosi per il furto, gli
consegna gli stampi autentici per stampare banconote da 10.000 lire, con la
richiesta della promessa di distruggerli. Antonio non ne vuole sapere, in
quanto onesto; ma l’obbligo di una promessa fatta sul letto di morte, lo 'costringe' moralmente a prendere la valigia ed occuparsene. Da qui, la
tentazione lo farà ladro, e finirà per coinvolgere Giuseppe Lo Turco (Peppino),
tipografo, e Cardone (Giacomo Furia) pittore, allo scopo di falsificare un po’
di banconote. Dopo mille peripezie il tutto si risolverà per il meglio,
naturalmente, dal momento che si tratta comunque di una semplice commedia per
sorridere un po’. L’importanza del film, oltre che basata e sorretta dalla verve di Totò e
Peppino, è però più profonda: la storia raccontata ne La banda degli onesti smentisce il luogo comune che l’Italia sia un
paese di mariuoli, ma ci pone altri interrogativi. Innanzitutto Antonio rimane
invischiato nella faccenda dal momento che si sente in obbligo verso il vicino a cui ha fatto una promessa in punto
di morte; perché di suo se ne sarebbe stato alla larga. C’è quindi un'onestà di
fondo, anche se è vero che in ogni caso poi il nostro cede alla tentazione. L’aspetto
veramente interessante della storia è però rivelato nel finale, quando si
scopre che tutti e tre i complici hanno preferito non spendere il denaro falso,
ma piuttosto indebitarsi per comprare chi le scarpe e chi il cappotto nuovi.
Questo è un passaggio curioso perché conferma quell’onestà di fondo di cui si
diceva sopra, dell’italiano medio, che però, e qui sta la vera sorpresa, quasi se
ne vergogna e, per nasconderla, per evitare di essere additato come onesto e
quindi poco furbo (in questo caso agli occhi dei complici), ricorre addirittura
ad un prestito. Quindi si ricorre all’indebitamento non tanto per la brama per
l’oggetto nuovo da sfoggiare ma per non passare per fesso, del timoroso che
non spende i soldi fasulli e quindi disonesti.
Insomma, la retorica dell'italietta, quella autartica del dopoguerra, alla lunga viene fuori lo stesso e se non ci vuole ladri ci dipinge come codardi.
Insomma, la retorica dell'italietta, quella autartica del dopoguerra, alla lunga viene fuori lo stesso e se non ci vuole ladri ci dipinge come codardi.