1110_PATTON, GENERALE D'ACCIAIO (Patton). Stati Uniti 1970; Regia di Franklin J. Schaffner.
Si sa che le biografie sono sempre da prendere con il
beneficio del dubbio; concetto che va raddoppiato per i film biografici ed
elevato a potenza per i film biografici americani. Se poi ci si riferisce a
personaggi inerenti alla Seconda Guerra
Mondiale, è chiaro che ci si scontra con l’evento recente che ha stabilito
lo status quo sugli equilibri di
forza a livello globale e, di conseguenza, anche con la verità storica dei vincitori da rispettare, non sempre coincidente
con l’andamento reale dei fatti. Fatte queste doverose premesse, che valgono in
linea generale, Patton generale d’acciaio
è un film interessantissimo, non solo a livello cinematografico ma anche da un
punto di vista storico. Per una volta il regista di turno non ha peli sulla
lingua e, pur senza scadere in una faziosa contropropaganda, non ha paura a
mostrare le pericolose similitudini esistenti tra l’eroe americano della Seconda
Guerra Mondiale per eccellenza, il generale Patton, e gli odiati nemici
nazisti. Il regista in questione è Franklin J. Schaffner e nel suo racconto
biografico non scade mai nell’agiografia, anche se non esita a riconoscere i
meriti, prevalentemente militari, del suo protagonista. Da parte sua George C.
Scott sfodera un’interpretazione, nei panni di Patton, magistrale; molto bravo,
in tono più dimesso, Karl Malden nel ruolo di Omar Bradley, il generale a cui
si deve il libro da cui è stata in parte tratta la sceneggiatura per il film, opera
di Francis Ford Coppola e Edmund H. North.
E’ curiosa la scena iniziale: la figura di Patton, vestito
in pompa magna, si staglia sullo sfondo di una enorme bandiera americana, che
occupa tutto lo schermo. Sembra un’immagine astratta, simbolica, quasi una
scheggia di cinema sperimentale. Il suo discorso, con il quale sprona gli
uomini della terza armata, pare sia stato reso meno cruento dagli sceneggiatori
rispetto alle parole originali usate dal militare nell’occasione. Perché il
Patton storico è un personaggio difficile da tradurre al cinema: siamo abituati
agli eccessi dei narratori, lo si è detto, e anche in questo Patton generale d’acciaio ci saranno
sicuramente dei passaggi enfatizzati per necessità narrative. Ma il generale
era già di suo un personaggio eccessivo, per sua natura, e quindi il rischio è
che si vada a pensare che tutte le esagerazioni mostrate sullo schermo siano
invece legate all’aspetto romanzato dell’opera.
Per evitare questo effetto, dopo la scioccante scena iniziale, Schaffner contiene il suo narrane nei binari di una fredda cronistoria degli eventi, seguendo le campagne militari del generale. Su questa base abbastanza equilibrata e mai troppo retorica, si innesta l’interpretazione sopra le righe, mimetica eppur teatrale, di George C. Scott, che spicca sia nel contesto generale che nel confronto con il più pacato Bradley interpretato da Malden. Il regista cerca così, forse, di creare sullo schermo, non tanto un’ipotesi di verosimiglianza assoluta, ma la rappresentazione della distanza tra la personalità di Patton e il resto dei partecipanti alla guerra, da Bradley al generale inglese Montgomery, ai tanti soldati della truppa meno convinti del generale d’acciaio. L’ammirazione dei tedeschi per Patton è una conferma in questo senso: che i fanatici nazisti stimino l’eroe americano per eccellenza, contribuisce a rendere l’idea che Patton fosse assimilabile ai dittatori dei regimi fascisti, come del resto viene mostrato da una vignetta umoristica del tempo. Se questa impostazione regge a lungo durante il film, alla fine, nel bilancio definitivo, sembra però che Schaffner, oltre a lanciare il sasso nello stagno della retorica cinematografica a stelle strisce, ritiri poi un po’ la mano. E la figura di Patton nel complesso non ne esce malissimo: un severo padre di famiglia, che sprona i suoi figli (i soldati) a farsi valere, a non rifuggire dalle proprie responsabilità; la lingua troppo lunga e l’incapacità di tacere, possono anche essere viste come un aspetto della sincerità dell’uomo, della sua trasparenza. Un soldato non un politico, incapace, quindi, di mentire o di rilasciare dichiarazioni opportunistiche. La valutazione sulla politica americana è salvaguardata dalla saggezza di Bradley, oltre che dalle buone intenzioni (di fondo) dello stesso Patton. Insomma, un film che prova a stare in equilibrio, mostrando la storia militare del più esaltato tra quelli che gli esaltati (ovvero i tedeschi, gli italiani, i giapponesi della Seconda Guerra Mondiale), li combattevano. Non un’impresa semplice, questo va riconosciuto.
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