1365_LA SPIA IN NERO (The Spy in Black). Regno Unito, 1939; Regia di Michael Powell.
Prima collaborazione tra Michael Powell e Emeric Pressburger
(qui nelle vesti di sceneggiatore)
Tutto questo avviene semplicemente in base al narrato e in modo indipendente dalle parti in causa: inizialmente l’insistenza di Ashington è vista come un intralcio all’operazione orchestrata dai tedeschi e la cosa, in modo naturale, tende ad infastidire lo spettatore, una sensazione che verrà cancellata prevalentemente quando l’abilità narrativa degli autori ci sposta la visuale. Nonostante questo c’è una rappresentazione attenta delle parti in conflitto: gli inglesi, quando vengono poi mostrati, sono tendenzialmente visti in luce completamente positiva. Diverso l’approccio ai tedeschi: inizialmente proviamo una solida empatia narrativa, in quanto lo spettatore deve schierarsi con loro per la riuscita del gioco spionistico della vicenda. Un favore che viene meno mano a mano che emerge la natura gelida e spietata di Hardt, a cui però è concesso un singolare senso dell’onore: scopriamo, infatti, che è disgustato dalla fredda uccisione che pensa abbia subito la maestrina di cui Fräulein Tiel avrebbe dovuto prendere il posto, mentre ritiene legittimi, almeno in tempo di guerra, gli affondamenti vigliacchi opera del suo sommergibile. Un altro aspetto di questa sua singolare attitudine è la scelta di restare sull’isola delle Orcadi con la divisa da ufficiale tedesco e non con gli abiti borghesi, marcando la sua differenza rispetto ad una volgare spia.
È quindi un individuo freddo e determinato, ma anche un militare convinto di agire in fede ad un determinato codice e non un pazzo sanguinario. Ai passeggeri del traghetto che ha sequestrato intima di fare assoluto silenzio, pena la morte, escludendo però esplicitamente dalla minaccia il neonato (che infatti comincia a piangere rumorosamente). Insomma, anche la spia inglese che veste i panni di Fräulein Tiel alla fine se ne accorge: c’è qualcosa di affascinante, nel comandante Hardt. Ma non avrà nemmeno la possibilità di farsi venire qualche rimpianto per aver respinto le sue avances: ironicamente, il sommergibile avvista il traghetto ora sotto la guida di Hardt e l’affonda. Gli autori non mancano di sottolineare l’assurdità della guerra, chiudendo la vicenda con i tedeschi che affondano proprio il loro capitano. Di contro, va detto che nel film ci sono anche degli interessanti passaggi che sottolineano l’efficienza militare della marina britannica, ad esempio nelle scene dello sgancio di bombe di profondità per danneggiare l’U Boat tedesco. Il traghetto intanto è spacciato, per fortuna ci sono scialuppe per tutti, ma il capitano tedesco non è il tipo da abbandonare la nave, nemmeno quando non è la sua. E se questo può sembrare difficile da comprendere, è forse qui che è posto l’accento del film, sul problema alla base di tutte le guerre. La difficoltà a comprendersi: Powell e Pressburger ammettono di non riuscirci, mettendo in scena un nemico di difficile decifrazione; ma perlomeno hanno cominciato a rispettarlo. Che, nel 1939, non era cosa proprio così scontata.
Valerie Hobson
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