900_LA MOSCA (The Fly); Stati Uniti, 1986; Regia di David Cronenberg.
La Zona Morta era stato, per David Cronenberg, una sorta di diversivo, dopo che con Videodrome aveva espresso al meglio la sua sensibilità cinematografica in un’operazione che, se l’aveva esaltato più che sfinito, aveva reso necessaria una piccola parentesi per staccare un attimo la spina. Non che il testo tratto da Stephen King sia da ripudiare dalla filmografica del regista canadese ma, in effetti, La Zona Morta sembra più che altro un confronto con un altro grande interprete della cultura horror del periodo, quasi per evidenziarne le differenze e affermare la propria poetica in modo meno viscerale ed intenso di come abitualmente lavorava Cronenberg. Ma, dopo la estenuante e vana trattativa con Dino De Laurentiis per girare Total Recal, l’autore nato a Toronto aveva bisogno di tornare ad immergersi completamente in un nuovo progetto. L’occasione, offertagli dal geniale Mel Brooks, fu La mosca, remake de L’esperimento del Dr. K (1958, regia di Kurt Neumann) film horror fantascientifico tratto dal racconto The Fly di George Langelaan, in cui Cronenberg ha carta bianca e trasforma in assoluto capolavoro. Il regista non si cura più di tanto dei testi precedenti così come della sceneggiatura che gli viene proposta, di cui assorbe quello che gli sembra famigliare alle sue tematiche per sviluppare poi il suo racconto piegandolo alle proprie necessità. Con La mosca Cronenberg consacra il suo lavoro mostrandone lo scopo esplicitamente sullo schermo: nel teletrasporto tra le due capsule c’è la chimica del geniale autore canadese anche se, ovviamente, messo in scena come una tipica storia dell’orrore.
In realtà, pur rifacendosi ad un vecchio classico, quello di Cronenberg è un horror differente dall’abituale prodotto di quegli anni; certo, se è vero che La mosca era diverso dai vari Halloween o Venerdì 13, è per altro vero che qualche analogia col filone più politico (si pensi a Nightmare - Dal profondo della notte di Wes Craven o a Society – The Horror di Brian Yuzna) si potrebbe trovare. Ma si tratta di attinenze di circostanza, probabilmente, come del resto per quel che riguarda quelle che furono notate al tempo con l’AIDS, che in quegli anni furoreggiava mediaticamente, perché La mosca è soprattutto un testo che si rifà alla poetica del suo autore. Anzi, che ne trova la chiave, l’essenza.
Con i testi horror coevi, d’altra parte, sia La mosca che Cronenberg avevano in comune i turbamenti per i cambiamenti del corpo: nelle storie dell’orrore questi avevano una matrice adolescenziale, perché è in quella fase della vita che l’individuo si trasforma fisicamente, per il cineasta la questione era più legata alla malattia (categoria in cui si poteva includere anche la vecchiaia, almeno per questo tipo di discorso) perché era il momento in cui la mente umana razionalizzava il suo essere precaria. Il rapporto con il proprio corpo era sempre stato al centro del lavoro di Cronenberg, un autore che non si accontentava di quello che appariva in superficie ma voleva entrare nel profondo, nell’interno. Ma con La mosca ciò diveniva ancora più esplicito, attraverso il personaggio di Seth Brundle (uno straordinario Jeff Goldblum) quando questi si rendeva davvero conto che la sua orribile trasformazione, che aveva punti evidenti di contatto con un cancro aggressivo ma qualcuno anche con il più banale divenire anziani, ne minava l’umanità. In fondo, sebbene La mosca passi spesso per essere il primo successo hollywoodiano di Cronenberg, il film è girato a Toronto, che fornisce la classica fredda e anonima ambientazione dei film del regista fin lì.
E con La mosca viene proposto ancora il contrasto tra l’asettica e stilizzata architettura in esterni, per esempio l’edificio dove lavora Veronica (un’adorabile Geena Davis), e quello pulsante e vivo del decor del laboratorio di Brundle. Interno, questo, nel quale avviene una trasformazione legata al viaggiare, allo spostarsi, attività tipicamente da farsi all’esterno: come detto con La mosca l’itinerario del cinema di Cronenberg diviene esplicito come mai prima d’ora. E anche l’aspetto metalinguistico, vera caratteristica della poetica del canadese, è sancito in modo inequivocabile: il protagonista del film, che può essere inteso come sorta di alter ego del regista, si specchia nella sua partner che, di fatto, lo riprende con una videocamera durante i suoi esperimenti.
Il rapporto speculare tra Brundle e Veronica è sia visibilmente evidente nella similitudine dei due protagonisti (statura, forma originale del viso, capelli, ecc.) sia legato al fatto che i due interpreti al tempo avevano una relazione sentimentale. Pur se questa somiglianza era stata ricercata dal regista, nell’ottica di rendere interscambiabile metaforicamente il lavoro dei due (ricreare la vita col teletrasporto e riprodurre su schermo la stessa con la videocamera), Cronenberg dovette chiedere a Geena di non eccedere nel suo imitare Jeff, com’era invece abituata scherzosamente fare nella loro vita privata. Questa somiglianza evidenzia l’interscambiabilità degli elementi della coppia ed è avvalorata dallo sviluppo della relazione tra i due. Inizialmente è Veronica ad essere più sensuale, la sua eleganza al party, mentre Brundle ha una serie di completi ossessivamente e banalmente tutti uguali. Poi, simbolicamente con la cessione di una calza di nylon, chiaro elemento di seduzione, avverrà il trasferimento, verrebbe da dire un teletrasporto, della carica erotica da un soggetto della coppia all’altro. Di lì in poi, infatti, la ragazza comincerà a sfoggiare un abbigliamento assai più castigato e ben poco seducente; dal canto suo Brundle esibirà la propria prestanza fisica in modo decisamente erotico, incarnando anche uno degli stereotipi maschili del periodo.
Ma, sia dalle parole tra sé e sé dell’uomo, sia dal fatto che la cosa non si veda e neppure si veda poi traccia del filmato, sembra davvero una frase di circostanza. In ogni caso, senza l’occhio esperto del cinema, del regista che cura la ripresa come fa Veronica, le cose poi vanno male. Coincidenza? Nello specifico del narrato ovviamente sì ma, simbolicamente, no, perché è proprio compito del cinema cercare le risposte ai nostri problemi. E’ infatti Veronica, la filmmaker tra i due, che trova la risposta al quesito tecnico del teletrasporto assaggiando la bistecca ed è sempre lei a cui si rivolge Brundle per dare fine alla propria vita.
Vitale come solo un parassita, o il cinema di Cronenberg, sa essere.
Nessun commento:
Posta un commento