IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE
1091_SNIPER. THE WHITE RAVEN . Ucraina 2022; Regia di Marian Bushan.
Da Cane di Paglia (1971, regia di Sam Peckinpah) tutti dovrebbero aver imparato che può essere pericoloso pestare troppe volte i calli alle persone miti e pacifiche. Ma evidentemente il film con Dustin Hoffman non deve essere arrivato oltrecortina, cosicché russi e filorussi ne ignorano il significato sebbene, per la verità, lo stesso pretesto narrativo si può trovare in dozzine di altre pellicole. Lo spunto alla base di Sniper: the White Raven non è, si è capito, troppo originale: Mykola (Aldoshyn Pavlo, attore da Hollywood) è un uomo mite, ecologista e pacifista. Di lavoro fa il professore in una scuola tipo liceo e vive con sua moglie Nastya (Maryna Koshkina) in una capanna nel Donbass, utilizzando energie ecologiche e rinnovabili senza produrre rifiuti. Tra gli studenti, il galletto della classe lo bullizza, per il suo essere forestiero, mentre una troupe televisiva si reca ad intervistarlo, per via del suo ecologismo, ma anche questa non sembra essere favorevolmente impressionata. Non è quindi così ben accettato dalla comunità tuttavia l’uomo mite sopporta senza darsi troppo pensiero. In ogni caso, se per Mykola e Nastya la vita è sinonimo di felicità non è certo per gli abitanti del posto, il famigerato Donbass del 2014. Ma, si può facilmente immaginare, il peggio deve ancora venire: a Kiev scoppia la rivolta di Euromaidan, a cui segue la vicenda in Crimea, poi la grana arriva fino a est, nel Donbass, appunto. A casa dell’uomo mite e pacifico arrivano due filorussi: non la miglior visita che ti possa capitare. Risultato: Nastya, che era incinta, ammazzata brutalmente e Mykola pestato a sangue. Ora Mykola non ha più nessun motivo per essere mite: si arruola nell’esercito di Kiev per divenire addirittura un cecchino.
Di prima classe, per giunta. Nonostante il film si intitoli Sniper: the White Raven, la figura del cecchino è stigmatizzata anche nello stesso lungometraggio, dalle parole di uno dei militari istruttori: del resto il cecchino è il peggior ruolo che ci sia, in una cosa pessima già di suo come la guerra. Mykola, nella sua vita precedente, era del tutto estraneo a questo approccio ma, e qui sta il significato del film, perfino un uomo mite come lui non può rimanere indifferente all’aggressione russa. Insomma, la gravità dell’attacco di Mosca è tale che, per darne l’idea, il regista Marian Bushan, anche cosceneggiatore, da uno spunto reale enfatizza i toni fino ad un tasso spettacolare, tanto che il film può essere inteso anche come propaganda e ce ne è la consapevolezza.
Il punto è che gli autori sembrano voler appositamente lavorare per eccesso – perfino un ecologista pacifista diviene il più malefico dei soldati, il cecchino di prima classe – ma la giustificazione è che la situazione scatenata dalla Russia meriti questo tenore del racconto. La produzione del film è ucraina, ma Sniper: the White Raven si presenta come un blockbuster hollywoodiano e forse non a caso è stato distribuito prima negli Stati Uniti, dopo l’anteprima in Estonia, che nel proprio paese. Insomma, non c’è solo da vincere una guerra, in Ucraina, ma da costruire l’epica di un paese che è stato costretto, proprio come Mykola, ad abbandonare il pacifismo. Nel film, infatti, si rievoca che l’Ucraina aveva il terzo arsenale nucleare al mondo ma che venne dismesso con l’accordo, a cui aderì la Russia in prima persona, a vedersi rispettare i propri confini nazionali. La vittoria militare non è ovviamente cosa semplice, ma la speranza di ottenerla passa giocoforza dalla costruzione di una forte identità nazionale e l’America insegna che il cinema, e il genere bellico nello specifico è secondo solo al western, è il miglior carburante possibile per ottenerla. Sniper: the White Raven che è tra l’altro un buon film, certifica che gli ucraini l’hanno capito e han capito anche come fare.
Maryna Koshkina
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