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giovedì 7 gennaio 2021

SILVERADO

714_SILVERADO . Stati Uniti; 1985. Regia di Lawrence Kasdan.

Nel 1980 I Cancelli del Cielo sembrava aver seppellito ogni velleità per il genere western, insieme alla United Artists, lo studio che fallì a causa del fiasco di Michael Cimino. In seguito a quel clamoroso buco nell’acqua, per anni, ad Hollywood, non si girarono quasi più western. Poi, pare che, per via di una scommessa tra Clint Eastwood e Lawrence Kasdan, nel 1985 uscirono due titoli assolutamente degni di nota: Il cavaliere pallido, opera del primo, e Silverado del secondo. A differenza di Eastwood, che era un esperto in materia e non poteva certo essersi dimenticato come gestire il western solo perché si era negli anni 80, Kasdan non si era mai cimentato con il genere in nessuna delle sue vesti di polivalente cineasta (era stato sceneggiatore e produttore, oltre che regista). Ma il suo approccio al western, benché avvenuto nel momento meno propizio della Storia, è sorprendentemente competente ed interessante. Già il titolo ci mette un po’ sull’avviso: Silverado, che è il nome della città in cui si svolgeranno molti eventi raccontati nel film, fa un po’ il verso a El Dorado, un classico di Howard Hawks con John Wayne e Robert Mitchum. Storicamente l’El dorado è un luogo leggendario in cui abbonderebbe l’oro; e il film di Hawks appartiene in effetti alla golden age del genere western. Kasdan abbassa quindi i toni delle pretese, al contrario di come aveva operato Cimino con I Cancelli del Cielo, visto che Silverado sembra da intendersi come un luogo ricco di argento. Prezioso, certo, ma non paragonabile al metallo aureo: Kasdan prova cioè ad inaugurare una silver age per il western di cui il suo film sarebbe potuto essere un perfetto punto di avvio. 

Purtroppo il suo esempio languirà inascoltato ancora a lungo, e il western vivrà di sporadiche fiammate. Peccato, in ogni caso Silverado è davvero un film notevole. La passione e la conoscenza di Kasdan per il cinema permea tutto quanto il lungometraggio con una vena metalinguistica tipica del nuovo corso hollywoodiano, che percorreva anche i film delle saghe di Guerre Stellari e Indiana Jones a cui George Lucas gli chiese di collaborare come sceneggiatore. In Silverado i riferimenti alla storia del genere western si sprecano ma non sono affatto messi a caso o solo a titolo di riverente omaggio, ma servono per indirizzare l’avventura raccontata, stabilendone le coordinate narrative. L’incipit, splendido, è già esplicito in tal senso. Siamo in un luogo chiuso e buio quando si spalanca una porta e Emmett (Scott Glenn) viene svegliato a suon di colpi di arma da fuoco. 

Emmett è veloce e, senza farsi troppe domande, siamo pur sempre in un western, risponde al fuoco con efficacia. Ma arrivano altri colpi da fuori che provocano fori nelle pareti di legno da cui filtrano prepotenti raggi di luce, con un effetto scenico notevole. Una volta risolto anche il suo secondo problema, Emmett esce dal tugurio, che scopriamo essere una piccola baracca in legno in una zona desertica: la telecamera lascia lo spazio confinato e si apre di fronte al panorama mozzafiato del sudovest americano, mentre arriva il tema sonoro del film, opera di Bruce Broughton, una musica maestosa ed epica degna di un classico della golden age. Kasdan si rende conto che i tempi sono cambiati e il suo personaggio, Emmett, sembra il tipico protagonista dei western crepuscolari, anche nello scegliersi di rintanarsi nella piccola baracca piuttosto che dormire sotto le stelle, ma lo sprona (e si sprona e ci sprona) a guardare ai grandi classici del genere (la ripresa del paesaggio con la musica) per non perdere di vista la vera natura del western. E il suo Silverado riuscirà perfettamente in questo, con una storia in cui trionferanno i grandi valori tradizionali come l’amicizia e il senso di giustizia mentre, almeno stando al finale, per l’amore ci sarà tempo in seguito. Il tutto con il corollario di immagini in cui la bellezza dello splendido paesaggio del west è un costante riferimento. Cionondimeno Kasdan, da buon appassionato, non trascura gli aspetti positivi apportati dalle varie correnti che hanno influenzato il genere: Paden (Kevin Kline) che inizialmente gira per la cittadina senza vestiti mostrando il tipico indumento intimo dell’epoca, mutandoni a calzamaglia rosa, in quei momenti sembra proprio essere un rimando al Trinità interpretato da Terence Hill. 


Del resto, la vena ironica e farsesca percorre tutto il film e si concretizza maggiormente nel personaggio di Jake (Kevin Costner): già il suo look, con il cappello che lo fa quasi sembrare Chico dei fratelli Marx, è indicativo, ma il giovane scavezzacollo oscilla costantemente tra il buffone e l’acrobata. Quando mette proprio il suo ridicolo cappello al cavallo e un po’ involontariamente si cimenta in una classica gag delle comiche insieme al nipotino, col maldestro tentativo di questi di saltare in groppa al quadrupede che immancabilmente si sposta al momento meno opportuno, sembra anche incarnare un tipico esponente degli ultimi spaghetti western, quelli un po’ demenziali. La sua scena forse più famosa, quella in cui vince due duelli contemporaneamente disposti lungo due direzioni diverse, è come facesse convergere, a ritroso dalle traiettorie dei colpi delle sue pistole, le sue due anime, quella ironica e quella funambolica. Quest’ultima emerge prepotente in altri passaggi, soprattutto per via della sua prestanza atletica e, se è comunque in linea con quegli stessi attori della corrente italiana come Giuliano Gemma o Terence Hill, nel Jake di Costner ricorda maggiormente Steve McQueen de I Magnifici Sette (1960, regia di John Sturges). Il film di Sturges era stato forse il primo ad introdurre una nuova figura di anti-eroe nel genere western, dando vita al filone crepuscolare. L’idea di un gruppo di personaggi discutibili che si coalizza per difendere i contadini dal prepotente di turno è ripresa pari pari in Silverado e quindi il rimando ci sta tutto. Per altro, per numero di componenti, in questo caso quattro (ai tre citati manca da aggiungere Mal interpretato da Danny Glover), il gruppo ci riporta ad un'altra squadra di anti-eroi che ha fatto la storia del western, ovvero quelli nel finale de Il Mucchio Selvaggio (1969, regia di Sam Peckinpah). 

Ma Kasdan sa, da buon sceneggiatore, che il western è un genere dove il racconto deve avere il suo spazio vitale centrale per sostenere l’intera struttura e quindi, tutti questi rimandi altro non sono che semplici puntelli che incanalano il film verso una solida riuscita. Nel finale i quattro eroi si separano in direzioni diverse, a significare che le strade del genere possono essere ancora molteplici: Mal torna alla sua proprietà con la sorella Rae (Lyn Whitfield), Paden resta per divenire sceriffo, Emmett e Jake se ne vanno in California. Il tema sentimentale è messo quindi in secondo piano, visto che Mal e Rae sono fratello e sorella, Paden sembra avere solo una simpatia per Stella (Linda Hunt) ma Emmett non chiude ad un possibile ritorno per fare il colono con Hanna (Rosanna Aequette), mentre Jake ha comunque una tresca con la bella Phoebe (Amanda Wyss). Tra gli interpreti vale la pena segnalare Brian Dennehy nei panni dello sceriffo Cobb, John Cleese in quelli dello sceriffo Langston e Jeff Goldblum in quelli di Slick. Un cast notevole per un film di primo rango che ci dice che il western non era (e forse mai sarà) alla fine della pista.
A patto di trovare guide competenti e appassionate come Kasdan.







Rosanna Arquette




Amanda Wyss



4 commenti:

  1. interessante questo tentativo di mettere insieme tutte le varie anime del western... sto anche ascoltando la colonna sonora mentre scrivo il commento, molto anni '80 :)
    un po' di operazione metalinguistica ci può stare ogni tanto, dà un tocco di creatività soprattutto in un film pensato come apripista, basta non abusarne in seguito...
    poi vabbè, la scenetta comica dell'eroe che cade da cavallo c'è pure nel Zorro di Banderas! :P

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  2. mi sono visto una video-intervista a Gianfranco Manfredi dove a un certo punto parla di questo film, dice che ai tempi Rosanna Arquette si è lamentata perchè le hanno tagliato una parte consistente dal film...

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  3. In effetti è un personaggio marginale.
    Non c'entra ma Amanda Wyss era anche in Nightmare. Pensa che ai tempi, la vidi in breve tempo in due film che mi piacquero molto (facevo la mia classifica annuale e quello di Craven era primo nel 84 mentre silverado credo nei primi 10 l'anno dopo). Non penso di averla più rivista.

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  4. non ci avevo mai fatto caso, non sono un fan di Nightmare... di Craven conosco meglio Scream...

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