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giovedì 31 dicembre 2020

INTO THE DARK: L'ULTIMO CAPODANNO

707_INTO THE DARK: L'ULTIMO CAPODANNO (Into the Dark: New York, New You). Stati Uniti; 2018. Regia di Sophia Takal.

Con un cast interamente femminile (per quanto stringato) e una regista Sophia Takal, a dirigere la storia, L’ultimo capodanno fa un po’ il punto della situazione in ottica di quella che, un tempo, veniva definita l’altra metà del cielo. Certo, per evitare di ripetersi nel periodo si poteva usare un’espressione meno vetusta, come ad esempio gentil sesso ma, dopo aver visto il quarto episodio della serie antologica horror Into the Dark, non sembra proprio il caso. Perché si sa, la fine dell’anno è in genere tempo di bilanci e, allora, in questa circostanza, l’idea di sfruttare quella di capodanno come ricorrenza per tracciare una sorta di riflessione sulla condizione femminile che si va delineando, pare quanto mai propizia. La serie di film televisivi, come noto, prevede che gli argomenti dei vari episodi siano inerenti al periodo di messa in onda; stavolta, oltre alla ricorrenza in sé, c’è da osservare una pertinenza storica, del racconto, nel momento in cui la figura femminile, in tempi di social network, ha assunto una rilevanza sociale assai più marcata che in passato. Con risultati forse lusinghieri in tema di influenza sulla collettività, certo, ma spesso non troppo condivisibili: e anche dopo aver visto il film, qualche dubbio sulla presunta gentilezza a prescindere del sesso femminile è ora più che legittimo. E’ quindi doppiamente tempestiva la molto considerata Sophia Takal, con il suo New York, New You, titolo originale certamente più azzeccato della versione proposta in Italia. Al centro della scena, quattro ragazze: a casa di Alexis (Suki Waterhouse) si ritrovano con lei Kayla (Kirby Howell-Baptiste) e Chloe (Melissa Bergland), amiche delle scuole superiori. 

Le ragazze hanno invitato anche Danielle (Carly Chaikin) ma questa è l’unica ad aver sfondato, è una influencer di You Tube e si appresta a passare addirittura in televisione. Danielle è bella, ricca, famosa; difficile che si presenti alla festicciola privata di tre comunissime ragazze. Per la verità Alexis non è poi tanto comune (Suki Waterhouse è una modella), ma vive male il suo aspetto: ha avuto un trauma, proprio ai tempi della scuola, di cui la cicatrice che porta ancora in faccia è il segno visibile. Perché c’è un trauma, da affrontare e superare; d’altronde la serie è di genere horror e, come detto, la festività di fine anno è in questo caso intesa come occasione di bilancio. 

Quindi normale che il punto nevralgico sia qualcosa nel passato, qualcosa che vada regolato con un chiarimento. O una resa dei conti, forse è meglio dire, visto la piega che prenderanno le cose. Ma innanzitutto va precisato che Danielle, ovviamente o inaspettatamente (?), si presenta a casa di Alexis e la tragedia va ad incominciare. Danielle sprizza vanità e falsa stima per le amiche da tutti i pori e la sua esuberanza mette in secondo piano le compagne: Chloe, ragazza sovrappeso, la guarda come una divinità, Kayla, è più misurata, mentre Alexis fatica a celare il fastidio per il comportamento dell’amica. Pian piano si svelano gli elementi del fatto traumatico passato mentre la situazione peggiora fino a precipitare. Ora Alexis ha svelato il suo piano, la festa era una trappola per far pagare a Danielle le sue colpe, costringerla a confessare i suoi trascorsi assai diversi dalla zuccherosità con cui ora tratta le amiche o ammorba i suoi video in internet. 


Danielle era la capobranco di un gruppo, le nostre ragazze, di bulle, che avevano addirittura indotto al suicidio una loro compagna, nella fatale occasione in cui Alexis si era vista sfregiata. La ragazza, promessa della recitazione, non si era più ripresa, mentre Danielle, immune a qualsivoglia forma di pentimento, aveva spiccato il volo diventando una star del web; ironicamente, o meglio ipocritamente, proprio dando consigli a quelle coetanee non troppo diverse da quelle che, nella realtà, aveva invece brutalmente bullizzato. Nonostante L’ultimo capodanno non brilli eccessivamente per messa in scena, la vicenda ha i suoi momenti drammatici e tragici, ben interpretati dalle attrici (ottimo lo scontro fisico tra Alexis e Danielle) e gestiti con perizia dalla Takal in regia. Il quadro generale è abbastanza fosco: i rapporti tra le ragazze sono improntati sull’invidia, sulla falsità, sulla sopraffazione. 

Se Danielle è un personaggio completamente negativo, non molto meglio di lei si dimostra Chloe; semplicemente meno forte perché il complesso di essere sovrappeso non le permette di rivaleggiare con l’amica, a cui si sottomette totalmente nella speranza di vivere di luce riflessa. Sull’altro versante, quello dei personaggi positivi, Alexis lascia qualche dubbio. E’ davvero senso di giustizia, quello che anima la sua vendetta contro Danielle, o è più semplicemente invidia? O una combinazione delle due? La sua è la caratterizzazione più interessante e riserverà una sorpresa non da poco. Meno riuscito il personaggio di Kayla: comprensiva, moderata, senza eccessi negativi, la ragazza completa il quadro politicamente corretto (forse un po’ fuori luogo) col suo essere di colore e omosessuale. Onestamente il suo personaggio sembra un elemento inserito per bilanciare un po’ il gruppo, in modo da fornire un quadro complessivo che possa ritenersi attendibile della situazione generale. In realtà non è che ce ne fosse bisogno e la sostanziale ininfluenza sulla storia di Kayla la fa sembrare davvero un ingrediente aggiunto a tavolino. Alla fine, dopo scontri durissimi nei quali Danielle mostra, in verità, di avere realmente capacità di sopraffazione del prossimo non soltanto circostanziali (come spesso è per i bulletti della scuola), Alexis ottiene il suo scopo. Giustizia o anche vendetta per la compagna morta? No, il posto di Danielle nel programma televisivo.  


 

Suki Waterhouse





Carly Chaikin





mercoledì 30 dicembre 2020

JEKYLL

706_JEKYLL . Italia; 1969. Regia di Giorgio Albertazzi.

Poggiata interamente sulle spalle del suo ideatore, regista e interprete Giorgio Albertazzi, la versione in forma di sceneggiato Rai del romanzo di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, è ancora oggi un prodotto che spiazza e lascia esterrefatto lo spettatore. Ed è proprio questo l’aspetto più interessante perché, in fondo, deve essere la sensazione che provarono i lettori del racconto del 1886 ai tempi della sua pubblicazione. In questo senso, forse, l’intento di Albertazzi, è riuscito più che ad altri che si sono cimentati nell’impresa di dare una forma visiva al racconto: l’opera cominciò ad essere messa sullo schermo nei primi anni del XX secolo, con un’idea, evidentemente, ancora fresca, visto che il romanzo non aveva che pochi anni. Successivamente ha preso corpo una forma che attingeva come riferimento ai film Il Dottor Jekyll (1931, di Robert Mamoulian) e Il Dottor Jeckyll e Mister Hyde (1941, di Victor Fleming). Dopo che questi due colossi hollywoodiani ne avevano sancito le coordinate visive, era un po’ difficile immaginarsi un approccio diverso al romanzo. Non per il talentuoso e istrionico Giorgio Albertazzi, attore di rango teatrale che più che ai trucchi cinematografici (in particolar modo per mettere in scena la trasformazione da Jeckyll ad Hyde) fa ricorso alla sua straordinaria verve mimica.  Un paio di lenti a contatto che sbiancano le pupille, quasi a indicare che Hyde sia il negativo di Jeckyll, e poi ci pensa l’attore toscano con la sua interpretazione a fornirci una versione del cattivo della storia memorabile oltre che sottilmente inquietante.

 In questa linea, marcatamente molto autoriale e quasi teatrale, si inserisce l’ambientazione negli psichedelici anni 60 inglesi; non troppo realistica, per la verità, ma pregevole per la vena astratta che assume nel complesso, a vederla oggi forse più che allora. A bilanciare il testo, diversamente dal sapore fin troppo sperimentale, ci pensano le robuste interpretazioni di Massimo Girotti (è Utterson) e Cladio Gora (il professor Lanyon) mentre una manciata di attrici, tra le quali spicca Bianca Toccafondi, contribuiscono, più che altro, sul piano scenografico. Nel complesso un’opera interessante, legata al magnetismo interpretativo di Albertazzi, con alcuni passaggi da brividi, come il pestaggio col bastone del povero Carew in cui l’Hyde dell’attore italiano è particolarmente evocativo. Certo, la particolare struttura narrativa, l’inaspettata impostazione generale, la scelta del tempo di attualizzare la storia negli anni sessanta inglesi (rappresentati in modo poi forse troppo stilizzato), tutto questo amalgama azzardato dà oggi forse un’idea poco omogena e coerente del racconto filmico. Ma coraggiosa.  






Bianca Toccafondi



martedì 29 dicembre 2020

LA DALIA AZZURRA

705_DALIA AZZURRA (The Blue Dahlia). Stati Uniti; 1946. Regia di George Marshall.

Se ci si deve attenere a quanto è rimasto sullo schermo, La Dalia Azzurra è certamente un valido esempio di noir degli anni Quaranta. E’ abbastanza evidente che si tratta di una produzione che la Paramount imbastì per mettere ancora in scena la loro coppia regina del genere, Alan Ladd e Veronica Lake, attorno alla quale gira tutta quanta la storia. Certo, il soggetto e la sceneggiatura, opera di Raymond Chandler, offrono più d’uno spunto di interesse superiore alla norma ma, nel complesso, la confezione formale del regista George Marshall e lo charme patinato della coppia di protagonisti finiscono per avere la meglio. Non che la cosa dia fastidio, in sé per sé, sia chiaro: Marshall è uno che conosce il mestiere, Ladd è un ottimo protagonista e Veronica non sarà Katharine Hepburn ma le basta la chioma biondo platino per tenere in modo adeguato la scena. E’ un film noir, un film di genere, e quindi porta iscritto nel suo stesso essere le ragioni della sua riuscita; attenersi ad una certa convenzionalità non è, in questi casi, necessariamente un difetto. Ad esempio La Dalia Azzurra esplicita sin dal soggetto il legame tra la Seconda Guerra Mondiale e il noir, certificando come i problemi e i turbamenti che il genere manifestava fossero alimentati dal conflitto e dalle sue conseguenze. Però, anche senza ascoltare i rimbrotti di Chandler, pare altresì evidente che la pellicola avrebbe potuto essere ben altro. 

Tutta quanta la storia sembra portarci verso un finale spiazzante ed amaro, con Buzz (lo strepitoso William Bendix) che, in preda ad uno dei suoi attacchi dovuti alla piastra di metallo piazzata nella sua testa, abbia ucciso Helen (Doris Dowling), moglie fedifraga di John (Alan Ladd), suo comandante sotto le armi. Chandler era anche un giallista e, fino ad allora, ci aveva indirizzato verso Eddie Harwood (Howard Da Silva), losco maneggione nonché marito di Joyce (Veronica Lake) e perfetto colpevole. Gli incroci che la vicenda prevede (Eddie è l’amante di Helen mentre John è sotto le armi e il militare, quando ritorna a casa e scopre la tresca, se ne va nella notte per essere raccolto per strada proprio da Joyce), sono un po’ troppo forzati e non depongono certo a favore del lavoro di Chandler. 

Il quale, quindi, piuttosto di lamentarsi dei dialoghi improvvisati da Marshall sul set o della scarsa abilità recitativa della Lake, avrebbe forse fatto meglio ad evitare certi eccessi di praticità narrativa degni di un fumetto da quattro soldi e non di un soggetto per un film hollywoodiano. Questo è forse ingiusto nei confronti di uno scrittore del calibro di Chandler, è vero, ma è un dato di fatto che se il film non raggiunge l’apice sperato, per colpa delle ingerenze della Marina Militare Americana, è anche vero che la funzionalità complessiva è agevolata dallo charme hollywoodiano dei protagonisti e dalle capacità della messa in scena del regista. Il punto nevralgico è proprio il fatto che non si sia potuto inscenare la colpevolezza di un reduce della Seconda Guerra Mondiale, che avrebbe dato tutto un altro sapore alla storia; che era poi l’intento di Chandler, è evidente. Tuttavia, pur con il controfinale un po’ stiracchiato, La Dalia Azzurra rimane un degno esempio di film noir, certamente meno incisivo di altri ma ugualmente interessante.  






Doris Dowling




Veronica Lake







lunedì 28 dicembre 2020

L'INDOMABILE ANGELICA

704_L'INDOMABILE ANGELICA (Indomptable Angelique). Francia; 1967. Regia di Bernard Borderie.

Il quarto episodio delle avventure della bellissima Angelica, lascia le corti reali e le ambientazioni, urbane o campagnole, della Francia del XVII secolo, per una storia che, con le sue vicende che si sviluppano nel Mediterraneo (o al massimo su un’isola o su una città portuale), la collocano in quel genere di avventure marinaresche che, al cinema, costituisce una categoria a sé stante. E, proprio come nella maggior parte di queste storie ambientate sui sette mari, ci sono ovviamente i pirati sebbene ne L’indomabile Angelica non vengano definiti come tali. Ma già il comportamento del Rescador, l’imbarcazione sotto la guida di Jeoffrey, il marito di Angelica, per quanto motivato da una causa rispettabile, è assimilabile a quello di una nave pirata; definizione invece fin quasi troppo nobile per lo scafo del marchese d’Escrainville che, come uno sciacallo, si avventura nelle acque di ogni naufragio per raccogliere eventuali superstiti da vendere poi come schiavi. E questa sarà la sorte di Angelica che, precedentemente, si trovava a bordo di una galera, un’imbarcazione tipica del periodo, sulla quale cercava di condizionare il capitano, il duca di Vivonne, ad assecondarla nella ricerca del marito scomparso. Tra Angelica e i comandanti delle navi, il duca di Vivonne prima e il marchese d’Escravinville poi, si scandaglia in modo un po’più approfondito il tema sadomasochistico da sempre sottinteso alla saga della bella nobildonna: il duca si lascia sottomettere dalla donna, mentre il marchese (da buon marchese, appunto, De Sade docet) gode nel maltrattarla. Due le scene interessanti: ad Angelica che si fa togliere gli stivali (quelli alti fino a mezza coscia, da vera piratessa) dal buon Vivonne, che per farlo le si inginocchia di fronte, fa da contraltare la brutalità del Marchese, che la strapazza mentre è in preda all’oppio. Memorabile, in questo passaggio, un dialogo, quando la ragazza si accorge della condizione alterata dell’uomo ed esclama: Siete ubriaco! E d’Escrainville, in risposta: No. Sono pazzo! 
Su queste navi, insieme ad Angelica, possiamo notare alcuni aspetti tecnici e storici della navigazione seicentesca, che i capitani si premurano di spiegare alla ragazza e, nel contempo, a noi. Insomma, l’aria di mare fa molto bene alla saga che riprende nuovo slancio, tanto che questo episodio rivaleggia con il primo per piacere della visione. Avrà forse fatto bene anche a Michele Mercier, perché quando la portano all’asta per essere venduta come schiava, appare bella come non la si era mai vista finora. Una vera meraviglia, ‘giustamente’ pagata dieci volte tanto la già considerevole quota prevista.




  Michèle Mercier