181_THE CANNIBAL IN THE JUNGLE Stati Uniti, 2015; Regia di Simon George
Opportunamente prodotto da Animal Planet, The cannibal
in the jungle si presenta in tutto e per tutto come un moderno documentario
in stile Discovery Channel (del resto
Animal Planet è un canale della Discovery inc.) Per cui è costituito da interviste
con i protagonisti della vicenda, ricostruzioni filmate degli avvenimenti
realizzate con professionalità, e anche immagini autentiche dell’epoca dei
fatti. Oggi, questo tipo di documentario ha raggiunto un livello elevatissimo
di credibilità presso il pubblico: le interviste appaiono come testimonianze
dirette, e quindi attendibili, così come le immagini dei vari reperti filmati,
per quanto povere, alimentano il sapore di verità del testo filmico; le
ricostruzioni servono invece a rendere il tutto più fruibile e, tramite una
scritta in sovraimpressione, l’esplicita ammissione di non-autenticità conferma
l’onestà, e quindi la credibilità, di queste produzioni. In realtà la loro
attendibilità dipende dagli autori, sebbene in quanto documentari in genere è
lecito richiedere agli stessi un minimo di imparzialità di fronte agli eventi
narrati. Non è però il caso di The
cannibal in the jungle. Qui siamo di fronte ad un abilissima manovra di promozione,
che sfrutta appunto questa aurea di credibilità delle immagini video (di antica
tradizione) e di questo recente format
in particolare, per ingannare lo spettatore e quindi terrorizzarlo. Perché The cannibal in the jungle altro non è
che un bellissimo e spaventoso film dell’orrore. Un film che richiama, già dal genere cannibal, quelle produzioni che furoreggiarono negli anni settanta/ottanta e, volendo ben vedere, rifà il verso al più famoso di tutti, il famigerato Cannibal Holocaust (1977, di Ruggero Deodato).
Con la differenza che l’operazione di Animal Planet monda il soggetto da
ogni possibile contestazione (che erano invece il piatto forte dei cannibal-movie storici), virando il
tenore della pellicola all’horror più classico. Ma, in definitiva, si tratta di
un film, ne più ne meno; e se per sospendere l’incredulità degli smaliziati
spettatori i produttori ricorrono a certe piccole scorrettezze, come spacciare per documentario quello che è normale
finzione, poco male: è evidente che il loro intento non è divulgare qualche notizia
infondata, ma creare i presupposti per far cadere nella trappola l’ignaro
fruitore per poterlo poi spaventare.
Nel dubbio, allo spettatore, basterà una piccola verifica su wikipedia per scoprire il bluff. L’importanza e la valenza di The cannibal in the jungle è quindi doppia: da un lato è un ottimo film dell’orrore, davvero terrorizzante; tra l’altro la sua funzionalità è solo incrementata dall’inganno teso agli spettatori, ma non dipende da esso. La
costruzione del racconto è notevole e, grazie ad una sovrapposizione multipla
delle trame (il racconto del sopravvissuto, la ricostruzione degli avvenimenti,
le immagini della vecchia cinepresa, la nuova spedizione negli stessi luoghi)
permette di inanellare colpi di scena uno dopo l’altro. Il film è
indiscutibilmente efficace e ben congegnato e l’arrivo degli hobbit (nel film i cannibali dell’isola
di Flores, Indonesia) è un momento di puro terrore. Ma la bilancia ha anche un
altro piatto, anch’esso positivo, almeno se lo intendiamo come utile monito. Al
netto della sua qualità come opera di mera finzione, The cannibal in the jungle ci lascia con un’inquietudine meno
eclatante ma più corrosiva della paura per i feroci ominidi dell’isola di
Flores. Attenzione a fidarsi dei documentari, per quanto credibili possano apparire, sono sempre una visione parziale e soggettiva. E, specie di questi tempi, questo è un insegnamento da estendere a qualsiasi informazione ricevuta, quale che sia la modalità o la fonte.
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