1105_NON CI RESTA CHE IL CRIMINE . Italia 2019; Regia di Massimiliano Bruno.
Geniale operazione studiata per bene a tavolino, Non
ci resta che il crimine di Massimiliano Bruno, in ossequio alla tendenza
nostalgica che rivaluta tutto ciò che è vintage, gioca a carte scopertissime
facendo di questa l’apparente motivo d’attrazione. Il film è una sorta di
cocktail, ma non lo si deve intendere in modo critico: del resto una delle
canzoni chiave del film, l’indimenticata orecchiabilissima Tre parole
(2001, di Valeria Rossi) fondò il suo successo mettendo in fila “sole cuore
e amore”. Niente di originale, insomma, piuttosto un mix efficace; come Non
ci resta che il crimine del resto. Si prende Non ci resta che piangere
(1984, di Roberto Benigni e Massimo Troisi) e lo si contamina con Ritorno al
futuro (1985, di Robert Zemeckis). Si aggiunge Romanzo Criminale
(film del 2005, regia di Michele Placido e serie Tv tra il 2008 e il 2010,
regia di Stefano Sollima) o direttamente le vicende della Banda della Magliana,
poi via con gli anni Ottanta e la vittoria italiana ai mondiali. Si imposta il
ritmo della storia sul modello di cinema metalinguistico un filo
autocompiaciuto tanto in voga nel terzo millennio, quello che vede i fratelli
Coen o Quentin Tarantino come massimi esempi, per capirci. Sceneggiatura e
regia devono quindi essere solide: come riferimento va bene Hollywood ma anche
i nostrani poliziotteschi dei Settanta ci stanno. Per fare bingo manca ancora
qualcosa, perché è una scommessa giocata per eccesso e se tutto quanto non gira
per il verso giusto si rischia di far venir giù tutto il castello. E’ il momento
degli interpreti. E, manco fossero dei Paolo Rossi ai tempi di Spagna 82, i
protagonisti di Non ci resta che il crimine concretizzano in modo
convincete tutto il lavoro della troupe. Marco Giallini va sul velluto in un
ruolo (Moreno) che gli sembra cucito addosso; Alessandro Gassmann (Sebastiano),
deve sudarsela un po’ ma è comunque preciso; Gianmarco Tognazzi (Giuseppe) è
forse quello che si deve impegnare di più, con una trasformazione del suo
personaggio mica banale da rendere credibile; ma se la cava alla grande.
Benissimo anche Edoardo Leo nel ruolo di Renatino, boss della citata Banda
della Magliana. Ma chi sbaraglia letteralmente il campo è Ilenia Pastorelli
nella parte di Sabrina, la pupa di Renatino che si invaghisce di Sebastiano.
Non si tratta di una prestazione alla Meryl Streep, sia chiaro, ma rendere
indimenticabile una spogliarellista di borgata non era nemmeno semplice. Dal
Grande Fratello a stella del cinema il passo non è affatto breve: ma il grande
schermo difficilmente si fa ingannare, la stoffa c’è eccome. E poi, se si parla
di passi, visto le gambe di Ilenia possiamo scommettere con fiducia anche senza
arrivare dal futuro.
Nessun commento:
Posta un commento