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lunedì 5 settembre 2022

RIFLESSIONE

IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE

1093_RIFLESSIONE (Vidblysk)Ucraina,  2021;  Regia di Valentyn Vasyanovych.

Il regista ucraino Valentyn Vasyanovych è un mago, si era già intuito per alcuni spunti nel suo contributo per l’acclamato The Tribe (2014, regia di Myroslav Slabošpyc'kyj) o nella sua regia dell’illuminante Atlantis (2019). E ne abbiamo ulteriore conferma nello splendido Riflessione, un’opera ambientata in Ucraina quando nell’est del paese furoreggia la Guerra del Donbass. Ma la magia di Vasyanovych non è tanto legata agli aspetti bellici, della sua storia; aspetti, che pure sono parte fondamentale, di Riflessione. No, il momento magico più intenso nel capolavoro del regista ucraino è un passaggio minore, quasi sottotono, rispetto a momenti ad alta intensità emotiva che presenta il lungometraggio. Il chirurgo Serhij (Roman Luc’kyj) è separato dalla moglie Polina (Nika Myslyc’ka), da cui ha avuto una figlia, Ol’ga (Nadija Levcenko), adolescente. Il nuovo compagno di Polina, Andrij (Andij Rymaruk) è andato a combattere i separatisti filorussi nel Donbass, mentre Serhij è rimasto al suo lavoro in ospedale. In seguito, forse a fronte di qualche allusione sul coraggio di Andrij da parte di Ol’ga, o forse per fare il proprio dovere, il chirurgo finisce al fronte. Dove assaggia sulla propria pelle il lato peggiore di un orrore inconcepibile come la guerra. Poi viene liberato in uno scambio di prigionieri ed ora è di nuovo nel suo moderno appartamento metropolitano; sua figlia è venuta a passare qualche giorno con lui, dopo la sua lunga assenza ne sentiva la mancanza. Anche lei, peraltro, come ovviamente Polina, sente anche la mancanza di Andrij, a cui è anch’essa molto affezionata e non ha problemi a parlarne col padre. L’uomo è sparito e non si hanno più notizie: le due donne del film sono molto preoccupate. 

E ne hanno ben motivo, come possiamo dire sia noi spettatori che il chirurgo protagonista della nostra storia. Ma torniamo nel suo appartamento. Ad un certo punto, nella serata ucraina, un piccione finisce contro la vetrata del salotto di Serhij, mentre Ol’ga vi sta facendo ginnastica. La ragazza ne sembra turbata: potrebbe essersi salvato, dopo una botta simile e una caduta dalla notevole altezza in cui è posto l’appartamento? E qui entra in scena la magia di Vasyanovych, perché alla domanda della ragazzina al padre, se questi pensa che possa essere ancora vivo oppure morto, tutti, compreso probabilmente il chirurgo, pensiamo ad Andrij. 

Quando l’uomo recupera il cadavere del povero volatile e decide di tributagli un degno omaggio funebre sembra evidente che si cerchi di rendere l’ultimo saluto ad un corpo (quello di Andrij) che, a quel che si era capito, non ne aveva potuto avere. Ma il titolo del film è Riflessione e il senso di questo termine è che i tanti, troppi riflessi su cui la nostra realtà quotidiana rimpalla, come quello sul vetro che simbolicamente ha ingannato fatalmente il piccione, non fanno altro che ingannare anche noi. Tutto il film di Vasyanovych è costellato di finestre, finestrini, schermi: vediamo costantemente il mondo attraverso qualcosa ma, purtroppo, spesso questo qualcosa impedisce di vedere. E a volte è addirittura la luce, che di fatto permette alla vista di fare il suo lavoro, che invece ci acceca, come capita nella scena del posto di blocco dove Serhij è catturato. Anche in quel caso, come per il piccione, il riflesso è fatale. La luce, perde quindi il suo valore positivo, come del resto l’acqua, elemento che simbolicamente indica la vita, come nel violento acquazzone che impedisce di vedere al di là del parabrezza dell’auto. 


I valori positivi si sono persi, del resto un camion dei separatisti che reca la scritta Aiuti Umanitari cela dietro una serie di paratie, ecco altri schermi, un grezzo inceneritore per far sparire i corpi dei nemici. La negazione dell’altro perfino dopo morto, la peggiore delle infamie, spacciata per aiuto umanitario: il colmo. Ma allora, se nulla è come sembra, allora questo potrebbe valere anche per il tributo simbolico ad Andij, sebbene sembrava davvero essere convincente, con il piccione bruciato sull’improvvisata pira funebre che in fondo ricordava appunto l’inceneritore usato dai separatisti per sbarazzarsi dei cadaveri. Non è così; così come non è un film pessimista Reflection che, in mezzo alla tragedia di un popolo in guerra, ci consegna piuttosto una speranza. 

Nel finale, in una sorta di teatro, alcune persone provano a riconoscere una persona a loro cara, ascoltandone i passi sul palco, senza poterli guardare. Quasi tutti ci riescono; un po’ banalmente, l’unica a non farcela è una donna bionda, un filo appariscente. Forse troppo attenta all’apparire, troppo legata alle maschere, agli schermi, dietro ai quali ci nascondiamo quotidianamente, per poter sentire il proprio partner. Non è tanto l’ascolto del suono dei passi, però, ad essere decisivo, probabilmente. Perché i personaggi che fanno questa sorta di esperimento, sembrano tutti avere dei sentimenti forti in comune. 

Del resto come la vista anche l’udito, in sé, aveva già perso credibilità nel film, quando Serhij ci aveva preparato all’ascolto di un vinile di musica classica salvo poi propinarci unicamente la cacofonia dello strumento per pulire i dischi. E poi il chirurgo rimediava i suoi preziosi elleppi dalla spazzatura per strada, non proprio una garanzia di qualità, almeno da un punto di vista simbolico. E allora, quello che Serhij riconosce nella camminata di Ol’ga, non è tanto il suono ma qualcosa di più profondo, quasi magico. Lo si è detto che Vasyanovych è un mago. La ragazza, allo stesso modo, a sua volta, riconosce senza indugio la mamma, Polina. E approdo indiretto per approdo indiretto (in queste scene i congiunti si trovano senza guardarsi e Serhij e Polina si riuniscono grazie alla sponda di Ol’ga) grazie a questa azione di riflesso la famiglia prova a ricomporsi, a ricominciare. La realtà ci bombarda di informazioni e di immagini cercando di convincerci ora di una cosa ora della cosa opposta. Guardando altrove, sentendo le cose con la propria anima, si può ancora provare a ricostruirsi un futuro.  




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