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domenica 31 gennaio 2021

I BELIEVE IN YOU

739_I BELIEVE IN YOU Regno Unito1952. Regia di Michael Relph e Basil Dearden.

La fine della Seconda Guerra Mondiale era stata naturalmente salutata come una benedizione un po’ da tutti, il che era logico, ma non fu poi così semplice smaltire le macerie non solo materiali che il conflitto lasciò. In Inghilterra, paese pesantemente segnato dai bombardamenti e dalle perdite tra i militari impegnati, la situazione era particolarmente dura. Il popolo aveva un forte spirito nazionale e legato alle proprie tradizioni ma, mentre si diffondevano idee e stili di vita più disinvolti, vennero a mancare in moltissimi casi quelle figure famigliari che forse avrebbero potuto tenere a freno i bollori di quella generazione irrequieta cresciuta sotto le bombe. In questo contesto va inquadrato I Believe in You, dramma messo in pellicola dalla coppia Basil Dearden e Michael Relph, regista e produttore strettamente legati professionalmente. C’è, infatti, un certo paternalismo, in definitiva, con il giudice Pyke (Godfrey Tearle) che finisce per tener conto delle raccomandazioni di Phipps (Cecil Park) e, nel momento cruciale, concede uno sconto di pena e la coseguente libertà al turbolento Hooker (Harry Fowler). Pyke non sembrava affatto convinto delle ragioni di Phipps, sorta di assistente sociale che doveva aiutare Hooker ad inserirsi nella comunità, oltre a sorvegliarne la condotta corretta. Le corti inglesi non è che abbiano fama di essere particolarmente tolleranti ma il quadro del tempo indusse evidentemente gli autori ad una visione delle cose che fosse più comprensiva del solito. Si tratta di una sorta si auspicio ad una progressiva apertura verso una maggior tolleranza ben incarnata da Phipps, il protagonista: ex funzionario delle colonie dell’Impero, ad un certo punto decide di occuparsi di qualcosa di più contingente alla realtà inglese del tempo. 

Inizialmente con un aplomb un po’ superficiale e poco empatico; poi via via si farà strada un lato umano che lo porterà a rischiare la propria professionalità in nome della fiducia nel suo assistito. A contribuire a smuovere il pacioso spirito di Phipps sono essenzialmente due donne. Norma (una giovanissima Joan Collins, al suo debutto in un ruolo da protagonista) gli si fionda in casa quando l’auto su cui è in fuga finisce contro un lampione. La verve della Collins, per quanto l’attrice fosse agli arbori, è già ingovernabile e in modo forse sottile scombussola però l’uomo; il quale, in quella occasione, conoscerà anche un’altra donna che avrà un’influenza più evidente in questa sua evoluzione. Matty (Celia Johnson) è l’assistente sociale che segue Norma e presto farà breccia nel cuore di Phipps, seppure la traccia romantica rimarrà molto trattenuta. 

Tuttavia le parole della donna, in qualche scambio di vedute un po’ sopra le righe, avranno un peso decisivo nello scuoterlo, così come anche l’atteggiamento di Dove (George Relph) funzionario molto paziente con le necessità della povera umanità finita sotto la tutela del British Probation Service. Ma rimane almeno il sospetto che l’esuberanza di Norma sia stata una delle leve principali, se non altro la prima in ordine di tempo, a scalzare la placida esistenza di Phipps. Il personaggio della Collins presenta già alcune caratteristiche contraddittorie e affascinanti che saranno peculiari della carriera dell’attrice inglese. Già a partire dalla sua prima sequenza: la ragazza è seduta nell’appartamento di Phipps, dopo esservi rifugiata mentre era in fuga sull’auto finita contro il palo della luce. A fronte delle minacce del padrone di casa di chiamare la polizia, la ragazza ha convinto l’uomo a contattare Miss Matty, la sua assistente sociale. 

Ora la attende seduta, da sola, stando composta su una sedia; ma ecco che, quando la sente arrivare, si affretta ad assumere una posa più discinta, mettendo in evidenza le gambe; quasi a voler ribadire di essere una cattiva ragazza. L’atteggiamento interlocutorio di Norma continuerà finché non si interesserà a Hooker, ragazzo a quel punto assistito da Phipps, con il quale andrà a raddoppiare gli accoppiamenti: così come i loro assistenti, anche i giovani avranno la loro love story. Che, mossa da ben altri spiriti, procederà molto più spedita, tanto che i ragazzi decidono di sposarsi e Matty, ragionevolmente scettica sulla cosa, accusa Phipps di giocare a fare il Cupido. Eppure Norma, con una determinazione insospettabile (che è un altro elemento della personalità con cui Joan Collins contraddistingue i suoi personaggi), sembra davvero ben intenzionata, riuscendo a convincere Hooker a rinunciare ad immischiarsi in giri loschi e tutto sembra andare per il meglio. 

Pyke ha sì rifiutato di condonare il periodo di lavoro sotto sorveglianza che ancora manca a Hooker, smentendo le incaute promesse che Phipps aveva fatto al ragazzo, ma basterà aspettare gli ultimi tre mesi. Prima del lieto fine ci vuole però un po’ di azione e allora ecco che la galera restituisce alla libertà Jordie (Lawrence Harvey), l’ex bello di Norma che mette subito in chiaro le cose con gli aspiranti sposi. Norma resiste alle avances ma Hooker pensa al peggio e decide, quasi per dispetto, di partecipare al colpo che mira a trafugare il whisky da un camion. Ma è solo un diversivo narrativo: tutto si risolve per il meglio. Addirittura nel finale il giudice Pyke ripetere la scena iniziale con Phipps in aula, trattandolo con simpatia e complicità, diversamente da quanto fatto nella scena precedente. Il che è un dettaglio, quello che conta è che lascia Hooker libero che così potrà sposare Norma. E si tratta di un lieto fine che non fa certo storcere la bocca.   



Joan Collins





2 commenti:

  1. si vede che era agli esordi anche dal fatto che il suo nome non è neppure visibile sulla locandina...
    mi piace molto la seconda foto, con la testa inclinata e quella specie di maglia nera :)

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  2. Beh, era il suo primo ruolo di un certo rilievo. Già pimpante, però.

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