717_PRISCILLA - LA REGINA DEL DESERTO (The adventures of Priscilla - Queen of the desert). Australia; 1994. Regia di Stephan Elliot.
Una commedia davvero sopra le righe e fuori dagli schemi, questo Priscilla – la regina del deserto del regista australiano Stephan Elliott. Al centro della storia ci sono tre drag-queen, ovvero quegli uomini travestiti da donne protagonisti di spettacoli con costumi sgargianti e improbabili, nei quali cantano in playback successi della disco-music in voga negli anni 70. E’ intuibile come, in genere, chi si diletta in queste attività abbia tendenze sessuali non conformi a quella che viene definita la norma, ed è comunque il caso dei tre protagonisti della pellicola in questione. Le tre girls devono attraversare il deserto australiano per recarsi ad esibirsi nel locale diretto dalla ex-moglie di Mitzi (Hugo Weaving), il quale oltre a travestirsi possiede anche una vita etero, con tanto di figlioletto. A completare il trio ci sono Bernadette (Terence Stamp) e Felicia (Guy Pearce), che terranno vispo lo spettacolo con perenni battibecchi. Il film è divertente ed è sicuramente riuscito a livello visivo: le scene con Felicia che, in mezzo al deserto australiano, canta sul tetto di Priscilla, un vecchio torpedone adeguato all’evenienza, sono di grande impatto. In generale è intrigante l’abbinamento tra le ragazze e il loro modo di esprimere la propria natura, e il confronto diretto con l’imponente e spettacolare paesaggio australiano. Sono due spettacoli in antitesi, da una parte abbiamo la massima espressione del cattivo gusto e della sua mancanza di equilibrio, a confronto con le bellezze mai fuori registro che ci regala Madre Natura. Eppure, sembra voglia farci notare Elliott, qualcosa unisce queste due forze: forse proprio l’essere in antitesi una all’altra. Certo, c’è il rimando con quei costumi di scena dei travestiti che prendono ispirazioni dalla natura, dagli struzzi ai rettili, sicuramente divertenti; però, piuttosto che dimostrare una similitudine, onestamente ne mettono in risalto la distanza dalla eleganza delle forme d’ispirazione. La volontà di dare una spiegazione naturalista al fenomeno dell’omosessualità, che è alla base del travestirsi, almeno secondo Elliott, è evidenziata dal modo in cui il nostro trio viene accolto nel suo viaggio. Se non desta particolari problemi al gruppo di aborigeni, viene invece accolto in malo modo da una comunità rurale di bianchi.
L’idea che il regista sembra voler far passare è quindi che l’omosessualità sia naturale ma che le convenzioni della civiltà l’abbiano resa oggetto di discriminazione. Questo è l’aspetto più debole dell’opera, non per il concetto in sé, condivisibile o meno, ma perché finisce per trasformare un po’ la pellicola in un film a tesi. Tesi che può essere condivisibile (o meno, come detto; non è questo il punto), ma che praticamente prova a sostituire un dogma (l’omosessualità è contro natura) con un altro (omosessualità è naturale), che è un po’ il modo con cui ha storicamente ragionato e ragiona una certa intellighenzia (sostituire i vecchi dogmi con nuovi). Per cui non siamo di fronte nemmeno a qualcosa di inedito, vista la sfilza di conquiste sociali che quotidianamente abbiamo imparato essere divenuti intoccabili (intoccabili tanto quanto i vecchi precetti della chiesa e della tradizione). Il punto non è naturalmente nella giustezza o meno di queste conquiste sociali, così come per il tema dell’omosessualità: il tasto dolente è che non dovrebbero esserci dogmi particolari se non quelli generici sulle libertà individuali. Fatto salvo i quali, si dovrebbe poter discuter su tutto, in modo sereno e senza preconcetti, senza necessariamente imbastire situazioni artefatte a bella posta per dimostrare una tesi. Non esiste il giusto e sbagliato (o naturale e contronatura) in tema di orientamenti sessuali; certo non è sbagliato essere gay, come invece sostenevano le convenzioni sociali. Ma nemmeno si può dire che sia giusto: è semplicemente un orientamento e non centrano né etica né morale. Introducendole, come accade costruendo una tesi, si corre il rischio di costruire un dogma che, in quanto tale, dovrebbe essere ritenuto falso solo per il fatto che non è possibile metterlo in dubbio.E questo, per il simpatico, sgargiante e dissacrante Priscilla la regina del deserto, rischia di essere un ingombro troppo grosso.
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