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giovedì 14 gennaio 2021

CIELO GIALLO

721_CIELO GIALLO (Yellow Sky). Stati Unit; 1948. Regia di William A. Wellman.

Capolavoro del western romantico, Cielo Giallo del formidabile William A. Wellman, rispetta tutti i cliché del filone ma li converte ad un livello tale che il risultato non sfigura se paragonato ai classici del genere. Innanzitutto per la confezione formale: dall’elegante calligrafia del montaggio (Harmon Jones), alla splendida fotografia in bianco e nero (Joseph MacDonald) fino alla musica di Alfred Newman, peraltro piuttosto limitata a titoli di testa, di coda e poco altro. Cielo giallo è del 1948 quando il western non aveva ancora raggiunto in modo completamente risaputo la sua golden age; e, in effetti, quello di Wellman rispetta i codici narrativi dei western precedenti, quelli degli anni Quaranta. Protagonisti sono un gruppo di fuorilegge, perlopiù reduci della Guerra Civile, nella vicenda latitano le figure istituzionali mentre grande rilievo nell’economia della storia ce l’ha la figura femminile di turno. Però Wellman non è mai un autore banale e quindi cominciamo coi distinguo: i nostri eroi sono ex nordisti e non, come in moltissimi altri casi, ribelli del sud. Il riferimento non pare secondario visto che la famigerata banda Quantrill, dalle cui fila attinsero moltissimi western romantici, viene esplicitamente citata come temibile avversaria dal capo dei banditi, il sergente Jim. Gregory Peck, che interpreta l’ex sottoufficiale unionista, è tipicamente un attore adatto a ruoli positivi: ma la sua aria impettita, in effetti, poteva anche essere utilizzata come paravento per celare un animo turbolento. La cosa si era intuita anche ne Il caso Paradine (1947, regia di Alfred Hitchcock), e Wellman la ripropone per tenerci sulle spine per buona parte del film, almeno fino alla prevedibile conversione finale del protagonista. Se i western del periodo vertevano spesso sulle figure degli outlaw, in questi film i tutori della legge erano spesso all’opera in qualità di avversari oltre che, per contrasto, sottolineare il fascino di chi la legge la infrangeva; Wellman imposta la sua storia in modo differente. Non ci sono sceriffi in Cielo Giallo e anche i buoni, la ragazza Mike (Anne Baxter) e suo nonno (James Barton), in prima istanza appaiono ben poco socievoli. 

Nel corso della storia apprenderemo la nobiltà d’animo di questi due eremiti dediti alla ricerca dell’oro in ossequio ad una filantropia che favorisca il progresso civilizzatore nel west e, con noi, rimarrà ovviamente affascinato il sergente. Anche se, come da un ipotetico manuale del western romantico pienamente rispettato da Wellman, è evidente che una parte importante nell’interesse di Jim è esercitato dall’avvenenza di un’arruffata e combattiva Mike, a cui la Baxter presta comunque il consueto fascino. Memorabile il cazzotto con cui la piccola ragazza stende il lungo sergente, anche più della fucilata che con cui lo ferisce (di proposito!) alla tempia. Tra i banditi, va segnalata la presenza di un giovane Richard Widmark, nei panni del Duca, un damerino la cui eleganza, unita all’espressione ambigua dell’attore e alla sua matrice (basti ricordare il suo esordio nel film di Henry Hathaway Il bacio della morte, del 1947), ci ricorda i legami tra questi western e il genere più in voga all’epoca, il noir

In effetti i protagonisti di Cielo giallo sembrano personaggi di un noir in trasferta in un’area dove la legalità e le istituzioni non sono assenti per carenze istituzionali, ma perché proprio non esiste l’ombra di civiltà. Tuttavia, pur in una simile ambientazione, sorprende l’assoluta mancanza di moralità dei personaggi della storia: solo l’incontro con la ragazza e il nonno, che vivono in una casa di Yellow Sky, la ghost town che dà il titolo al film, sembra rianimare qualche barlume di umanità in alcuni degli individui. Di questa, in precedenza c’era stato qualche spunto, forse unicamente uno, ma sembrava inserito nella trama proprio per evidenziare la sua estraneità all’abituale condotta dei fuorilegge. Dopo la bella (dal punto di vista scenografico) rapina nella banca della cittadina, i banditi fuggono in una piana di sale (splendide le scene girate nella Valle della Morte). Quando il fuorilegge lasciato in retroguardia rimane ucciso sotto i colpi degli inseguitori, un drappello di soldati, nessuno tra i criminali se ne dispiace più di tanto. Nonostante, con il suo tempestivo avviso, abbia permesso agli altri di scampare alla cattura. Una volta che i fuggitivi si inoltrano nel terribile deserto di sale, gli inseguitori desistono; qui a fronte di una situazione drammatica ma imprevedibile, Orso (Charles Kemper) si pente amaramente di avere del whiskey nella borraccia invece dell’acqua. 

Nessuno però risponderà alla sua disperata richiesta di averne un goccio. In compenso, Lungone (John Russel) vedendolo soffrire, spara ad una lucertola che, al contrario, sembra a suo agio nella calura del giorno. Un crudeltà gratuita che Quartino (Harry Morgan) non accetta, inveendo contro il compagno; ma che mette in contrasto l’indifferenza con cui è trattato lo scellerato Orso. La cosa è rimarcata in seguito quanto il sergente usa della sua acqua per dissetare il cavallo dell’uomo che, a suo dire, non deve patire se il suo padrone è un asino. Quando questo bel gruppo di personaggi, a cui manca da aggiungere il giovane Bruno (Robert Arthur), trova una ragazza ed un vecchio che vivono isolati, intuisce presto che questi abbiano trovato l’oro e, con assoluta naturalezza, decide di impossessarsene. In fondo sono una banda di ladri. 

Alla fine, vista l'insospettabile resistenza della coppia, i banditi accettano di divedere il malloppo coi legittimi proprietari: ma si tratta di uno stratagemma per convincere il vecchio a rivelarne il nascondiglio perché l’idea di rispettare un accordo, finanche del tutto analogo ad una rapina a loro vantaggio, è del tutto estranea ai criminali. Anche nei confronti di Mike c’è un atteggiamento predatorio con il Lungone che approfitta della sua prestanza per tenere dietro gli altri della truppa, mentre il Duca rimane come sempre defilato e il sergente sfrutta il vantaggio dell’autorità. Ed è proprio il rapporto con la ragazza che induce Jim a qualche riflessione: esteriormente la cosa è resa dalla ripulita che l’uomo si dà, dopo che Mike lo aveva accusato di puzzare più di un apache. 

Il paragone con gli indiani, che tra l’altro fanno la loro apparizione solo per dimostrarsi pacifici e assai più ragionevoli dei bianchi della storia, sprona il sergente ad un comportamento, non solo dal punto di vista igienico, più presentabile. Mentre Jim ritrova, andando a ricordare le sue radici famigliari, la proprio umanità, il resto della banda è ancora soggiogato dalla possibilità di impossessarsi dell’oro. L’avidità spinge il Lungone e il Duca a cercare il tutto per tutto, abbandonando ogni forma di associazione: è tutti contro tutti. Bruno muore, colpito alla pancia, Orso e Quartino, spaesati, trovano rifugio nella casa, insieme a Jim, Mike e il nonno. Il sergente però, deve regolare i conti con gli altri due e si reca nella ghost town, per lo scontro finale. Wellman non ci mostra la scena dell’insolito duello (in futuro un caso del genere verrebbe definito triello); si odono i colpi, poi Mike arriva e scopre mano a mano i corpi dei tre uomini, tutti stesi. Con sollievo della ragazza, quello di Jim respira ancora. Il regista non presta così troppa attenzione a quello che, in linea teorica, avrebbe dovuto essere il momento clou mentre si prende la briga di sistemare, in modo esaustivo anche se ironico, una questione ancora pendente. La conversione di Jim, e degli altri due sopravvissuti, per essere completa, deve passare giocoforza per la restituzione dei soldi rapinati alla banca all’inizio del film: in questo rigore morale si riconosce la grandezza del cinema americano. Wellman ci scherza, con una sorta di finta rapina in cui Jim restituisce i soldi al cassiere della banca e, in seguito, prende un cappellino per Mike comprandolo ad una cliente che pensava invece di venire derubata.  Che il tono sia greve o ironico, la sostanza non cambia: solo pagando per i propri errori è possibile la redenzione. Una lezione sempre valida. 










Anne Baxter







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