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mercoledì 20 gennaio 2021

TIRATE SUL PIANISTA

727_TIRATE SUL PIANISTA (Tirez sur le Pianiste) . Francia1960. Regia di Francois Truffaut.

In ossequio alla sua idea di spiazzare sempre le aspettative del pubblico, Francois Truffaut dopo il biografico approccio dell’esordio de I 400 colpi, decide di tradurre per il grande schermo un racconto poliziesco americano. Il testo Sparate sul pianista di David Goodis è, per altro, un’opera trascurabilissima a livello di inerenza con il film Tirate sul pianista; uno spunto, anzi, uno spunto polemico o poco più. L’idea era che andasse contrastato il concetto che i film di genere fossero prodotti di scarso pregio, convinzione imperante che la Nouvelle Vague riuscirà a debellare con la famosa politica degli autori. Andando cioè a focalizzare l’attenzione sulle caratteristiche proprie dei registi, si potevano cogliere aspetti di importanza eccezionale anche in film che, al tempo, erano considerati unicamente prodotti seriali e dozzinali. Quelli di Hitchcock furono solo il caso più clamoroso. Tuttavia la natura intima e personale della filosofia cinematografica della Nouvelle Vague e di Truffaut cozzavano con i codici stringenti e limitanti del cinema di genere e, quindi, non si trattava affatto di una rivalutazione indiscriminata di quel tipo di produzioni. Una risposta, a questa specie di contraddizione (rivalutazione del cinema di genere all’interno di una generale critica alle sue peculiari rigidità produttive), è Tirate sul pianista. Il secondo lungometraggio di Truffaut è solcato in modo ancora più evidente dalla esuberante appassionata e apparente anarchia cinematografica (e non) dell’autore, anche rispetto al già personale I 400 colpi

I più disparati riferimenti sono disseminati a piene mani con intere sequenze di matrice diversa accostate in modo incongruente, il tutto imbastito in modo assai blando alla trama gialla presa a mero pretesto narrativo dal soggetto. Ma l’intera struttura del film, per quanto sia poco riconoscibile, è calcolata con precisione; le continue svolte di matrice e natura diversa, arrivano sempre a cambiare le carte in tavola quando meno te l’aspetti. Dal dramma a tinte noir si passa alla tragedia, alla burla, al comico, al testo intimo. Eppure il film funziona e se è divertente lo è in modo spiazzante, come per la battuta di Charlie (Charles Aznavour, che figura come una specie di alter ego del regista), che riporta la convinzione del padre secondo il quale vista una donna son viste tutte

La risata sgorga per il contrasto della frase qualunquista a cappello di un’accesa discussione tra Ernest (Daniel Boulanger) e Lena (Marie Dubois), lui un bandito di mezza tacca, lei una cameriera di una bettola. Ma se la verve femminista di Lena è abbastanza scontata, le confessioni di come il criminale intenda la figura femminile sono sorprendentemente oneste e senza alcun pudore. E’ evidente che Truffaut utilizzi in modo strumentale questi dialoghi per affrontare temi che gli sono cari e che torneranno a più riprese nel suo cinema; e l’impressione che siano argomenti così calorosamente sentiti dal regista, rende ancora più spiazzante l’affermazione con cui se ne esce Charlie, voce naturale dell’autore che, al contrario, minimizza la figura della donna. Senza contare che era già straniante ascoltare parole tanto interessanti proferite da Ernst, un bandito degno delle avventure a fumetti di Tin Tin. I suoi battibecchi con il socio Momo (Claude Mansard) depistano infatti a più riprese la vena tragica del racconto, mantenendolo in compenso sempre divertente. E’ quindi sulla capacità di rinnovare il cinema di genere, di scardinarlo dai suoi cliché, che si gioca la partita. Insomma, in fondo si tratta di un poliziesco, no? E da un regista, critico e appassionato come Truffaut, ci si sarebbe dovuti forse aspettare che la trama gialla, o meglio il tema dell’investigazione, fosse la natura stessa del film, e non un passaggio narrativo all’interno del racconto. Ma saremmo dovuti essere dei geni come lui.   






Marie Dubois





Michèle Mercier








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