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sabato 2 gennaio 2021

LA RAGAZZA DELLA 5° STRADA

709_LA RAGAZZA DELLA 5° STRADA (5th Avenue Girl). Stati Uniti; 1939. Regia di Gregory La Cava.

Dopo aver diretto quelli che saranno i suoi due film di maggiore successo, L’impareggiabile Godfrey (1936) e Palcoscenico (1937), Gregory La Cava aveva ormai consolidato tanto la fama quanto una notevole consapevolezza delle proprie capacità. Del resto, per La ragazza della 5° strada, il regista è anche produttore, disposto quindi a scommettere i soldi in prima persona, per un film che, a livello di intreccio, non è che sembri prospettarsi questo granché. La trama si riduce alla strategia di un vecchio industriale, Tonino Borden (Walter Connelly) che ingaggia una giovane ragazza, Mary Gray (Ginger Rogers), come finta amante, per ridestare l’interesse della propria famiglia nei suoi confronti. La moglie Martha (Verree Teasdale), più giovane e piacente di lui, lo tradisce apertamente, i figli Tim (Tim Holt) e Clara (Kathryn Adams) sono bambocci troppo cresciuti, due sfaccendati viziati e oziosi: tutti danno per scontato che Tonino, da buon industriale, si occupi solo di produrre ricchezza ma nessuno si interessa della sua persona. In avvio c’è anche un rimando ai problemi sindacali, che intralciano la produttività della fabbrica di Tonino, ma l’uomo non sembra affatto ostile al rappresentante dei lavoratori, quanto piuttosto alla fila di burocrati che alimentano gli intoppi aziendali a bella posta. Ma quello socialista non è il tema del racconto, anche se tornerà a più riprese, seppure in tono farsesco, nelle parole di Mirco (James Ellison), l’autista di casa Borden. 

Ecco, in questa situazione, Tonino, snobbato dai suoi famigliari perfino nel giorno del suo compleanno, si reca al parco dove conosce Mary e decide di introdurla nella sua famiglia, nel ruolo di amante ufficiale, al fine di smuovere un po’ le acque. Se, a livello narrativo, questa scelta non sembra troppo lungimirante, in realtà pone sul tappeto già due aspetti: da un punto di vista morale è evidente che la società del tempo doveva essere davvero messa male se una simile trovata poteva reggere. Ma, osservando la nonchalance con cui Martha ostentava in pubblico i suoi flirt con il giovanotto di turno, si può anche ritenere che fosse una pratica concessa, a patto di contenerla entro i limiti di un certo presunto buon gusto. Si poteva cioè dare da intendere qualche risvolto piccante, con la calibrata dose di ostentazione, ma non provocare scandali che recassero concreti danni d’immagine. 

La tipica ipocrisia borghese che, nella rampante società capitalistica del tempo, trovava la sua forma più elevata. L’altro aspetto che possiamo notare è come sia ribaltato il funzionamento della tipica situazione narrativa dell’amante che si pone tra marito e moglie: in genere è un rapporto clandestino e lo svolgersi della trama verte sulla scoperta del tradimento da parte del coniuge cornuto. In questo caso è l’esatto opposto: il presunto tradimento è palese, inducendo Martha (e i figli) a pensare chissà cosa, mentre è tutta una messa in scena. Il che riduce, e di molto, le possibilità narrative, e questo ci riporta al discorso iniziale, alla fiducia nei propri mezzi maturata ormai da La Cava. Il film, infatti, è una sublime commedia americana che verte sui continui scambi dialettici, orchestrati in modo mirabile dal regista che cadenza la messa in scena facendo leva, oltre che sulle proprie qualità specifiche, sulla classe di una straordinaria Ginger Rogers. 

Ginger, splendida a dir poco, aveva già dimostrato di non essere solo la divina ballerina dei musical con Fred Astaire. Nel citato Palcoscenico aveva retto la scena alla grande con Katharine Hepburn e in Situazione imbarazzante (1939) era stata in grado di dare il necessario smalto, con la sola presenza scenica, a rendere memorabile la solida commedia di Garson Kanin. L’attrice americana aveva la capacità insuperabile e insuperata di sparare battute secche e taglienti che fulminavano partner di scena e spettatori, senza perdere un microgrammo di fascino. Se spesso attrici di gran verve dialettica sconfinavano nell’acidità, questo non sfiorava mai, nemmeno da lontano, Ginger Rogers. Il suo sarcasmo, la sua intelligente ironia, la sua espressività, davano perfettamente corpo alle schermaglie dialettiche della commedia americana; altre attici erano in grado di farlo, è chiaro, ma ben raramente riuscivano a coniugare questa prontezza nel replicare con lo stile imperturbabile della Rogers. 

A questo punto è evidente che La ragazza della 5° strada aveva proprio nel suo esiguo intreccio narrativo il palcoscenico adatto all’attrice americana per mettere in mostra tutto il suo carisma. E naturalmente Ginger se lo prende, quel palcoscenico, ma senza scomporsi ne esaltarsi troppo. Peraltro non si deve cadere nell’errore di pensare che la sua Mary Gray sia una campionessa di cinismo: è semmai l’eccessiva bontà d’animo in un mondo di squali a costringerla ad assumere quella sorta di corazza, come in un certo senso ammette durante il corso del film. In origine, il finale prevedeva Mary che, dopo la confessione ai famigliari di Tonino, lasciava casa Borden per tornare alla sua vita di sempre. Il pubblico dell’anteprima non gradì e, a quel punto, si optò per un lieto fine tra Tim e la ragazza. C’è chi ci vide l’omologazione della storia nella classica metafora del sogno americano, laddove una povera ragazza riesce a coronare i suoi sforzi di scalata sociale. Se anche fosse, Ginger Rogers già incarnava il sogno mondiale, e non solo americano, di milioni di uomini. 


Kathryn Adams


Ginger Rogers












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