726_L'AFFARE DREYFUS . Italia; 1968. Regia di Leandro Castellani.
La Rai, la televisione di stato italiana, negli anni sessanta aveva ormai affinato la natura didattica che l’aveva contraddistinta sin dalla sua nascita. Gli sceneggiati erano uno dei fiori all’occhiello, forse “il” fiore all’occhiello dell’emittente, per la diffusione culturale perpetrata tramite adattamenti alle grandi opere della letteratura mondiale. Un aspetto importante era l'interpretazione di stampo teatrale degli attori arruolati che finiva per nobilitare lo strumento televisivo. Un ulteriore sforzo in questo senso, l’utilizzo del piccolo schermo per divulgare conoscenza, fu la trasmissione del programma I Giorni della Storia, che andava quindi ad occupare il versante storico dell’informazione culturale da affiancare a quello letterario. Nel 1968 fu trasmesso lo sceneggiato L’Affare Dreyfus, scritto, sceneggiato e diretto da Leandro Castellani (con la collaborazione alla sceneggiatura di Flavio Niccolini). Lo spunto storico era la vicenda di Alfred Dreyfus (nello sceneggiato Vincenzo De Toma), ufficiale alsaziano che, a fine Ottocento, fu accusato di altro tradimento pur senza prove concrete ma piuttosto sulla base di testimonianze false e congetture. Al di là della secolare contesa con la vicina Germania, uno dei veri nodi cruciale era che Dreyfus era di origine ebraica e la cosa fu usata in modo strumentale provocando una forte ondata di antisemitismo in Francia: il che ci dà un’idea di quale fosse il clima diffuso, in generale in Europa e non nella sola area tedesca, nei confronti degli ebrei alle soglie di quel XX secolo che si rivelerà tanto tragico per il popolo eletto.
Ma la cosa suscitò un certo clamore, anche grazie all’opera di valorosi intellettuali del tempo, tra i quali il caso più lampante fu quello dello scrittore e giornalista Emilie Zola (Gianni Santuccio) che, in forma di lettera aperta al Presidente della Repubblica Francese, pubblicò il celeberrimo J’accuse. Dopo varie vicissitudini il caso fu riaperto e Dreyfus riabilitato. Da un punto di vista pratico, per la sua messa in scena, Castellani si trova nella difficoltà di dare informazioni al suo pubblico che contestualizzino i fatti di un caso tanto specifico; diversamente sarà difficile una sufficiente comprensione degli eventi. L’autore trova la soluzione in un azzardo che, tutto sommato, alla fine paga: un narratore fuori campo, dalla voce autorevole e affidabile del grande Alberto Lupo, ci fornisce l’impostazione generale. Poi, la messa in scena vera e propria è di natura assai più azzardata con un incipit, con la degradazione pubblica dell’ufficiale alsaziano, di grande impatto visivo da sembrare quasi sperimentale. Si cerca, probabilmente, di non far passare l’opera per un documentario televisivo ma di avvalersi di una dignità narrativa propria, autonoma, a cui il regista, autore come detto di soggetto e sceneggiatura, non voleva rinunciare. Il resto del racconto fila poi sostanzialmente via nel solco della solida tradizione Rai, centrando l’obiettivo di informare storicamente con una visione godibile. Bei tempi, quelli della Rai dell’epoca.
conoscevo vagamente l'episodio avendo letto qualcosa in passato su qualche libro di storia francese... in effetti mi ha sempre dato l'idea di un episodio piuttosto confuso, quindi posso capire le difficoltà del regista nel presentarlo al suo pubblico, in un fumetto al posto della voce narrante ci sarebbero state le didascalie ;)
RispondiEliminaSi, negli anni sessanta si.
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