725_LA SETTIMA VITTIMA (The Seventh Victim). Stati Uniti; 1943. Regia di Mark Robson.
Dopo i fasti dei film coi mostri
della Universal negli anni 30, il
cinema dell’orrore si apprestava a lasciare la ribalta ad un altro genere che
meglio avrebbe incarnato le inquietudini del decennio successivo, il noir. Ma, nonostante la produzione
serializzata legata a Frankenstein e company continuasse in ossequio alla fama
raggiunta, ci fu chi provò ad aggiornare gli stilemi del genere horror alla nuova realtà. Il più
influente di questi cineasti non fu un regista ma un produttore: Val Lewton
della RKO Radio Pictures. Vero è che a dare la svolta fu un film, Il bacio della pantera (1942) diretto da
un maestro come Jacques Tourneur, che fu probabilmente colui che impresse i
canoni cinematografici peculiari della nuova corrente. Ma, sotto la guida di
Lewton, alla RKO sfornarono una serie di film, diretti dallo stesso Tourneur ma
anche da Mark Robson e Robert Wise, che rappresentano al meglio
l’interpretazione in chiave horror
degli anni 40. La settima vittima è
il primo film di questo filone a non essere diretto da Tourneur: il regista di
origine francese, sulla scia de Il bacio
della pantera, aveva infatti girato anche The Leopard Man consacrando quindi gli stilemi di questa nuova
corrente horror e alla RKO decisero di raddoppiare l’impegno. Così mentre
Tourneur lavorava su Ho camminato con uno
zombie, nel 1943, Val Lewton riuscì a convincere lo studio ad affidare La settima
vittima all’esordiente Robson. Il nuovo assunto fu messo in condizione di
operare al meglio: Lewton sapeva fare il suo lavoro ed era inoltre in grado di
sistemare le sceneggiature quando occorreva.
Come detto,
La settima vittima si attiene grosso modo allo stile impostato per
lo
studio da Tourneur con una storia
misteriosa che, pur se con presupposti diversi, ricalca alcune caratteristiche
de
Il bacio della pantera. Qui in
luogo di persone che vivono tra noi ma sono in grado di trasformarsi in belve
feroci ci sono semplici adepti di un culto segreto, i
Palladisti, ma il senso di paura sottilmente diffuso è simile. In
ogni caso, il rimando alla pellicola capostipite degli
horror della RKO non è solo nello stile ma è reso proprio
esplicito: nel film di Robson ritroviamo Tom Conway, già presente nella
precedente pellicola di Tourneur, nel ruolo dello stesso personaggio, il dottor
Louis Judd. Il dottor Judd, tra l’altro, nel finale de
Il bacio della pantera moriva quindi non è chiaro se sia invece
sopravvissuto, se quello di Robson sia un prequel, o se sia un semplice caso.
Va detto che, ad un certo punto, Judd fa riferimento ad una sua paziente che
impazzì, e c’è chi ha ipotizzato che si stia riferendo alla Irena interpretata
da Simone Simon in
Cat people. A
parte questi dettagli,
La settima vittima
è un film certamente debitore a
Il bacio
della pantera soprattutto per l’atmosfera di cui è intriso e per alcuni
passaggi, come l’uccisione dell’ispettore August (Lou Lubin), tra le ombre
magistralmente orchestrate dal direttore della fotografia Nicholas Musuraca, o
a quello che è una sorta di anticipo della scena
hitchcockiana per eccellenza, ovvero quella della doccia in
Psyco (1960). Nel film mancano, quindi,
gli elementi fantastici presenti nelle opere di Tourneur per
la RKO ma non per questo
La settima vittima è meno inquietante,
anzi. Introdotta da un lugubre verso del poeta John Donne, l’opera è incentrata
sulla scomparsa di Jacqueline (Jean Brooks).
Sulle sue tracce si mette la
sorella minore Mary (Kim Hunter), presto
aiutata dal cognato Gregory Ward (Hugh Beaumont), che però sul momento omette
di rivelarle di essersi appunto sposato con Jaqueline. Ci sono quindi una serie
di misteri, e non solo la scomparsa di Jaqueline, nella storia: d’accordo, è
importante scoprire dove sia finita, ma perché ha ceduto la sua ditta di
profumi? Perché si è sposata senza avvisare la sorella? E perché suo marito non
si rivela come tale alla cognata? E ancora non abbiamo parlato dei
palladisti. Che, quando capiterà di
incontrarli, sorprenderanno per le loro vesti dimesse: semplici persone,
perlopiù un po’ attempate, che professano tra l’altro la
non violenza. A meno che uno non voglia uscire dalla setta: in quel
caso, morte, come era capitato già in sei casi. E Jacqueline, che poi salta
fuori pure lei, è appunto quella che potrebbe divenire, nel caso insistesse nel
voler abbandonare questi
palladisti,
la settima vittima.
Ecco, Jacqueline, che viene decantata come una vera e
propria
femme fatale degna di un
noir, quando compare, con i capelli neri
e una fitta frangetta, lascia un po’interdetti. Certo, Jean Brooks è una donna
bellissima ma appare anche fragile, troppo visibilmente fragile, per vestire i
panni della
dark lady. In effetti
La settima vittima, pur condividendo
molti aspetti con i
noir, è
considerato un
horror o quantomeno un
film del mistero. Jacqueline non ha infatti la forza di soggiogare nessuno,
anzi è lei ad essere soggiogata. Ma soprattutto Gregory, suo marito, fa troppo
in fretta ad innamorarsi di sua sorella Mary, certamente meno avvenente di lei.
E’ questo comportamento insolito per un uomo, in un film americano degli anni
quaranta, che sostanzialmente abbandona la propria donna al suo destino, a
lasciare particolarmente sgomenti.
Già il fatto che debba arrivare la sedicenne
Mary preoccupata dalla mancanza di notizie di Jacqueline, non depone troppo a
favore di Gregory. Ma poi la rapidità con cui lui dà per persa quella che è la
sua donna, sebbene coinvolta nella setta e quindi in preda a forze con cui è
difficile battersi, è un altro elemento che lascia più che perplessi. Il finale
è certamente cupo, con la ragazza oggetto della ricerca che decide di
suicidarsi, assecondando i voleri dei
palladisti:
ma il pessimismo che ci lascia in eredità è ben maggiore di quello che potrebbe
scaturire da un suicidio qualunque.
In
La
settima vittima decide di togliersi la vita la donna che avrebbe dovuto
essere la più desiderata, quella che in un
noir,
un film certamente nemmeno troppo dissimile, avrebbe ben altro ruolo che essere
accantonata dall’amato e indotta alla morte da altri. Volendo, si potrebbe
leggere la sua figura in un altro modo, in un ruolo più tipico dell’horror, per
cui Jacqueline è la
damigella in pericolo,
la
vittima del titolo. Ma, anche in
questa chiave di lettura, l’
eroe, per
altro in questo caso piuttosto anonimo, non riesce a salvarla e non dà neanche
l’idea di dannarsi troppo nel tentativo. E, quasi per ulteriore sberleffo,
l’uomo si consola rapidamente con la sorella, per altro anonima, nel suo essere
ancora
acerba, quanto lui. Troppo
rapidamente: nemmeno attende che la
questione finisca, perché i suoi sentimenti appaiono chiari sin da subito. In
ogni caso, mentre la moglie sta prendendo la fatale decisione, Gregory confessa
il proprio amore a Mary, pur se l’intento dichiarato è quello di tornare da
Jacqueline. Un intento in fondo sempre posticipato e che alla fine sarà
effettivamente tardivo per salvare la donna. Insomma,
La settima vittima è un bel film e se il suo fine, come film
dell’orrore, era di spaventare, il modo in cui ci riesce, abbandonando al suo
destino chi è in difficoltà, ci lascia non solo spaventati ma anche un po’
mortificati.
Kim Hunter
Isabel Jewell
Jean Brooks
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