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mercoledì 13 gennaio 2021

IL GATTO A NOVE CODE

720_IL GATTO A NOVE CODE. Italia, Francia, Germania Ovest; 1971. Regia di Dario Argento.

In seguito al successo de L’uccello dalle piume di cristallo, suo esordio cinematografico ufficiale come regista, Dario Argento ottiene l’incarico per un nuovo film, Il gatto a nove code. Pare che l’input arrivò dall’America, dove L’uccello dalle piume di cristallo aveva avuto un ottimo successo: per il nuovo film c’era quindi una grande attesa che, in un certo senso, aggiungeva ansia da prestazione ai problemi tipici del giovane autore chiamato a riconfermare l’exploit all’esordio. Forse anche a causa di queste eccessive aspettative alla Titanus non furono molto convinti, una volta visto finito il nuovo lavoro di Argento; il clamoroso successo, che doppiò i già lusinghieri incassi del precedente film, fece evidentemente cambiare idea ai produttori. Se il pubblico, come abbiamo visto, gradì questa seconda opera del regista romano chi invece restò, se non fredda perlomeno tiepida, fu la critica: non tanto quella generica, sia chiaro, che, essendo Il gatto a nove code un giallo piuttosto pesante come impatto visivo, al tempo non lo teneva nemmeno troppo in considerazione. Ma anche presso gli appassionati del cinema di genere italiano, o addirittura presso gli stessi fan argentiani, spesso Il gatto a nove code è stato considerato un film minore. In realtà il secondo film di Dario Argento è, nel complesso, uno dei suoi migliori lavori, un’opera dove l’equilibrio tra la visionarietà di alcune scene ben si amalgama con una trama avvincente ed incalzante e le peculiari lacune dal punto di vista della sceneggiatura non hanno il tempo di palesarsi durane la fruizione. 

La regia di Argento è vispa, attenta, viva, anche eccessiva, si vedano certe panoramiche ripetute (la scena del primo omicidio), le soggettive insistite, i dettagli ingranditi, celeberrimo quello dell’occhio dell’assassino: non c’è il rigore dei maestri a cui l’autore romano si ispira, è evidente, ma nel complesso il puzzle funziona. Il film manca, ma è e sarà una costante caratteristica dell’autore, di un certo spessore; c’è ben poco altro oltre alla vicenda gialla, e la scoperta del colpevole è il pretesto per mettere sullo schermo una serie di scene di ottima fattura. La linearità di un’operazione produttiva di un film che viene messo in cantiere visto il successo del precedente (e quello che è richiesto è semplicemente che faccia paura) unita alla limitata esperienza di Argento, mantengono ancorato ad un classico canovaccio lo sviluppo del lungometraggio. 

La trama stringata, il buon ritmo, la mano calda di Argento, la musica di Ennio Morricone, tutto coopera affinché il risultato finale sia funzionale. Il tema dell’occhio, la cecità di uno dei protagonisti e la pupilla ingrandita a tutto schermo dell’assassino che accompagna le sue entrate in scena, provano a gettare lì uno spunto che possa passare per un sottotesto ma è una falsa pista. Le influenze d’oltreoceano si avvertono nel cast che, in effetti, ha un buon impatto complessivo: Karl Malden è Franco Arnò, il cieco di cui si è detto, ed è un giornalista ormai in pensione. Nello sviluppo degli eventi si trova ad affiancare il reporter Carlo Giordani (James Franciscus): se Malden interpreta quasi divertito il suo ruolo, dall’alto della sua classe, Franciscus regge egregiamente la scena, e la loro presenza è un’ottima sponda alla regia di Argento che, dalla sua, aveva sin dagli esordi una capacità di messa in scena di caratura internazionale. Sulle spalle di Catherine Spaak grava il compito di adeguare al livello maschile anche il comparto femminile del cast: Rada Rassimov è anch’essa donna di notevole fascino ma la notorietà della Spaak è di un’altra categoria.

Per altro l’attrice di origine franco-belga non è che sciorini una prestazione attoriale memorabile ma, questo è indiscutibile, al tempo era sulla cresta dell’onda (oltre ad avere una presenza scenica altrettanto indiscutibile). Questi aspetti, legati all’impatto sullo schermo degli attori principali, la fisicità della Spaak e di Franciscus, la notorietà e il carisma hollywoodiano di Malden, non sono marginali. In un film di Argento, il cui senso è strettamente legato al filo delle indagini da seguire ma, in controtendenza alla norma di queste operazioni, non sorretto da una sceneggiatura ferrea, il fascino degli interpreti è elemento trainante quasi quanto i passaggi visivamente forti che sono il marchio di fabbrica, e la vera ragion d’essere, del cinema del regista romano. Alla fine il colpevole è smascherato e viene data anche una spiegazione che, per la verità, lascia abbastanza indifferenti; il che sarà uno degli aspetti che ritorneranno sovente nel cinema di Argento. Non importa; quello che conta è essersi goduti un ottimo film dell'indiscusso mago del brivido italiano.  



Rada Rassimov



Catherine Spaak







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