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martedì 5 gennaio 2021

FAR WEST

712_FAR WEST (A Distant Trumpet). Stati Uniti; 1964. Regia di Raoul Walsh.

Capitolo finale di una carriera registica quasi eterna, Far West di Raoul Walsh non è certo ricordato come l’opera più convincente del validissimo autore. E, in effetti, Una pallottola per Roy del 1941 o Tamburi lontani di dieci anni dopo, per citarne solo un paio tra le tante, sono pellicole di ben altro spessore. Comunque sia, il film ha un’origine nobile, ovvero l’omonimo romanzo del quotato Paul Horgan, un racconto storico sulle ultime guerre indiane con protagonisti gli Apache. Si tratta di una questione certamente amara, sia per l’esito finale, sia per la consapevolezza, ormai in parte diffusa anche all’epoca in cui è ambientata la vicenda, che si stava commettendo l’ultima ingiustizia a danno dei nativi. E nel 1964, anno di uscita del film, si cominciava a comprendere che stava finendo anche l’epopea definita classica, in senso cinematografico, legata al Far West (curiosamente evocato dal titolo italiano in luogo dell’originale A distant trumpet). Una serie di adattamenti e cambiamenti operati in sede di sceneggiatura porteranno ad ottenere un film che segue due tracce, quella legata alla questione indiana e quella sentimentale, che in qualche caso si intrecciano, senza però riuscire ad incendiare mai realmente la storia, né sul versante drammatico e nemmeno in quello romantico. Agli indiani vengono riconosciuti meriti e ragioni; ma la loro caratterizzazione, perlomeno quella figurativa che comunque ha un’importanza rilevante, è troppo sommaria, generica e tipicamente hollywoodiana (per non dire errata). 

Questo aspetto introduce un ulteriore difficoltà del lungometraggio: l’ambientazione nel sudovest americano filmata in Technicolor nel formato panoramico Panavision e le sontuose musiche di Max Steiner, ci preparano ad un grande western e, a quel punto, sarebbe quasi legittimo attendersi un classico. L’attenzione alla questione indiana non sarebbe nemmeno un problema, perché già in molti western cosiddetti classici si è affrontato l’argomento con un’ottica moderna; il punto è che mancano completamente gli interpreti all’altezza di un simile scenario. 

Se Claude Akins se la cava in un suo tipico ruolo da mascalzone, soltanto Suzanne Pleshette nei panni della protagonista principale tiene la scena (quasi) a dovere. Incolore Troy Donahue nel ruolo di protagonista, purtroppo insipida Diane McBain nella parte della rivale in amore predestinata a maritare l’eroe ma ovviamente delusa. Questi tre interpreti danno luogo ad un triangolo amoroso piuttosto sciatto e vissuto dal tenente protagonista del racconto più come un dovere che con reale partecipazione. Ovviamente, essendo un western, più marginali le due figure femminili, sebbene il personaggio della Pleshette sembra appunto un filo meno superficiale di quello della McBain. Poi, nel complesso, Walsh porta a casa la sua sufficienza con le scene di azione, le battaglie, le cavalcate; insomma, col mestiere.
E, come saluto al vecchio maestro, possiamo anche farcelo andare bene. 







Suzanne Pleshette




Diane McBain




2 commenti:

  1. qui abbiamo la mora e la bionda :D
    mi piace molto la prima foto che hai messo di Diane, con quello sguardo! ;)

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  2. Si, Diane McBaine era bellissima, come anche Suzanne Plashette, ma in Far West non è che incanti, eh.

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