263_WINCHESTER '73 ; Stati Uniti, 1950; Regia di Anthony Mann.
Il regista americano Anthony Mann, sul finire degli anni ’40, aveva diretto alcuni interessanti film noir; poi , nel 1950, quasi inaspettatamente, girò ben tre western. Inaspettatamente perché si tratta di una svolta tanto
repentina quanto decisa (tre pellicole in un anno!) e anche perché le
caratteristiche del cinema di Mann sembravano perfette per il genere noir. Ma se già i primi due film di
questa ipotetica trilogia western
dell’anno 1950 erano molto più che buoni (Il passo del Diavolo e Le
furie), questo Winchester ‘73 è
addirittura eccellente. Mann non tradisce il bianco e nero caro ai suoi noir, nonostante nel genere western stia
prendendo sempre più piede l’uso del colore; e anche i temi trattati sono
forti, primordiali e violenti, proprio come nelle ambientazioni urbane dei crime movie degli anni quaranta. Perché
l’aspetto che Mann coglie del Far West,
è proprio questo suo essere vergine, primitivo, e i suoi personaggi vi si
muovono spinti da pulsioni, passioni e ideali puri, sia nel senso positivo che
in quello negativo. La stilizzazione di questi temi è amplificata dal fatto che
i due rivali, nel film, sono fratelli: quello bravo Lin McAdam è interpretato da un ottimo James Stewart, quello cattivo Dakota Brown è Stephen McNally,
certamente un attore molto meno interessante. Un po' come se i due fossero le facce opposte della stessa medaglia. I due si contendono sin da subito
il fucile che dà il titolo all’opera, ovvero un Winchester 1873, uno dei veri prim’attori della conquista dell’ovest americano. Il
fucile è naturalmente un pretesto, il suo passare di mano in mano ai vari
personaggi permette al regista di mettere in scena l’intero universo del Far West: ma non è pero certo questo il vero motivo di interesse del film.
Il
punto di forza di quest’opera non è nemmeno nella contrapposizione tra i
fratelli, e il loro simbolicamente rappresentare il bene e il male; e neppure
lo è la critica, a volte anche ironica, con cui il regista tratteggia la
famiglia, dal rapporto tra i suddetti fratelli, fino alle esperienze che capitano all’attrice protagonista (Shelley Winters), che prima si trova fidanzata ad un
codardo e poi ad un bandito un po’ sopra le righe. No, la vera forza del film è
nella messa in scena, nei paesaggi che passano via via sempre con più decisione
dalla cittadina di frontiera agli spazi aperti, con il finale splendido su una
montagna desolata, dove le pallottole disegnano rimbalzi che rendono la pellicola
praticamente tridimensionale. E quella montagna è la meta perfetta per tracciare
il percorso in una sorta di mappa del cinema di Mann: l’epopea western arriva
dunque dopo quella dei gangster, mentre ovviamente nella realtà storica accadde
il contrario. Un po’ come se l’America ormai corrotta avesse bisogno di purificarsi, di
tornare alla Natura per ritrovare i propri valori universali.
Winchester ‘73 è quindi pienamente
nella poetica del genere ma è al contempo anche un western fortemente
personale; oltre che un eccellente film. Un film di Anthony Mann, del resto.
Shelley Winters
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