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mercoledì 29 ottobre 2025

REGENERATION aka BEHIND THE LINES

1752_REGENERATION aka BEHIND THE LINES , Regno Unito, Canada 1997. Regia di Gillies MacKinnon 

Tratto dal romanzo omonimo di Pat Barker, Regeneration di Gillies MacKinnon è un film ambientato nell’ospedale di guerra di Craiglockhart, a Edimburgo, in Scozia, quando in Europa infiammava ancora la Prima Guerra Mondiale. Tra i protagonisti della vicenda spicca la figura di Sigfried Sassoon (James Wilby), personaggio storico (come altri nel film) piuttosto controverso. Comandante di compagnia benvoluto dai suoi uomini, fu decorato per il valore dimostrato in battaglia; un valore che spesso sconfinava nella sfrenata audacia tanto da meritagli il soprannome di Mad Jack (Jack il pazzo). Pur cavandosela bene anche con la penna, ottenne la notorietà in questo campo non tanto con le sue poesie quanto con la spiazzante Dichiarazione di un soldato. Lui, un decorato di guerra, dopo aver gettato la sua croce al valor militare nel fiume Mersey, scriveva alla stampa e al Parlamento di Londra un proclama contro quella che definiva una guerra che, da guerra in difesa della libertà, si era rivelata però essere una guerra di aggressione e sopraffazione. Gli inglesi, già alle prese coi loro problemi nel merito, non si potevano certo permettere una diserzione di tale portata, da parte di un eroe decorato, e quindi dichiarano Sasson inabile alla leva e lo mandano in cura affinché si ravveda. Certo, Sassoon non vuole fare il disfattista e quindi, al capitano Rivers (Jonathan Pryce), il medico che se ne occupa, dichiara che non è contrario a tutte le guerre ma solo a quelle dove gli interessi politico economici la facciano da padrone. Da parte sua Rivers è un soldato e un medico onesto; altri dottori dell’esercito arrivano praticamente a torturare i militari che professano un qualche problema psicologico, allo scopo di farli guarire o desistere (a seconda dei casi e delle opinioni) dal mantenere tali disturbi. Tuttavia la coscienza di Rivers sarà messa a dura prova, tra la cura di Sassoon e quella degli altri pazienti: eppure, nonostante le prime incertezze che si palesano nel suo medico curante, alla fine, Sassoon si convince a guarire e decide di tornare a combattere. Una scelta, a suo modo, di comodo, perché in realtà c’era poco da ravvedersi: Mad Jack aveva semplicemente aperto gli occhi. La propaganda bellica aveva (e clamorosamente continua ancora oggi) raccontato della Prima Guerra Mondiale come un conflitto tra chi difendeva la libertà e chi propugnava il militarismo; tale propaganda fu particolarmente efficace, vuoi perché la miglior qualità anglosassone è esattamente quella di diffondere convintamente il proprio credo, ma anche perché, perlomeno per quel che riguardava la raffigurazione del nemico, era una propaganda che forse era assecondata anche dagli stessi tedeschi. Molti, tra i sudditi dell’imperatore Guglielmo II, probabilmente, si riconoscevano nella definizione marziale, austera e severa con cui venivano descritti al di qua del fronte occidentale: certo, c’era del disprezzo ma anche tanta paura. 

E niente di più facile che fosse proprio quest’ultima deriva a solleticare la vanità teutonica di un popolo che in parte si crogiolava nella propria natura forte e dominante. In realtà, molto più prosaicamente, quello del 1914-18 era un conflitto che verteva sulla disputa di interessi economici in ambito internazionale in un panorama che andava già da tempo globalizzandosi. Ma, fosse anche stata vera la storia della difesa della libertà, questa si stava fondando su una radice fortemente contradditoria. Un equivoco (in malafede) che ancora oggi di tanto in tanto riporta alla luce l’ipocrisia insita nella sbandierata libertà di cui ci vantiamo di vivere nel mondo occidentale: a tanti, troppi soldati che furono mandati a combattere in prima linea per costruire il cosiddetto mondo libero del XX secolo (e oltre) non fu concessa alcuna libertà se non quella di andare a farsi deliberatamente massacrare contro le mitragliatrici nemiche in sterili azioni prive di senso. Una presunzione di libertà che si fonda su una privazione della più elementare delle libertà, quella della sopravvivenza, di chi ne pagò lo scotto. Oggi, in condizioni normali, il problema non si pone: ma provate a pensare quanti di noi, cittadini del mondo libero occidentale, sarebbero disposti ad andare incontro a danni personali, o addirittura alla morte, se la libertà collettiva fosse minacciata da una guerra, da un’epidemia, da un’invasione aliena o da quello che volete voi? Quanti, metterebbero a repentaglio la propria salute, la propria vita, se non obbligati? E allora ecco che la nostra libertà rivela il suo lato oscuro: si fonda su una privazione di libertà. Storicamente, nelle vite dei soldati mandati deliberatamente incontro a morte certa (non solo nelle estenuanti battaglie della Prima Guerra Mondiale ma, per fare un altro esempio secco e lampante, si possono prendere i primi che sbarcarono in Normandia nella seconda). E, Storia a parte, nella nostra quotidianità questo torna ad accadere appena capita una situazione simile a quelle citate. Giusto appena, eh. 



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