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martedì 12 dicembre 2017

LA CARICA DEI CENTO E UNO

59_LA CARICA DEI CENTO E UNO (One Hundred and One  Dalmatians) Stati Uniti, 1961;  Regia di Wolfgang Reitherman, Hamilton Luske e Clyde Geronimi.

Due anni dopo il maestoso, ma deludente al botteghino, La bella addormentata nel boscola Walt Disney prova ad imprimere una nuova svolta nella galleria dei suoi celebrati film di animazione. Se, con la storia della principessa Aurora, la casa cinematografica di Burbank aveva alzato la posta, cercando di produrre una nuova fiaba che eguagliasse e rilanciasse i fasti di Biancaneve e i sette nani e Cenerentola, attraverso la realizzazione di un’opera qualitativamente e artisticamente superiore, il deludente riscontro al box-office poneva lo studio di fronte a scelte più pragmatiche per il futuro. Questa premessa, che effettivamente riguarda maggiormente il classico d’animazione Disney precedente, è forse invece cruciale per capire l’origine di alcune scelte stilistiche e artistiche che, a conti fatti, contribuiranno a rendere La carica dei cento e uno un assoluto capolavoro. Di fronte alla necessità di produrre un film che costasse poco, e non esponesse ulteriormente lo studio a possibili perdite, i tecnici della Disney si inventarono la xerografia, un metodo che permette di trasferire direttamente i disegni degli animatori sui rodovetri; un sistema che consente, in questo modo, un notevole risparmio di mano d’opera. Pare però che, durante la lavorazione di One Hundred and One Dalmatians, la tecnica fosse ancora poco raffinata, e ci fu chi rimpianse la sontuosa mano degli inchiostratori, la cui abilità manuale non era certo eguagliata dal processo con lo Xeros.  
E’ difficile sostenere che alla fine questo possa essere stato, piuttosto, un vantaggio ma, guarda caso, La carica dei cento e uno fa’ proprio di una certa ruvidezza generale uno dei suoi punti di forza. Se La bella addormentata nel bosco aveva introdotto nella galleria dei classici uno stile più angolato e meno arrotondato, aveva però mantenuto una pulizia nel tratto e soprattutto una sublime ricercatezza e ricchezza di dettagli nelle immagini, che rendeva la grafica di altissima raffinatezza artistica. One Hundred and One Dalmatians conserva lo stile angolato, ma smettendo ogni forma di ricercatezza formale, lo utilizza al fine di ottenere una stilizzazione che dia maggiore dinamicità alle immagini. Una rappresentazione stilizzata è più rapida da eseguire, sebbene mantenga facilmente una maggior dinamicità intrinseca nel disegno; questo è stato sicuramente comodo nel dover rappresentare i 99 cuccioli della storia, ma gli autori, per coerenza stilistica, hanno esteso questa veste grafica all’intero lungometraggio, scenografie d’interni, paesaggi come Londra o la limitrofa campagna, compresi. 
Per giustificare e sfruttare al meglio una tale scelta grafica, la storia è particolarmente dinamica, concede poche pause, comprese quelle tipiche musicali, e la traccia avventurosa è preponderante su tutti gli altri elementi narrativi dell’opera. Nonostante la Disney ci abbia già mostrato un lungometraggio impostato dalla prospettiva animale (ad esempio Bambi) l’incipit di La carica dei cento e uno è comunque sorprendente: a introdurci nella storia con la voce fuori campo, non è infatti, come saremmo portati a pensare, Rudy, il bipede, per citare le parole usate da quello che è appunto il narratore della storia, ovvero Pongo, il dalmata e primo dei 101 a comparire nella pellicola. La sorpresa può derivare da quella che è comunque una scelta coraggiosa e matura degli autori: già in Lilli e il Vagabondo la Disney aveva proposto una storia mista, con uomini e animali (e con protagonisti i cani, anche in quell’occasione) ma per mettere in primo piano gli animali e seguirne le vicende, per giustificare questa scelta narrativa o forse anche solo per ritenere di poterlo fare, si era usato lo stratagemma di posizionare la macchina da presa all’altezza dei quadrupedi. 
Stavolta uomini e cani sono inquadrati nello stesso modo, dallo stesso punto di vista, ma protagonisti sono gli animali; il piano in cui si trovano è lo stesso, non si tratta di una storia vista con gli occhi degli animali, ma una storia nella quale gli animali prendono il centro della scena pur condividendola con gli umani. Una bella soddisfazione per i nostri dalmata, che devono, tra l’altro, assumere iniziative, come ricercare i cuccioli rapiti o contrastare i rapitori, che almeno inizialmente, anche in questo lungometraggio, erano appannaggio degli umani. L’importanza della vita animale è quindi rimarcata già da questi particolari prettamente narrativi e cinematografici, e viene poi solo esplicitata in modo eclatante dalla stigmatizzazione dell’odiosa intenzione di farsi pellicce o indumenti con pelle animale. 
E proprio quest’ultimo elemento permette di mettere a fuoco un altro punto di forza del film, ovvero il cattivo, o meglio la cattiva (femmina, com’è quasi consuetudine dei classici Diseny) di turno: Crudelia De Mon. Introdotta da una canzone azzeccatissima, Crudelia entra di diritto nel novero delle cattive più carismatiche della Storia del Cinema, d’animazione e non.  Perfettamente rappresentata dalla grafica stilizzata dell’opera, Crudelia è sbilenca, decadente, rinsecchita, antipatica, spocchiosa, oltre che crudele, dispotica, sadica, irascibile, falsa, insomma tutte le peggiori caratteristiche umane che si possano trovare. Non ha quindi poteri magici, Crudelia, come invece avevano la regina di Biancaneve o altre cattive Disney: no, Crudelia è prettamente e anche un po’ pateticamente, volendo ben vedere, del tutto umana. Per questo è così affascinante, perché volenti o nolenti, finiamo anche noi spettatori a credere alle sue arie da gran diva, anche se forse può farcela divenire simpatica il suo essere onestamente cattiva. 

Oltre a ciò, i vari personaggi, tutti perfettamente caratterizzati, a partire dagli scagnozzi di Crudelia, Gaspare e Orazio, al trio pseudomilitare formato dal Colonnello (un cane pastore), dal Capitano (un cavallo) e dal Sergente Tibbs (un gatto), danno vita ad una pimpante e avvincente trama piena zeppa di suspense e avventura. Le gag sono spesso legate magistralmente una all’altra, come, ad esempio, quando il Capitano, guidato dal Sergente Tibbs, che lo manovra tramite le orecchie, scalcia Gaspare e Orazio facendoli volare contro la parete della stalla. Sembra l’ulteriore e forse definitiva sconfitta per il duo di bricconi, che si era visto sfuggire da sotto il naso i cuccioli poco prima . 
Invece proprio dal pertugio nella parete della stalla, creato dall’impatto dopo il volo causato dal calcio del cavallo, i due intravvedono i dalmata in fuga, e l’inseguimento può così continuare. Se l’impostazione generale è indovinata, i personaggi ben assemblati, la trama è incalzante, mancano solo da citare alcuni tra i dettagli che confezionano il capolavoro. Ad esempio la già menzionata canzone Crudelia De Mon; o le pubblicità del cibo per cani Kanine Krunchies, che si vedono in televisione e sulle insegne al neon, che rendono credibilmente moderna la storia; oppure il cucciolo teledipendente, il più contemporaneo tra i piccoli dalmata ad avere una caratterizzazione spiccata. Anche se il passaggio migliore di tutti è lo spettacolo televisivo che stanno guardando Gaspare e Orazio: Qual’è il mio reato? A parte l’idea genialmente folle del programma in sé, apparentemente il tema della trasmissione è narrativamente giustificato dal precedente passaggio televisivo del film. Infatti, prima del rapimento dei cuccioli, la famiglia di dalmata è riunita davanti alla televisione a guardare un telefilm western di Fulmine, un cane che come medaglietta porta la stella di sceriffo.

Se è normale che i cani guardino la tv, allora è normale che anche il protagonista del telefilm sia un cane; e la pubblicità che vi si veda non può essere che cibo per cani. E questo passaggio, da un punto di vista di logica narrativa tipicamente disneyana, legittima che la coppia di malfattori guardi un programma in cui al centro della scena ci siano dei criminali. Che poi Qual’è il mio reato? in un interpretazione leggermente diversa, ovvero dell’innocente che non si capacita di quale sia la propria colpa a fronte di una punizione, sia una definizione perfetta anche per esprimere il sentimento dei cuccioli, in quel momento prigionieri dei due figuri, e destinati a diventare giacchette di pelo dalmata, o volendo, per tutta la categoria degli animali ingiustamente maltrattati dall’uomo, è solo uno dei tanti passaggi sopraffini di un assoluto capolavoro del Cinema.







Crudelia de Mon









1 commento:

  1. è bello sapere che c'è stato un tempo in cui si è avuto nostalgia del "sontuoso lavoro degli inchiostratori", un qualcosa che oggi, con il dilagante e irrefrenabile successo del digitale pieno di effettacci speciali, mi sembra impossibile da ripetersi...

    di questo cartoon non ho molti ricordi, non era fra quelli di cui avevo la videocassetta, ricordo bene invece la versione "a film" con glenn close nei panni di crudelia...

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