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sabato 8 dicembre 2018

ALBA TRAGICA

256_ALBA TRAGICA  (Le jour se lève); Francia, 1939;  Regia di Marcel Carné.

Spesso ci si rivolge al cinema per conoscere fatti, avvenimenti, personaggi della Storia, pretendendo dalla settima arte una aderenza alla realtà che, probabilmente, non è nella sua natura. Il cinema trova la sua più piena espressione quando la visione di un film è un’esperienza quasi catartica che coinvolge i nostri sensi, le nostre emozioni; e anche la nostra capacità critica, certo, ma difficilmente in un simile contesto è opportuno chiedere una fredda e asettica cronistoria. Ma questo non significa affatto che al cinema non sia deputata una funzione di memoria storica, anzi, al contrario. Un lampante esempio, in questo senso, è Alba tragica di Marcel Carné, film francese il cui splendido titolo originale Le jour se lève è ancora più azzeccato. Il film uscì in Francia nel giugno del 1939; tre mesi dopo scoppiava la Seconda Guerra Mondiale. Probabilmente nessuna opera filmica riesce a restituire l’atmosfera disperata, senza alcuna via di uscita che si respirava in Europa in quei drammatici momenti, quanto l’eccezionale opera di Carné. La storia è un dramma con risvolti sentimentali (si può dire che sia un melodramma), che si apre, e si chiude, con eventi tragici degni di un crime-movie. Il protagonista, Francois (un eccellente Jean Gabin) è asserragliato nella sua stanza, ha appena ucciso un uomo, Valentin (un untuoso Jules Berry), e si rende via via conto che la sua situazione non gli lascia più alcuna via di scampo. Per l’epoca, l’uso prolungato del flashback, non era affatto cosa scontata e, in questo senso, è geniale la scelta del regista francese, perché ripercorrere la storia avendo presente il cul de sac in cui si è infilato Francois, getta una luce angosciante su tutta la vicenda. 
Francois è un operaio che lavora in una fabbrica le cui condizioni ambientali ne minano la salute; l’atmosfera nello stabilimento è infatti satura di sabbia usata per sabbiare alcuni componenti metallici. Curiosamente, se l’uomo mostra una consapevolezza, almeno nelle intenzioni, e beve il latte per cercare di mantenersi sano, è anche vero che fuma in modo insistente: questa è già una prima contraddizione nel comportamento dell’uomo, indicativa di un periodo nel quale il tentativo di migliorare la propria condizione non era del tutto assecondato da una piena consapevolezza. L’incontro con Francoise (Jaqueline Laurent) è un fulmine a ciel sereno, per Francois, che se ne innamora subito. 

Le similitudini non si fermano al nome: entrambi orfani, giovani, poveri, con un lavoro umile ma comunque dignitoso. In sostanza, l’individuo trova l’anima davvero gemella e, con un simile corrispettivo femminile, elevarsi dall’umile condizione in cui versa, sembra quasi uno scherzo, tanto è scontato il prevedibile successo di una storia d’amore che si poggi su simili solide basi. Ma naturalmente il diavolo ci mette lo zampino, perché siamo in Francia, Europa, 1939, non precisamente un luogo paradisiaco: da anni soffiano i venti della propaganda nazionalista, e sono venti che possono sedurre chiunque, e di fatto lo faranno. Nel film arriva un addestratore di cani, il suddetto Valentin, accompagnato nel suo spettacolo teatrale da Clara (interpretata da Arletty, una diva francese del tempo) con la quale però è ormai ai ferri corti. 
Valentin è infatti un incallito seduttore, anzi, un tombeur de femmes, per usare l’efficace definizione francese, e ha già individuato la prossima vittima; Francoise, ovviamente. La quale, dopo aver protetto in modo ampio la virtù dai focosi e baldi tentativi di Francois, cede alle lusinghe del dongiovanni di professione. L’intreccio sentimentale è ben congegnato, e gli incastri narrativi mettono Francois di fronte ad una serie di strade senza uscita: dapprima pensa di aver perso la ragazza (ma si consola con Clara), ma è quando si convince di poterla invece avere che arriva una sonora delusione imprevista. La ragazza, che con lui si è mostrata tanto virtuosa, e di cui aveva stima anche per questo, tanto virtuosa non è; come gli dimostra Valentin. L’interrogativo potrebbe essere se bruci più questo fatto, l’innocenza perduta della giovane, o l’umiliazione virile per vedersi battuto e sbeffeggiato dal viscido seduttore. Ma è un problema secondario: la verginità di una fanciulla, come anche la purezza di una storia d’amore con l’anima gemella, non consentono compromessi e, a questo punto, tutto è irrimediabilmente perduto. La bravura di Carné è nel riuscire a giustificare, con questi presupposti narrativi legati ad una pur vibrante storia d’amore, una sensazione di delusione e di perdita, enorme; e che attingeva, per alimentarsi, a quel diffuso senso di disperazione che, nella realtà del tempo, aveva un’origine più razionale e ben motivata. Poi, narrativamente, tutto si concretizza nel fatale colpo di pistola, nell’assedio da parte della polizia che non lascia alcuna via di scampo al nostro Francois. Ma sono solo dettagli di una storia che ha sin dal principio un epilogo segnato, ineluttabile come il giorno che arriva dopo la notte.
E non sarà un'alba soave. 

Jaqueline Laurent



Arletty



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