256_ALBA TRAGICA (Le jour se lève); Francia, 1939; Regia di Marcel Carné.
Spesso ci si rivolge al cinema per conoscere fatti,
avvenimenti, personaggi della Storia, pretendendo dalla settima arte una aderenza alla realtà che, probabilmente, non è
nella sua natura. Il cinema trova la sua più piena espressione quando la
visione di un film è un’esperienza quasi catartica che coinvolge i nostri
sensi, le nostre emozioni; e anche la nostra capacità critica, certo, ma
difficilmente in un simile contesto è opportuno chiedere una fredda e asettica
cronistoria. Ma questo non significa affatto che al cinema non sia deputata una
funzione di memoria storica, anzi, al
contrario. Un lampante esempio, in questo senso, è Alba tragica di Marcel Carné, film francese il cui splendido titolo
originale Le jour se lève è ancora
più azzeccato. Il film uscì in Francia nel giugno del 1939; tre mesi dopo
scoppiava la Seconda Guerra Mondiale. Probabilmente nessuna opera
filmica riesce a restituire l’atmosfera disperata, senza alcuna via di uscita
che si respirava in Europa in quei drammatici momenti, quanto l’eccezionale
opera di Carné. La storia è un dramma con risvolti sentimentali (si può dire
che sia un melodramma), che si apre,
e si chiude, con eventi tragici degni di un crime-movie.
Il protagonista, Francois (un eccellente Jean Gabin) è asserragliato nella sua
stanza, ha appena ucciso un uomo, Valentin (un untuoso Jules Berry), e si rende
via via conto che la sua situazione non gli lascia più alcuna via di scampo.
Per l’epoca, l’uso prolungato del flashback,
non era affatto cosa scontata e, in questo senso, è geniale la scelta del
regista francese, perché ripercorrere la storia avendo presente il cul de sac in cui si è infilato
Francois, getta una luce angosciante su tutta la vicenda.
Francois è un operaio
che lavora in una fabbrica le cui condizioni ambientali ne minano la salute; l’atmosfera
nello stabilimento è infatti satura di sabbia usata per sabbiare alcuni
componenti metallici. Curiosamente, se l’uomo mostra una consapevolezza, almeno
nelle intenzioni, e beve il latte per cercare di mantenersi sano, è anche vero
che fuma in modo insistente: questa è già una prima contraddizione nel
comportamento dell’uomo, indicativa di un periodo nel quale il tentativo di
migliorare la propria condizione non era del tutto assecondato da una piena
consapevolezza. L’incontro con Francoise (Jaqueline Laurent) è un fulmine a
ciel sereno, per Francois, che se ne innamora subito.
Le similitudini non si
fermano al nome: entrambi orfani, giovani, poveri, con un lavoro umile ma
comunque dignitoso. In sostanza, l’individuo trova l’anima davvero gemella e,
con un simile corrispettivo femminile, elevarsi dall’umile condizione in cui
versa, sembra quasi uno scherzo, tanto è scontato il prevedibile successo di una
storia d’amore che si poggi su simili solide basi. Ma naturalmente il diavolo
ci mette lo zampino, perché siamo in Francia, Europa, 1939, non precisamente un
luogo paradisiaco: da anni soffiano i venti della propaganda nazionalista, e
sono venti che possono sedurre chiunque, e di fatto lo faranno. Nel film arriva
un addestratore di cani, il suddetto Valentin, accompagnato nel suo spettacolo
teatrale da Clara (interpretata da Arletty, una diva francese del tempo) con la
quale però è ormai ai ferri corti.
Valentin è infatti un incallito seduttore,
anzi, un tombeur de femmes, per usare
l’efficace definizione francese, e ha già individuato la prossima vittima;
Francoise, ovviamente. La quale, dopo aver protetto in modo ampio la virtù dai
focosi e baldi tentativi di Francois, cede alle lusinghe del dongiovanni di professione. L’intreccio
sentimentale è ben congegnato, e gli incastri narrativi mettono Francois di
fronte ad una serie di strade senza uscita: dapprima pensa di aver perso la
ragazza (ma si consola con Clara), ma è quando si convince di poterla invece
avere che arriva una sonora delusione imprevista. La ragazza, che con lui si è
mostrata tanto virtuosa, e di cui aveva stima anche per questo, tanto virtuosa
non è; come gli dimostra Valentin. L’interrogativo potrebbe essere se bruci più
questo fatto, l’innocenza perduta della giovane, o l’umiliazione virile per
vedersi battuto e sbeffeggiato dal viscido seduttore. Ma è un problema
secondario: la verginità di una fanciulla, come anche la purezza di una storia
d’amore con l’anima gemella, non consentono compromessi e, a questo punto,
tutto è irrimediabilmente perduto. La bravura di Carné è nel riuscire a
giustificare, con questi presupposti narrativi legati ad una pur vibrante
storia d’amore, una sensazione di delusione e di perdita, enorme; e che
attingeva, per alimentarsi, a quel diffuso senso di disperazione che, nella
realtà del tempo, aveva un’origine più razionale e ben motivata. Poi,
narrativamente, tutto si concretizza nel fatale colpo di pistola, nell’assedio
da parte della polizia che non lascia alcuna via di scampo al nostro Francois. Ma sono solo
dettagli di una storia che ha sin dal principio un epilogo segnato, ineluttabile come il
giorno che arriva dopo la notte.
E non sarà un'alba soave.
Jaqueline Laurent
Arletty
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