252_CIELO SULLA PALUDE Italia, 1949; Regia di Augusto Genina.
A vederlo oggi, Cielo
sulla palude di Augusto Genina, sorprende di come sia un film abitualmente
poco considerato. D’accordo, forse Genina si accoda agli stilemi
cinematografici del neorealismo con
mestiere, allo stesso modo in cui dirigeva in precedenza film di propaganda
fascista. E chissà, forse anche l’argomento trattato, vita e, ahimè, morte
assai prematura e traumatica di Maria Goretti, non avrà attirato, nel corso del
tempo, le simpatie della critica cinematografica nostrana, da sempre non troppo
benevola verso i prodotti di cui si presume una forte ispirazione cattolica. Ma
in fondo qui la religione c’entra relativamente: certo, la Goretti l’hanno fatta
santa e sicuramente la sua devozione era profonda e sincera. Però il film non
si concentra solo sull’aspetto religioso della vita di Maria, almeno non più di
tutto il resto. E proprio quel resto,
ovvero l’ambiente delle paludi pontine, che Genina illustra in modo esemplare,
aiutato dalla straordinaria fotografia in bianco e nero di Aldo Aldò Graziati, sembra oggi di
grandissimo valore cinematografico. La vita della povera gente, le asprezze di
alcuni di loro, come ad esempio Giovanni Serenelli (Francesco Tomalillo) padre
di quell’Alessandro (Mauro Matteucci), che fu l’assassino della povera Maria
(Ines Orsini). Ma anche la solidarietà di altri, come i vicini di casa dei
Goretti, o il buon cuore, certamente
di maniera, quello sì, della contessa, da contrapporre all’indifferenza
istintiva e preventiva verso gli altri del marito conte.
Insomma, se i
personaggi sono illustrati con poche ma incisive pennellate che ne scolpiscono
con efficacia le caratteristiche, sull’ambientazione paludosa della zona
intorno a Nettuno, una palude ancora intrisa di malaria che i contadini cercano
disperatamente di coltivare, Genina si supera, e riesce a fornire un quadro
certamente convincente. In questo ambito si svolge la vicenda dei Goretti,
famiglia di Maria, una ragazzina undicenne che, giustamente, Genina evita di
santificare in maniera eccessiva e preventiva: la giovinetta è poco più di una
bambina e la sua ingenuità, certamente dovuta all’indole spontanea e sincera
unita forse anche alla mancanza di ogni possibile tentazione, è probabilmente
quella di molte altre fanciulle nelle medesime condizioni.
La purezza di Maria
è quindi quasi naturale, non assolutamente forzata; l’assenza di malizia alla
base e la contemporanea mancanza di elementi corruttivi avevano preservato la
ragazza nella completa e sincera innocenza. C’è forse una forma di moralismo
(ma con innegabile fondo di verità) da parte del regista, nel mostrare come sia
dall’ozio in cui giace perlopiù Alessandro, che nascono i pensieri maliziosi
prima e via via più ossessionati, che porteranno all’aberrante crimine ai danni
della ragazzina. Un ambiente malsano non può che produrre atti malsani, si
potrebbe dire. E qui, probabilmente, più che sulle parole in punto di morte
della povera Maria che nel film perdona Alessandro prima di spirare, che si
innesta la volontà popolare di rifiutare una simile conclusione.
La folla che
accorre al capezzale della ragazza non ha una motivazione narrativa ma
risponde alla necessità di elevare il sacrificio di Maria in risposta al male
scaturito nell’orribile delitto. La collettività si aggrappa alla giovane
ragazza per ribellarsi dalla propria condizione di miseria morale oltre che
economica: in questo senso è quasi normale notare come, oltre alla chiesa
cattolica che l’ha santificata, la figura di Maria Goretti sia stata presa a
modello prima dai fascisti e in seguito anche dai comunisti.
Ma questo non deve suonare come accusatorio per la
strumentalizzazione che si potrebbe pensare sia stata fatta di volta in volta:
non è questo il caso. La purezza di Maria Goretti, qualunque sia la causa che
l’ha preservata, è un valore universale, e quindi è logico che tutti vi
riconoscano l’importanza assoluta.
E il film di Genina assolve benissimo questo compito in
ambito cinematografico.
Ines Orsini
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