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mercoledì 5 dicembre 2018

QUIEN SABE?

253_QUIEN SABE?  Italia, 1966;  Regia di Damiano Damiani. 

Damiano Damiani coglie in maniera eccellente, e coerentemente con la sua sensibilità, le possibilità offerte dal nuovo corso italiano al genere western e le concretizza con il film Quien sabe? Va detto che il tempo dell’ambientazione, ampiamente già nel XX secolo, e il fatto che la vicenda si svolga in Messico, sono elementi che potrebbero mettere in discussione l’ipotesi di accreditare il film come un western. Del resto, lo stesso Damiani pare si arrabbiasse moltissimo se qualcuno definiva Quien sabe? un western: a sua detta era un film storico ambientato in Messico durante la rivoluzione. Ma è altrettanto vero che molti sono i punti di contatto con gli spaghetti, i western all’italiana, e quindi si può considerare a pieno titolo quello di Damiani un film appartenente a quella corrente nostrana del genere, anche perché l’opera contribuisce a darne lustro. E poi l’appartenenza ad un genere o le etichette varie sono definizioni che lasciano il tempo che trovano, di per sé stesse; quel che è certo è che si può definire il film di Damiani uno spaghetti western, e quindi un western, per via delle molte analogie con altri esempi di western all’italiana. Che vanno dall’ambientazione messicana, sia essa al di là del Rio Grande o anche solo in prossimità di esso (osservando da un posizione statunitense il confine), ai toni accesi del racconto, o anche per l’epoca all’incirca a cavallo tra il IXX e XX secolo, o per la violenza spesso gratuita ed enfatizzata, o per l’uso importante della colonna sonora e dei temi musicali, o ancora per la recitazione stilizzata, sia in un verso, per sottrazione, o nell’altro, per esasperazione del registro interpretativo e, sempre restando in tema di attori, per la presenza di Gian Maria Volonté nei panni di un intemperante messicano (chi non lo ricorda nei film di Sergio Leone?) Per tutto questo, e probabilmente per altri motivi ancora, Quien sabe? è uno spaghetti, e viene istintivo, al primo sguardo, affermarlo, con buona pace del bravissimo regista friulano. 
La qualità di Damiani emerge nella determinazione e personalità con cui maneggia l’argomento: quelli che erano spunti diventano cardini sotto la sua direzione per cui, ad esempio, nel film ci troviamo in pieno territorio messicano e siamo nel XX secolo ben inoltrato. Ovvero, quelle che in genere negli spaghetti erano sfumature, aumentano d’intensità fino a divenire i colori primari del film di Damiani. In realtà, al regista non interessa rivitalizzare il cinema dei cowboy, quanto ambientare in un luogo adatto le tensioni politico/sociali italiane, pur in veste metaforica. La contestazione sessantottina diventa così la rivoluzione messicana, le motivazioni fiammeggianti ma confuse di el Chuncho (un Gian Maria Volontè in piena forma), quelle dei moderni contestatori, fieri oppositori, pur senza una linea chiara in mente, del sistema economico capitalista. Sistema che, nel film, è incarnato da Bill Tate, el Nino, (Lou Castel) che è un sicario americano in missione in Messico per eliminare il generale Elias, uno dei capi della rivoluzione. Un po’ curiosamente Tate veste come un gangster; pur non potendo parlare di incongruenza il suo abbigliamento è visivamente fuori luogo, ma forse Damiani vuole sottolineare come la società americana, qui appunto incarnata nel personaggio interpretato da Castel, sia assimilabile a quei criminali che imperverseranno negli Stati Uniti di lì a poco. Gente senza scrupoli che per il proprio interesse non esitava a compiere crimini, che si comportava in modo arrogante e sprezzante nei confronti degli umili, ma lo faceva in abiti costosi ed eleganti; proprio come Tate. 
Se l’aspetto migliore del film è lo spirito garibaldino della storia, sostenuta con vigore dalla trama incalzante, dai dialoghi di Franco Solinas e dalle musiche travolgenti di Luis Enrìquez Bacalov, è da lodare anche l’assenza di moralismo, o di pretesa di pontificare, da parte del regista. Il film ha per titolo, in effetti, una domanda emblematica: chi lo sa? Non ci sono, quindi, risposte, ma un interrogativo. Ognuno può darsi una sua risposta sul perché si debba contestare il sistema: in fondo, el Nino, è amichevole e leale nei confronti di el Chuncho e poi gli offre anche i vantaggi di una vita agiata. 
Può bastare? Può bastare l’offerta di stare dalla parte dei più forti? Può bastare anche se questo comporta ingoiare, qualche volta di troppo, il proprio senso di giustizia? Purtroppo, troppe volte la risposta è sì, anche se Damiani non ci sta.
Ma la sua soluzione di come usare l’oro del capitalismo, gridata nel finale da el Chuncho, gela il sangue nelle vene: compra dinamite!




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