253_QUIEN SABE? Italia, 1966; Regia di Damiano Damiani.
Damiano Damiani coglie in maniera eccellente, e
coerentemente con la sua sensibilità, le possibilità offerte dal nuovo corso
italiano al genere western e le concretizza con il film Quien sabe? Va detto che il tempo dell’ambientazione, ampiamente
già nel XX secolo, e il fatto che la vicenda si svolga in Messico, sono
elementi che potrebbero mettere in discussione l’ipotesi di accreditare il film
come un western. Del resto, lo stesso Damiani pare si arrabbiasse moltissimo se
qualcuno definiva Quien sabe? un
western: a sua detta era un film storico ambientato in Messico durante la
rivoluzione. Ma è altrettanto vero che molti sono i punti di contatto con gli spaghetti, i western all’italiana, e
quindi si può considerare a pieno titolo quello di Damiani un film appartenente
a quella corrente nostrana del genere,
anche perché l’opera contribuisce a darne lustro. E poi l’appartenenza ad un
genere o le etichette varie sono definizioni che lasciano il tempo che trovano,
di per sé stesse; quel che è certo è che si può definire il film di Damiani uno
spaghetti western, e quindi un
western, per via delle molte analogie con altri esempi di western all’italiana.
Che vanno dall’ambientazione messicana,
sia essa al di là del Rio Grande o anche
solo in prossimità di esso (osservando da un posizione statunitense il
confine), ai toni accesi del racconto, o anche per l’epoca all’incirca a
cavallo tra il IXX e XX secolo, o per la violenza spesso gratuita ed
enfatizzata, o per l’uso importante della colonna sonora e dei temi musicali, o
ancora per la recitazione stilizzata,
sia in un verso, per sottrazione, o nell’altro, per esasperazione del registro
interpretativo e, sempre restando in tema di attori, per la presenza di Gian
Maria Volonté nei panni di un intemperante messicano (chi non lo ricorda nei
film di Sergio Leone?) Per tutto questo, e probabilmente per altri motivi
ancora, Quien sabe? è uno spaghetti, e viene istintivo, al primo
sguardo, affermarlo, con buona pace del bravissimo regista friulano.
La qualità
di Damiani emerge nella determinazione e personalità con cui maneggia
l’argomento: quelli che erano spunti diventano cardini sotto la sua direzione
per cui, ad esempio, nel film ci troviamo in pieno territorio messicano e siamo
nel XX secolo ben inoltrato. Ovvero, quelle che in genere negli spaghetti erano sfumature, aumentano
d’intensità fino a divenire i colori
primari del film di Damiani. In realtà, al regista non interessa
rivitalizzare il cinema dei cowboy, quanto ambientare in un luogo adatto le
tensioni politico/sociali italiane, pur in veste metaforica. La contestazione
sessantottina diventa così la rivoluzione messicana, le motivazioni
fiammeggianti ma confuse di el Chuncho
(un Gian Maria Volontè in piena forma), quelle dei moderni contestatori, fieri
oppositori, pur senza una linea chiara in mente, del sistema economico
capitalista. Sistema che, nel film, è incarnato da Bill Tate, el Nino, (Lou Castel) che è un sicario
americano in missione in Messico per eliminare il generale Elias, uno dei capi
della rivoluzione. Un po’
curiosamente Tate veste come un gangster; pur non potendo parlare di
incongruenza il suo abbigliamento è visivamente fuori luogo, ma forse Damiani
vuole sottolineare come la società americana, qui appunto incarnata nel
personaggio interpretato da Castel, sia assimilabile a quei criminali che
imperverseranno negli Stati Uniti di lì a poco. Gente senza scrupoli che per il
proprio interesse non esitava a compiere crimini, che si comportava in modo arrogante
e sprezzante nei confronti degli umili, ma lo faceva in abiti costosi ed
eleganti; proprio come Tate.
Se l’aspetto migliore del film è lo spirito garibaldino della storia, sostenuta con
vigore dalla trama incalzante, dai dialoghi di Franco Solinas e dalle musiche
travolgenti di Luis Enrìquez Bacalov, è da lodare anche l’assenza di moralismo,
o di pretesa di pontificare, da parte del regista. Il film ha per titolo, in
effetti, una domanda emblematica: chi lo
sa? Non ci sono, quindi, risposte, ma un interrogativo. Ognuno può darsi
una sua risposta sul perché si debba contestare il sistema: in fondo, el Nino, è amichevole e leale nei
confronti di el Chuncho e poi gli
offre anche i vantaggi di una vita agiata.
Può bastare? Può bastare l’offerta
di stare dalla parte dei più forti? Può bastare anche se questo comporta
ingoiare, qualche volta di troppo, il proprio senso di giustizia? Purtroppo,
troppe volte la risposta è sì, anche se Damiani non ci sta.
Ma la sua soluzione di come usare l’oro del capitalismo, gridata
nel finale da el Chuncho, gela il
sangue nelle vene: compra dinamite!
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