255_L'OUTSIDER (Szabadgyalog); Ungheria, 1981; Regia di Bela Tarr.
L’ungherese Bela Tarr ci conduce, telecamera in spalla,
nelle vicende di Andras Szabo, detto Beethoven per la sua passione per il
violino. Non è però un violinista formidabile, non è nemmeno un musicista di
professione; e nemmeno è un buon marito o un buon fratello, per quello che si
vede nel film. Forse è un padre che nel complesso si può giudicare positivamente,
perlomeno nelle intenzioni di pagare gli alimenti per il figlioletto; ma il
bambino in questione forse non è suo. Anche sul lavoro non c’è da stare troppo
allegri: è un buon infermiere, ben accettato dai malati della casa di cura
presso cui lavora ma non quando è ubriaco. Purtroppo la bottiglia è la sua
seconda passione dopo il violino; quindi addio lavoro da infermiere. Il volto,
gli occhi, il bell’aspetto in generale, gli concedono la possibilità di rifarsi
con Kata, una ragazza conosciuta grazie al fratello Csotecz, il quale non
prende troppo bene la cosa; così prima andrà in malora il rapporto col fratello
in questione, poi anche con la ragazza divenuta in seguito sua moglie. Kata si
consolerà delle difficoltà matrimoniali ripescando, nelle vesti di amante, lo
stesso Csotesz. Tarr non fa un grande sforzo con la sua macchina da presa:
filma semplicemente i suoi personaggi, nel caos dei rumori di scena, con i
primi piani su dialoghi impiastricciati (almeno stando all’attendibilità dei
sottotitoli, ovviamente) da vita quotidiana. C’è una scena interessante, quando
Kara va da Andras al club disco, per chiarire alcuni problemi, con la discomusic ad alto volume che impedisce
ai due di conversare e di intendersi.
Anche in quel caso si tratta di una scena
non particolarmente costruita, è una
semplice riproposizione filmata di quello che accade in una sala da ballo,
anche delle nostre parti. Ma almeno ci si può leggere un’allusione al fatto che
non sarà l’influenza della civiltà occidentale (la musica in sottofondo) ad
agevolare i rapporti umani, ormai deterioratesi in modo irreversibile nella
società ungherese. Anzi, sarà un ulteriore ostacolo. Nel complesso, quello di
Tarr è una sorta di non-cinema, che
però ha il pregio di gettare un disperato sguardo sulle macerie dell’intimo
tessuto sociale dell’Ungheria dei primi anni ottanta.
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