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venerdì 7 dicembre 2018

L'OUTSIDER

255_L'OUTSIDER  (Szabadgyalog); Ungheria, 1981;  Regia di Bela Tarr.

L’ungherese Bela Tarr ci conduce, telecamera in spalla, nelle vicende di Andras Szabo, detto Beethoven per la sua passione per il violino. Non è però un violinista formidabile, non è nemmeno un musicista di professione; e nemmeno è un buon marito o un buon fratello, per quello che si vede nel film. Forse è un padre che nel complesso si può giudicare positivamente, perlomeno nelle intenzioni di pagare gli alimenti per il figlioletto; ma il bambino in questione forse non è suo. Anche sul lavoro non c’è da stare troppo allegri: è un buon infermiere, ben accettato dai malati della casa di cura presso cui lavora ma non quando è ubriaco. Purtroppo la bottiglia è la sua seconda passione dopo il violino; quindi addio lavoro da infermiere. Il volto, gli occhi, il bell’aspetto in generale, gli concedono la possibilità di rifarsi con Kata, una ragazza conosciuta grazie al fratello Csotecz, il quale non prende troppo bene la cosa; così prima andrà in malora il rapporto col fratello in questione, poi anche con la ragazza divenuta in seguito sua moglie. Kata si consolerà delle difficoltà matrimoniali ripescando, nelle vesti di amante, lo stesso Csotesz. Tarr non fa un grande sforzo con la sua macchina da presa: filma semplicemente i suoi personaggi, nel caos dei rumori di scena, con i primi piani su dialoghi impiastricciati (almeno stando all’attendibilità dei sottotitoli, ovviamente) da vita quotidiana. C’è una scena interessante, quando Kara va da Andras al club disco, per chiarire alcuni problemi, con la discomusic ad alto volume che impedisce ai due di conversare e di intendersi. 
Anche in quel caso si tratta di una scena non particolarmente costruita, è una semplice riproposizione filmata di quello che accade in una sala da ballo, anche delle nostre parti. Ma almeno ci si può leggere un’allusione al fatto che non sarà l’influenza della civiltà occidentale (la musica in sottofondo) ad agevolare i rapporti umani, ormai deterioratesi in modo irreversibile nella società ungherese. Anzi, sarà un ulteriore ostacolo. Nel complesso, quello di Tarr è una sorta di non-cinema, che però ha il pregio di gettare un disperato sguardo sulle macerie dell’intimo tessuto sociale dell’Ungheria dei primi anni ottanta.


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