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domenica 9 dicembre 2018

LA DONNA DEL TENENTE FRANCESE

257_LA DONNA DEL TENENTE FRANCESE  (The french lieutenant's woman); Regno Unito, 1981;  Regia di Karel Reisz.

L’impressione che si ha, guardando La donna del tenente francese, è un po’ quella di porsi tra due specchi contrapposti, e provare per un attimo la vertigine di vedere la propria immagine ripetersi all’infinito. Perché il film di Karel Reisz è spiazzante sin da subito, da quella scena ibrida tra l’ambientazione di fine Ottocento con quell’autoveicolo che si vede chiaramente sullo sfondo. Poi, naturalmente, si capisce che il lungometraggio racconta della realizzazione di un film, La donna del tenente francese, appunto, e che assistiamo alle due storie, quella nel film e quella fuori dal set, che si intrecciano. Curiosamente le storie sono simili, ma speculari: tutte e due le tracce vertono sulla storia d’amore tra una strepitosa Meryl Streep che interpreta rispettivamente l’attrice Anna e Sarah, la protagonista del film nel film (la donna del tenente francese insomma) e il bravissimo Jeremy Irons, che è l’attore Mike e il Charles Henry Smithson nella finzione in costume. Nella storia ambientata nell’Inghilterra del 1800, Charles, un paleontologo già in accordo di matrimonio con una giovane benestante, incontra Sarah, una donna perdutamente innamorata di un ufficiale d’oltremanica che l’ha abbandonata. La struggente malinconia che affligge la donna è piuttosto l’amor fou tipicamente romantico: un sentimento irrazionale e immotivato, che soddisfa (o cerca di soddisfare) il bisogno fisiologico di amare qualcuno e, in questo modo, è anche una sorta di negazione dell’amore stesso, perché è rivolto principalmente a sé stessi e non all’altro
In quel primo incontro tra Sarah e Charles c’è un incrocio di sguardi che non è che il primo dei tanti punti di intreccio della storia: in quel caso è come se la follia amorosa passasse dalla donna all’uomo, che di lì in poi progressivamente si innamorerà perdutamente di Sarah, nonostante l’atteggiamento scorretto di lei gli sia anche chiarito dal dottor Grogan (Leo McKern). Ma d’altronde l’amore è irrazionale per definizione, quindi è tutto perfettamente plausibile. A proposito di incroci, tra le due tracce del film quello simbolicamente più rappresentativo è il momento in cui i due attori stanno provando e che sfuma nella scena della finzione ottocentesca: un punto dell’intreccio dove le due trame si intersecano in modo lampante. Le storie sentimentali non sono però sovrapponibili, ma, come si accennava, sono speculari, e i punti di incrocio possono essere indicativi dei rispettivi ribaltamenti, che avvengono quasi in simultanea.

Inizialmente, quando Charles incontra Sarah e ancora non la conosce, vediamo Mike e Anna già a letto insieme; nel finale, mentre nella storia in costume la coppia si ricompone per il loro lieto fine, Anna lascia Frank al ricevimento, per il controfinale, quello triste. Se, nella vicenda ambientata nel IXX secolo, il problema è l’amore ossessionato che tocca prima Sarah, nei confronti del tenente francese, e poi Charles, verso la stessa Sarah, nella storia contemporanea è sempre il desiderio a rappresentare un pericolo, ma sembra avere una matrice più terrena. Mark desidera Anna, e non sembra importagli più di sua moglie o di sua figlia, e nemmeno del marito di lei (francese, esattamente come il tenente, altro elemento ridondante tra le due trame). Ma, volendo guardare, che sia definito folle o semplicemente carnale, sempre di desiderio si tratta. Questo continuo gioco di rimandi imprigiona la storia in una gabbia simile a quella in cui si viene costretti dall’ossessione amorosa o del desiderio estremo: la vertigine impedisce a Charles di capire il gioco sporco di Sarah, o confonde le idee a Mark quando, nel finale, sbaglia a chiamare Anna gridando il nome del personaggio di lei nel film. 

Perché, sia l’amour fou che il desiderio sessuale, sono entrambi amore per sé stessi, e l’altro è solo uno strumento per soddisfarlo; in principio Sarah disegna ripetutamente il suo ritratto, allo stesso modo in cui si concentra su se stessa atteggiandosi a dama, o meglio puttana, inconsolabile. E, sebbene in chiave leggermente diversa, anche il desiderio contemporaneo di Mark è altrettanto egoista: ti voglio, dice l’uomo; mi hai appena avuto, risponde Anna, (facendo però riferimento alla scena d’amore avuta nei rispettivi ruoli del film nel film). Nel finale la storia che finisce bene è quella in cui i personaggi (Sarah e Charles) riescono a rompere questo cerchio; in effetti la scena si chiude con i due in barca che escono dal chiuso ad uno specchio d’acqua aperto. 

C’è un lieto fine per i due che si perdonano, che sono cioè in grado di capire l’altro, perdonarlo, e quindi comprenderlo e non possederlo. Sarah non disegna più ossessivamente il suo ritratto, è una vera artista e insegna ai ragazzi, ma non la si disturba se la si interrompe. Esattamente il contrario della donna chiusa nel cappuccio e irraggiungibile sul molo in balia delle onde delle scene iniziali. La nuova apertura la rende sincera, e con la sua confessione convince Charles a perdonarla, in un passaggio intenso e originale. La cura per l’amore folle romantico era dunque l’apertura all’altro, la sincerità, la comprensione; come soluzione potrà andare bene anche per il desiderio più pragmatico dell’uomo moderno? Chissà, intanto noi che guardiamo Anna e Mark (e Sarah e Charles) potremmo anche essere un ulteriore riflesso di quel gioco di specchi di cui si diceva; in fondo anche i due protagonisti della storia contemporanea pensano di essere reali al cospetto della coppia del 1800. E, quindi, potremmo pensarci noi in prima persona a dire se c’è ancora differenza nell’amare l’altro comprendendolo oppure solo possedendolo.       

Meryl Streep






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