Translate

mercoledì 19 dicembre 2018

LASCIAMI ENTRARE

267_LASCIAMI ENTRARE (Lat den ràtte komma in)Svezia, 2008;  Regia di Tomas Alfredson.

Della Svezia, abitualmente, si ha l’idea di un paese dal grande senso civico; ma quello mostrato in Lasciami entrare di Tomas Alfredson non è poi un posto così ospitale. Per cominciare, il ragazzino dodicenne protagonista, Oskar (Kare Hedebrant), a scuola è bullizzato; va beh, un po’ come avviene in ogni parte del mondo, per la verità, ma quello che salta agli occhi nel quadro generale è una diffusa freddezza nei rapporti umani. I genitori del ragazzo sono separati, e anche questo non è certo un fatto singolare, ma contribuisce, insieme all’ambiente scolastico, alla desolazione delle immagini o al silenzio delle nevicate, a creare un’atmosfera di solitudine pregnante. In questo senso, significativo che i due ragazzi protagonisti utilizzino l’alfabeto morse (in genere usato per le grandi distanze) per comunicare, pur abitando vicini. Lasciami entrare è un film horror e quindi è naturale che si ricerchino le condizioni adeguate ad imbastire la storia da raccontare (una vicenda vampiresca, nello specifico); ma anche lo stesso titolo del film, pur essendo appunto uno dei classici elementi delle storie di vampiri, (per cui il non-morto necessita del permesso del padrone di casa per entrare), è letteralmente una richiesta di avvicinamento. Se la solitudine e la desolazione ricreate sullo schermo possono quindi essere funzionali alla vicenda, la violenza che introduce nel tema horror della pellicola la giovanissima Eli (Lina Leandersson), che è appunto la vampira, è messa quasi in contrappunto a quella ricercata da Oskar nella traccia sociale del racconto, e con la quale il ragazzo vorrebbe replicare ai compagni prepotenti.  
C’è quindi una sorta di parallelo, tra la violenza senza alternativa della vampira (“Uccido perché devo vivere” usata anche come frase di lancio del film), e quella completamente gratuita della società svedese, non solo negli specifici atti di bullismo, ma nel diffuso disinteresse reciproco che facilita il proliferare di questo tipo di fenomeni. Se di fronte alla famelica ferocia di Eli possiamo provare un brivido di paura, siamo invece solidali, anzi partecipi, alla reazione di Oskar nei confronti dei bulli: è certamente comprensibile, come reazione umana, ma è anche indice che, per quanto si possa pensare di esserci evoluti, civilizzati, non siamo poi molto diversi da chi alla violenza è costretto a ricorrervi per natura.  







Nessun commento:

Posta un commento