267_LASCIAMI ENTRARE (Lat den ràtte komma in); Svezia, 2008; Regia di Tomas Alfredson.
Della Svezia, abitualmente, si ha l’idea di un paese dal grande senso
civico; ma quello mostrato in Lasciami entrare di Tomas
Alfredson non è poi un posto così ospitale. Per cominciare, il ragazzino
dodicenne protagonista, Oskar (Kare Hedebrant), a scuola è bullizzato;
va beh, un po’ come avviene in ogni parte del mondo, per la verità, ma quello
che salta agli occhi nel quadro generale è una diffusa freddezza nei rapporti
umani. I genitori del ragazzo sono separati, e anche questo non è certo un
fatto singolare, ma contribuisce, insieme all’ambiente scolastico, alla
desolazione delle immagini o al silenzio delle nevicate, a creare un’atmosfera
di solitudine pregnante. In questo senso, significativo che i due ragazzi
protagonisti utilizzino l’alfabeto morse (in genere usato per le grandi
distanze) per comunicare, pur abitando vicini. Lasciami entrare è
un film horror e quindi è naturale che si ricerchino le condizioni
adeguate ad imbastire la storia da raccontare (una vicenda vampiresca, nello
specifico); ma anche lo stesso titolo del film, pur essendo appunto uno dei
classici elementi delle storie di vampiri, (per cui il non-morto necessita
del permesso del padrone di casa per entrare), è letteralmente una richiesta di
avvicinamento. Se la solitudine e la desolazione ricreate sullo schermo possono
quindi essere funzionali alla vicenda, la violenza che introduce nel tema horror della
pellicola la giovanissima Eli (Lina Leandersson), che è appunto la vampira, è
messa quasi in contrappunto a quella ricercata da Oskar nella traccia sociale
del racconto, e con la quale il ragazzo vorrebbe replicare ai compagni
prepotenti.
C’è quindi una sorta di parallelo, tra la violenza senza
alternativa della vampira (“Uccido perché
devo vivere” usata anche come frase di lancio del film), e quella
completamente gratuita della società svedese, non solo negli specifici atti di
bullismo, ma nel diffuso disinteresse reciproco che facilita il proliferare di
questo tipo di fenomeni. Se di fronte alla famelica ferocia di Eli possiamo
provare un brivido di paura, siamo invece solidali, anzi partecipi, alla
reazione di Oskar nei confronti dei bulli:
è certamente comprensibile, come reazione umana, ma è anche indice che, per
quanto si possa pensare di esserci evoluti, civilizzati, non siamo poi molto
diversi da chi alla violenza è costretto a ricorrervi per natura.
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