1597_ULTIME GRIDA DALLA SAVANA . Italia 1975: Regia di Antonio Climati e Mario Morra
Ai tempi di Mondo cane n.2, Mario Morra venne chiamato a curare il montaggio del film e conobbe Antonio Climati, autentico fuoriclasse della macchina da presa. Climati era stato direttore della fotografia per i film di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi e aveva maturato un progetto personale che si discostava un poco dallo stile sensazionalista dei Mondo movie. Qualche anno dopo, si era verso la metà degli anni Settanta, Climati trovò un accordo di massima con Mario Morra per realizzare un documentario naturalistico intitolato La grande caccia; si cominciò quindi a filmare fino ad accumulare una buona dose di materiale. Morra, che tra i due aveva maggiori competenze in sala taglio, coinvolse il produttore della Titanus Goffredo Lombardo, e si mise all’opera per dare forma al film. Questo stando allo stesso Morra, ma diamogli idealmente la parola per sapere come si sviluppò la trasformazione del girato nella sua prima versione filmica: “Avrebbe dovuto essere un film violento e invece successe che, mentre noi giravamo, uscì un film francese che parlava di animali e cose così, ed era divertente, e con Lombardo decidemmo che era un’idea geniale di cambiare politica del film. Non era più un film aggressivo, violento ma divenne divertente. Per cui, alla fine, La grande caccia non fu né carne né pesce. Uscito da pochi giorni andò malissimo, dopo di che decidemmo con Lombardo di rimetterci le mani sopra, facemmo qualche altra cosa, rimontammo, inserendo altre scene, il film e, in questa seconda fase, definitiva, mi aiutò molto Franco Prosperi. Dunque, il film fu integrato con un po’ di violenza, di sesso e uscì con un nuovo titolo: Ultime grida dalla savana. Il titolo lo scelse Limentani, uomo della produzione Titanus e il film andò bene. Non bene, benissimo: fu una cosa enorme perché uscì nello stesso periodo de Il padrino parte II e non so quale altro film e il nostro incassava più degli altri. Fu un grande successo”. [Conversazione con Mario Morra, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 255]. Per dovere di cronaca, a fine stagione il citato film di Francis Ford Coppola ottenne un risultato migliore ma, effettivamente, Ultime grida dalla savana si piazzò tredicesimo nella classifica dei film più visti in Italia che, per uno shockumentary, era comunque un risultato ragguardevole, e contribuì ad un inaspettato rilancio del genere. Sull’apporto al film di Franco Prosperi, è interessante sentire cosa disse il diretto interessato in proposito nella già citata intervista su Jacopetti files: “Goffredo Lombardo mi propose di girare un altro film, che era Ultime grida dalla savana ma mi disse «Mio caro Franco, dato il casino che è sorto dopo Africa addio, io non posso affidarti questo film se tu lo firmi». E, allora, io accettai di girare Ultime grida dalla savana –che fu un grandissimo successo anche dal punto di vista economico– ma di non firmarlo come regista”. Alla precisa domanda «Quindi il film è firmato Climati e Morra ma, in realtà, l’ha girato lei?» Prosperi chiarisce il suo punto di vista: “Climati cominciò a girare un documentario che lui chiamò La grande caccia e lo produsse Lombardo, con la Titanus: quando il film uscì fu subito ritirato: fu un insuccesso completo. Solo allora Climati pregò Lombardo di contattarmi e di convincermi a metter le mani su quel film”. Il successivo interrogativo è ancora più netto: «quindi Prosperi è l’autore della versione del film conosciuto come Ultime grida dalla savana uscito nel 1975 con enorme successo di pubblico?» Prosperi: “Si, si, certo, certo”. [Postfazione. Sopravvivendo in una E. Da Mondo Cane a Belve Feroci. Conversazione con Franco Prosperi. Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagine 317 e 318].
A questo, punto, sempre nella citata intervista, Prosperi spiega come il suo intervento sia stato capillare su ognuna delle scene girate da Climati, integrandole con alcune girate ulteriormente e, soprattutto, «acquistando» le pellicole amatoriali con la scena più famosa del film. Ed è qui che si entra nel vivo della questione che da sempre riguarda Ultime grida dalla savana: la sequenza del turista sbranato dai leoni. In realtà, le scene violente e realistiche nel film sono almeno due: quella dei cacciatori di indios, nel finale, non è infatti certo da meno, non a caso è introdotta anch’essa da titoli in sovraimpressione, a voler enfatizzare la «solennità» del passaggio. Queste didascalie assicurano che le scene siano verissime, tanto quella del malcapitato turista finito in pasto ai leoni, che quella dei brutali cacciatori di indios. Tuttavia un certo grado di scetticismo si è presto diffuso e, in un certo senso, ha alimentato, almeno in parte, la fama di Ultime grida dalla savana. Certo, sul momento, il fatto di poter vedere simili atrocità, ha costituito un forte richiamo per il tipico pubblico dei Mondo movie; in seguito, anche l’ambiguità che circondò la veridicità di questi passaggi ha, a suo modo, contribuito. Curiosamente, Prosperi, nell’intervista poc’anzi riportata, quando viene incalzato sui particolari di queste riprese che avrebbe acquistato, rimane vago, preferendo rispondere sempre in modo evasivo. A titolo d’esempio: “Quindi, dove sta la verità sostanzialmente?” cerca di metterlo all’angolo l’intervistatore. “La verità è questa: spesso noi acquistavamo dei film che ci interessavano, in 8 mm o 9 mm, e aggiungevamo, dopo averle gonfiate a 35 mm, delle scene per completare il film”. [Postfazione. Sopravvivendo in una E. Da Mondo Cane a Belve Feroci. Conversazione con Franco Prosperi. Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 318]. In sostanza il cineasta romano riferisce il ‘modus operandi’ senza entrare nello specifico. Se, volendo ben vedere, la scena dei cacciatori di indios è la più atroce, dal punto di vista della crudeltà manifestata, l’attenzione generale si focalizzò prevalentemente sulla sequenza di tal Pitt Doenitz, il turista finito per essere sbranato dai leoni per colpa della scellerata decisione di andare a filmarli da troppo vicino. Come visto, Prosperi non si pronuncia, nel merito della veridicità, sebbene confessi, a proposito di questa scena –in un commento in questa sede già precedentemente citato– come tutto quanto avesse fatto, inerente ai Mondo movie, fosse «controverso». Nella stesura di Jacopetti files, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, interpellano anche Mario Morra, in proposito, chiedendogli: “L’episodio fondamentale del film, quello che poi servì proprio da lancio, era quello del turista Pitt Doenitz che viene sbranato dai leoni: le acquistaste quelle immagini, oppure…” Anche Morra risponde in mondo un po’ ambiguo, negando, non si capisce bene cosa, poi ammettendo alcune manipolazioni ma poi, in chiusura, negandole sbrigativamente. “No, poi c’è stata una specie di processo. Volevano addirittura metterci nei guai perché avevamo girato una cosa del genere e noi dicemmo che la scena del film, quella scena, era stata costruita con un «animalaro» che aveva questi leoni e la cosa si calmò. Però non era vero”. [Conversazione con Mario Morra, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 256].
Tutto chiaro? Mica tanto. Antonio Bruschini e Antonio Testori, nel loro Nudi e crudeli, scrivono, a proposito: “La sequenza, probabilmente almeno in parte autentica, è stata filmata in super 8 da altri turisti e risulta, proprio per il suo realismo, estremamente impressionante”. [Antonio Bruschini e Antonio Testori. Nudi e Crudeli, i Mondo movies italiani; Bloodbuster, Milano. 2013, pagine 73 e 74].
Il che confermerebbe parzialmente le parole di Morra, ma si tratta dell’unica testimonianza –almeno tra quelle reperibili– in tal senso. La pagina italiana di Wikipedia riferita al film dedica la maggior parte del suo spazio alla sequenza in questione, pur non specificando le fonti da cui sono tratte le informazioni: “Il film viene ricordato soprattutto per la sequenza, di circa due minuti e assente nella versione chiamata La grande caccia, dell’uccisione di un turista olandese, tale Pitt Doenitz (che non è un nome olandese), da parte di una leonessa in un parco naturale in Angola (o in Namibia a seconda delle edizioni) sotto gli occhi di moglie e figli piccoli, che incautamente uscì dall'automobile. La sequenza, muta, girata con una cinepresa super 8 e che suscitò qualche perplessità già allora (a partire dalla vegetazione più mediterranea che della savana africana –si vedono anche dei pini– alla eccessiva lentezza della leonessa stessa nell’aggredire l’uomo, al pochissimo sangue fuoriuscito dalla vittima), in realtà venne totalmente costruita a tavolino. Franco Prosperi, che pur non comparendo come regista del film aiutò i due autori nella messa in scena, nel 2011 rivelò che venne tutto girato in un parco privato vicino Formia in provincia di Latina con dei leoni addomesticati. Nella sequenza si vede chiaramente che la vittima è interpretata da tre persone diverse (un biondo, un moro e addirittura un calvo) e che il cadavere poi portato via era in realtà un pupazzo creato da Carlo Rambaldi (che inserì il lavoro nel suo ‘curriculum vitae’ destinato agli addetti ai lavori). <http://it.wikipedia.org/wiki/Ultime_grida_dalla_savana visitato l’ultima volta il 2 aprile 2024>.
Anche il sito IMDb, tra le curiosità riferite al film, mette in dubbio la veridicità della scena. <http://www.imdb.com/title/tt0155306/trivia/?ref_=tt_trv_trv visitato l’ultima volta il 2 aprile 2024>. Si tratta di informazioni utili ma di cui, come detto, è impossibile verificarne la provenienza.
Chi garantisce, se interpellato, di aver condotto accurate indagini da lunghissima data, è Daniele Aramu, l’autore della pagina Facebook dedicata ai Mondo Movie. Il 5 gennaio 2024 su questa pagina veniva pubblicato un post dedicato a Vivian Bristow, figlia di Carl: “Vivian Bristow è leggenda. Carl, il suo papà, aveva aperto il primo parco zoologico a Masvingo, nello Zimbabwe, nel 1968, inaugurando una tradizione familiare che si mantiene ancora oggi attraverso nipoti e pronipoti con la gestione di svariati parchi analoghi sparsi per il Continente Nero (e oltre). Vivian –detto Viv– già negli anni Settanta si era costruito una solida reputazione in qualità di animal-trainer presso il Ranch Resort <https://www.facebook.com/theranchproteahotel> a Limpopo (Sudafrica), offrendo i propri servigi, oltre che nel normale circuito turistico, nel cinema, nei documentari e nella pubblicità. Tra i film a cui ha collaborato, Ma che siamo tutti matti? (1982), Allan Quatermain e le miniere di re Salomone (1985) e, soprattutto, Ultime grida dalla savana (1975), nel quale veste i panni del mitologico Pitt Doenitz, ossia l’incauto turista cineamatore sbranato dai leoni. Naturalmente i leoni erano i suoi «gattoni», abilmente filmati e montati in maniera da simulare un’aggressione. Che poi erano «gattoni» per modo di dire: nel 1988 un malcapitato indigeno si era introdotto nottetempo nel giaciglio delle belve con l’intenzione di prelevare qualche libbra di carne. I suoi resti furono ritrovati soltanto una settimana dopo, a seguito della denuncia di scomparsa diffusa dai suoi familiari” <https://www.facebook.com/profile.php?id=100063474639539&locale=it_IT post del 5 gennaio 2024>.
Tutta questa attenzione per un brandello di film di pochi minuti potrebbe sembrare, e forse lo è, ingiustificata: ma è uno dei momenti più significativi, a suo modo, sella storia dei Mondo movie. Un qualcosa su cui è difficile farsi un’opinione, mancando basi concrete su cui formularla: in effetti, fu questa ambiguità una delle chiavi del successo degli shockumentary italiani.
Come detto Ultime grida dalla savana ottenne un
ottimo riscontro di pubblico; tanto per cambiare, la critica non condivise tale
entusiasmo. Ma, nella generale disapprovazione, ci fu anche qualche nota fuori
dal coro: il quotidiano La Stampa, ebbe un approccio particolare al film. Il 4
settembre 1975 dedicò quasi metà della pagina degli spettacoli ad una
descrizione minuziosa dei contenuti del film, corredando l’articolo con ben
quattro foto. Da un punto di vista critico si può cogliere qualche interessante
passaggio: “Ma la natura è davvero così meravigliosa? Lo è anche quando
assume i toni di una sinfonia drammatica il cui tema è la violenza o la
crudeltà? La natura ha le sue leggi, spesso più spietate di quanto si possa
immaginare, ma tuttavia indispensabili per il suo equilibrio. L'uomo,
dimenticando questa esigenza, tende a modificarle per accrescere il suo spazio
vitale, per soddisfare il suo istinto aggressivo, per vincere una partita nella
quale non poche volte è inizialmente il più debole. I fatti dimostrano che la
vittoria dell'uomo può essere effimera, in quanto la sconfitta della natura è
come un boomerang che ritorna per colpire chi l'ha lanciato. (…) Vi sono stati
uomini che hanno esaltato la caccia come la prova suprema del coraggio virile.
Tra essi, lo scrittore Ernest Hemingway. Ma, come tutti i poeti, Hemingway
parlava del passato”. [C. M., Dalla savana il grido disperato della natura;
La Stampa, anno 109, n. 203, giovedì 4 settembre 1975, pagina 7].
Tuttavia, attraverso il prezioso contributo di Jacopetti files possiamo notare come, nel complesso, le recensioni non nascondano il proprio disappunto: “ Spettatore avvisato, è il caso di dirlo, mezzo salvato: il film contiene due spezzoni documentaristici che sono fra i più agghiaccianti che ci si amasi stato dato di vedere”. [Gianni Castellano, Il resto del carlino, 5 settembre 1975. Da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 238]. O anche: “Come nei film japottiani l’apparenza è moralistica (salviamo gli animali dai fucile e dall’inquinamento) quanto è falso e mistificatorio il discorso che, di fatto, appare sullo schermo”. [Vice, L’eco di Bergamo, 14 settembre 1975. Da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 239]. E per chiudere in bellezza: “Un nuovo documentario che sotto le apparenze di un discorso etnografico nasconde il morboso compiacimento per la distorsione raccapricciante e per gli effetti più appariscenti della violenza”. [A.V., «Il Secolo XIX», 6 settembre 1975. Da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 238].
Da un certo punto di vista, Ultime grida dalla savana è un film emblematico per i Mondo movie: è la dimostrazione che, anche qualora gli autori volessero fare qualcosa di diverso –La grande caccia– in realtà il pubblico esigeva ben altro: violenza, dura e realistica violenza. Era una necessità autentica degli spettatori? O era stata indotta da Jacopetti, Prosperi e compagnia? Sembra un po’ il classico quesito «è nato prima l’uovo o la gallina» e, in effetti, è difficile tracciare una linea precisa su dove finiscano i desideri spontanei e dove inizino quelli condizionati. In economia, raccontano che domanda e offerta siano in qualche modo collegate; ma questo è tanto più vero quanto siamo in un sistema in cui il mercato si basi soprattutto su beni di prima necessità. Nella società del consumo, del benessere e del superfluo, diventa più difficile capire cosa determini la richiesta di un prodotto, se una vera necessità da parte dei consumatori o un bisogno indotto artificialmente dalla pubblicità. Per avere conferma di questo dubbio basta guardarsi attorno: quante solo le cose che possiamo vedere a portata di sguardo e di cui potremo fare tranquillamente a meno? Lo stesso discorso, forse, di può ipotizzare per il cinema: i Mondo movie, con le loro scene violente, vere o false che fossero, rispondevano ad una esigenza reale degli spettatori? O semplicemente il pubblico ne era divenuto in qualche modo dipendente?
Quello che era certo, in quel 1975 in cui uscì Ultime grida dalla savana, era che ormai il pubblico premiava un film con scene esplicite di violenza, mentre ignorava un documentario più naturalistico come La grande caccia.
Questo aspetto, che –per via della particolare storia produttiva del film di Climati, Morra e Prosperi– emerge in modo chiaro, mette in secondo piano un’altra considerazione dichiarata in modo esplicito da Ultime grida dalla savana: l’attacco frontale a Walt Disney. Quasi a voler giustificare la violenza esplicita dei Mondo movie, gli autori di Ultime grida dalla savana si difendono attaccando i documentari edulcorati prodotti dalla Disney, dove il comportamento di alcuni animali veniva umanizzato, quasi fossimo in uno dei loro mitici cartoon, ma, per rendere plausibile la storiella educativa da trarre, si trascuravano alcuni effetti collaterali scomodi. Nel commento di Alberto Moravia letto da Giuseppe Rinaldi, si sottolinea, in effetti, come guardando gli orsi pescare i salmoni, nei classici documentari dello «studio» di Topolino, sia tipico soffermarsi sulle difficoltà dei plantigradi alle prese con gli sguscianti pesci, dimenticando che anche questi ultimi sono esseri viventi. Una polemica un po’ sterile, per la verità, perché i film Disney, al tempo, erano prevalentemente indirizzati ad un pubblico molto giovane che, in ogni caso, avrebbe avuto il tempo per farsi un’idea più attendibile sulle leggi della Natura. Non è accusando di scarsa credibilità la Disney che i Mondo movie possono in qualche modo riscattare la loro fama: semmai si può osservare come, almeno tecnicamente, i cineasti all’opera nel più vituperato genere del cinema italiano –in questo caso Climati alle riprese, Morra al montaggio, Prosperi alla revisione del tutto– siano preparati. Sulla pagina web della rivista Nocturno dedicata alla scomparsa di Antonio Climati, possiamo trovare l’analisi dettagliata di due sequenze cruciali in Ultime grida dalla savana, che dimostrano l’abilità di Climati e Morra. Il primo di questi passaggi è una danza di indigeni africani nudi in cui vengono mostrati senza alcuna reticenza alcuni nudi integrali maschili. Anzi, secondo l’articolo di Nocturno, c’è un’attenzione morbosa da parte della macchina da presa per i membri dei danzatori. In effetti sono magistrali tanto la scelta delle inquadrature, che il montaggio: geniale, poi –come sottolinea l’articolo in questione– la scelta di trovare una sorta di sospensione, tra i movimenti sincopati dovuti ai salti della danza, e l’uso del rallentatore, che ne dilata il ritmo narrativo. L’altra sequenza è, ‘ça va sans dire’, quella del turista sbranato dai leoni. Qui, l’articolo di Nocturno, si sofferma molto di più sulla costruzione del passaggio narrativo, sottolineando sia la perizia tecnica del montaggio, sia come sia volutamente intuibile che si tratti di una ricostruzione. Se si possono avanzare anche dubbi, in questo senso, è però difficile dare torto all’articolo quando evidenzia l’ironia con cui gli autori chiusero la sequenza: “ecco il fermo immagine della leonessa che tiene la cinepresa in bocca – una sottolineatura che ha il valore di una strizzatina d’occhio allo spettatore”. <http://www.nocturno.it/antonio-climati-scompare-a-84-anni/ visitato l’ultima volta il 5 aprile 2024>.
Nonostante le difficoltà a trovar la forma giusta, Ultime grida dalla savana riuscì –si potrebbe, o forse dovrebbe, azzardare anche un «meritatamente»– a rilanciare i Mondo movie quando ormai il fenomeno sembrava andare a scemare. Soprattutto, garantì a Antonio Climati e Mario Morra di girare immediatamente un nuovo documentario che, stando agli strilli sui quotidiani, sarebbe stato ancora più «impressionante».
Il successo che
rilanciò i Mondo movie fu, in quel 1975, Ultime grida dalla savana:
al di là dei meriti specifici del film, fu notevole anche la colonna sonora che
lo sostenne. Carlo Savina compose musiche di grande respiro orchestrale, tra le
quali vale la pena ricordare Questa grande terra, e Caccia
al cervo, pescando, nella composizione delle tante tracce, tra svariate
ispirazioni nella storia della musica. Memorabili anche le canzoni, pubblicate
anche come 45 giri: dal rock’n’roll di Leave the rest of me
[C. Savina e G. Kopland] e For You and Me [C. Savina e G.
Kopland], cantate da Gilbert Kopland, alla melodica My Love
[C. Savina e G. Kopland] interpretata da Ann Collin.
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
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