250_MARNIE Stati Uniti, 1964; Regia di Alfred Hitchcock
Marnie è davvero
un film strano: è abbastanza lungo, oltre le due ore, e, pur non essendo
certamente pesante, dopo un po’ un certo spaesamento si avverte, durante lo
scorrere della pellicola. Dove ci starà mai portando, questa volta, il grande
Hitch? D’accordo, Tippi Hedren, che interpreta Marnie, la protagonista del
film, è incantevole, ma lei stessa appare ingabbiata, presa in trappola, un po’
come i suoi capelli impacchettati in tante diverse e studiatissime pettinature.
Il discorso sull’amore folle, un po’ come ne La donna che visse due volte è interessante, e l’istinto predatorio
del maschio di turno, un aitante Sean Connery (che interpreta Mark Rutland),
alla lunga rischia di divenire un po’ stucchevole. Non aiutano le interpretazioni
psicanalitiche un tanto al chilo, anche perché sono disinnescate dalla stessa
Marnie che lo dice apertamente in un dialogo; trovata davvero troppo ingenua
per essere d’aiuto. Altre pecche si possono cogliere in qualche passaggio
tecnico, come la caduta da cavallo: d’accordo che non si tratta di un film
d’azione, ma il geniale regista inglese ci aveva abituato a ben altre ricostruzioni. Ma questi alla fin fine
sono dettagli e sono altri gli aspetti meritevoli della pellicola, che rimane
pur sempre notevole. Innanzitutto già dai titoli di testa, geniali: si
sfogliano all’indietro, come a dire che lo sviluppo del film deve essere a
ritroso, ovvero un tornare al passato. E il
primo nome che compare è quello della Hedren, e non di Connery: oltre a dover essere ritenuta la star principale della pellicola, il fatto sembra indicare che è quindi su di
lei che bisogna indagare; ed essendo un film di Hitchcock poteva essere anche
scontato, d’accordo.
La lunghissima fase iniziale del film ha spunti notevoli,
ad esempio quando Marnie compie il furto dalla cassaforte, con l’inquadratura divisa
a metà, da una parte la ladra e dall’altra l’anziana donna delle pulizie. Due
donne che stanno ripulendo l’ufficio
si dividono la scena: quando la giovane si accorge di non essere sola, si leva
le scarpe col tacco, per evitare di fare rumore, e visto che ha le mani
indaffarate se le infila nelle tasche del cappotto. Una scarpa però cade,
facendo rumore: la donna delle pulizie non fa una piega: evidentemente è dura
di orecchio; Marnie si defila quindi alla chetichella, un istante prima che
giunga il guardiano notturno che, rivolgendosi ad alta voce alla donna anziana,
conferma che quest’ultima ha problemi di udito.
Una sequenza magistrale, perché
la suspense è continuamente rafforzata: già implicita nel momento in cui
vediamo la donna nell’atto di rubare, ha un picco quando Marnie si accorge di
non essere sola, poi un altro col rumore della scarpa che cade e un ultimo
quando compare sulla scena la guardia. Inoltre la sequenza mette sul tavolo
tutte le carte principali del film: la protagonista è una ladra ed è al
contempo un feticcio, elemento evidenziato dall’importanza sulla scena delle
scarpe col tacco e dai piedi nudi velati dalle calze di nylon della Hedren,
aspetti che sono elementi tipici del feticismo
sessuale.
E il tema portante della storia è proprio l’amore feticista del ricco
Rutland per una ladra, probabilmente proprio per questa inclinazione
cleptomane, e forse anche per la posizione di vantaggio in cui si viene a
trovare ad un certo punto lui, quando la può, in un certo senso, ricattare. Il
fatto che la donna sia frigida, come emerge nel proseguo, è forse da intendere
come un’altra complicazione connessa al desiderio: si desidera infatti quel che
non si può avere. In questa fase centrale del racconto, Hitchcock mette molta
carne al fuoco, dal rapporto animalesco tra i sessi, in perenne caccia, agli
aspetti psicoanalitici, ma senza un particolare ordine, e l’aspetto generale si
salva solo per via dell’atmosfera onirica che pervade la storia. Rimane
portante il tema tipico hitchockiano
della donna bionda e glaciale, perfetto ideale di desiderio e quindi
inarrivabile; ma è un aspetto che, per poterlo cogliere appieno, va visto
nell’ottica generale della filmografia del regista inglese, in quanto in Marnie manca forse una struttura
armonica e coerente.
Questo amalgama narrativo svela però il suo vero motivo di
essere nel finale: tutto l’epilogo, che ha il suo culmine nel colpo di scena
con il flashback rivissuto da Marnie, è da antologia, e legittima, in un certo senso, la fase preparatoria
precedente. La forza evocativa di questo passaggio, ci fa chiudere non uno ma
tutti e due gli occhi sui fondali del porto poco credibili o altre apparenti debolezze del genere. Marnie è quindi un film probabilmente
incoerente nel suo insieme, ma alcuni spunti sublimi lo rendono godibilissimo e
nient’affatto banale.
Degnamente un
Hitchcock.Diane Baker
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