368_LO SPERONE NUDO (The Naked Spur). Stati Uniti, 1953. Regia di Anthony Mann.
Nel 1947 Anthony Mann si gioca forse l’ultima carta e ricomincia la sua carriera di regista
(arrivando al passaggio decisivo con un film emblematicamente intitolato Desperate, quasi a certificare il
proprio stato d’animo dopo il difficoltoso periodo precedente); ma in capo ad
un paio d’anni, l’autore ribalta completamente la situazione e sancisce, con
un’abbondante manciata di film, un modo assai personale di intendere il genere
poliziesco. Morirai a mezzanotte, T-men contro i fuorilegge, Schiavo della furia, Mercanti di uomini e altri ancora,
contribuiscono in maniera determinante a sviluppare ed arricchire il genere noir. Ma tutto questo sembra c’entrare
poco con Lo sperone nudo, film
western del 1953. Western e noir sono in effetti due generi che, per molti
versi, sembrano opposti, a partire dall’ambientazione: gli spazi aperti della
natura selvaggia in contrapposizione con la frenetica e malata vita della
metropoli. Lo sperone nudo non è il
primo film western di Mann, anzi, arriva dopo ben quattro di questi film di cui
due già con lo stesso protagonista di The
naked spur, James Stewart. Nella filmografia del regista possiamo quindi
leggere una sorta di cambio,
tralasciando il primo incerto periodo: Mann si dedica intensamente al
poliziesco, e poi si concentra sul western, al netto di qualche leggera
divagazione. E vista la diversità che contraddistingue i due generi, la cosa
sembra un po’ insolita, sebbene perfettamente plausibile, sia chiaro. Ma questo
discorso può essere interessante da farsi proprio ora, proprio a fronte di Lo sperone nudo, perché questo film
sembra quanto di più lontano ci possa essere dal noir o dal poliziesco. Intanto
va detto che anche nel suo approccio al western, come già accaduto con il noir, Mann elabora gli stilemi del genere in modo
inusuale e personale: sono in pochi, forse nessuno, gli autori in grado di
piegare i codici cinematografici alla propria poetica pur rimanendo fedelmente
classici, nella misura in cui riesce a farlo l’autore nato a San Diego. E
proprio la veste classica dei suoi lavori, non ne evidenzia subito l’unicità:
si vede un western di Mann e si pensa subito ad accostarlo ai capolavori del
genere, ma il cinema di Mann è certamente classico, ma è soprattutto unico.
E forse è proprio la sua unicità la cifra
più importante della sua opera. Dunque, la cosa che balza all’occhio ne Lo sperone nudo è l’ambientazione
fortemente selvaggia, senza ombra di civiltà, in cui i pochi personaggi della
storia si muovono. Oltre a James Stewart, che è Howard Kemp, ex agricoltore e
ora cacciatore di taglie, abbiamo il vecchio cercatore d’oro Jessie Tate
(Millard Mitchell), l’ufficiale disertore Roy Anderson (Ralph Meeker), il
bandito ricercato Ben Vandergroat (Robert Ryan) a cui si accompagna Lina Patch (Janet
Leight): un manipolo che è in un certo senso lo specchio della società
americana in divenire.
Questi cinque si muovono in un contesto naturale meraviglioso ma fortemente ostile, arduo, senza punti di riferimento, in cui la presenza degli indiani è più che altro un’insidia, la peggiore, tra tante. L’impressione che i nostri stiano girovagando senza meta è data dall’assenza di riferimenti: per chi è estraneo (l’uomo bianco, l’uomo civilizzato) la natura appare sempre uguale a se stessa. Mann rincara la dose, rimarcando questo senso di disorientamento con la struttura circolare del racconto, sancita dal finale sullo sperone roccioso (noto come naked spur, appunto) con il bandito e la compagna appostati in agguato esattamente come nella scena iniziale della pellicola.
Tutta la strada percorsa sembra quindi fatta invano, perché il finale di partita si gioca esattamente nella situazione di partenza. Abbiamo quindi un gruppo di persone che girano in un ambiente ostile, (quasi) senza speranza di riuscire a trovare una strada per uscire da questo loro vagare. C’è
un’ulteriore caratteristica molto distintiva dell’ambientazione di questo The naked spur, che lo rende differente
dagli altri western; il sudovest che abitualmente fa da scenario ai film di
questo genere, è abbastanza silenzioso. Lo
sperone nudo è, al contrario, un’opera in cui la natura è molto rumorosa: i
fiumi, la pioggia, invadono lo spazio audio del lungometraggio, servendo anche da
colonna sonora (si pensi alla scena nella caverna, coi recipienti riempiti e suonati dalla pioggia) per i momenti
drammatici (molte delle scene più intense e decisive sono sottolineate ed
enfatizzate dai rumori della natura).
Un ulteriore aspetto distintivo de Lo sperone nudo rispetto ad un classico
western è l’assenza di personaggi positivi: è evidente che il ruolo dell’eroe è appannaggio di Owie Kemp, d’altra
parte è James Stewart, ma si tratta di un cacciatore di taglie, un ruolo
piuttosto sgradevole, ed è anche un individuo abbastanza scorretto, ad esempio
quando evita di informare i compagni sui suoi reali scopi per non dividere con
loro la taglia. Addirittura peggiori gli altri elementi del gruppo: un
disertore infido (si veda la scena in cui tende l’agguato agli indiani), un
cercatore d’oro pronto a tutto per coronare il suo sogno, oltre al bandito che
non solo è un fuorilegge, ma è addirittura luciferino (come viene anche detto
esplicitamente). Ma più che la natura negativa dei componenti del gruppo, sono
la mancanza di armonia e di reciproco aiuto, la totale sfiducia nell’altro, il
tentativo costante di giocare sottobanco, a rappresentare ulteriori segni di
distanza rispetto ai soliti film sulla conquista del west, dove le difficoltà
tendevano a creare una coesione, quando non sentita,
almeno di comodo. Ricapitolando: un manipolo di uomini senza scrupoli
(tralasciamo un attimo la donna della vicenda) vaga senza costrutto, in un
ambiente ostile; tra loro, ben poca collaborazione.
A dirla così, sembra quasi
una storia di gangster più che un western. Ma, in realtà, si tratta di una
storia che unisce i due generi, una sorta di ponte che proietta l’eroe
tormentato dei film noir nella figura eroica del western classico. Perché
quello che scopriamo essere Kemp, è esattamente il personaggio tipico dei film
noir, alla fine del suo percorso: un uomo dai valori positivi che incontra la
donna sbagliata, che lo rovina e lo trasforma in un individuo cinico e
disilluso. E questo è il personaggio all’inizio del film ma, alla fine di Lo sperone nudo, ritroviamo lo stesso
individuo che subisce una nuova svolta, ancora grazie ad una donna (ecco il
ruolo di Lina, la ragazza della storia), che stavolta imprime un influenza
positiva sul nostro eroe. Qui c’è la grandezza della poetica di Mann, nella risurrezione dell’eroe americano, nella
fatica, nel dolore, di questa trasformazione.
Nessuno come Mann riesce a
cogliere il momento del cambiamento di passo della figura eroica, simbolica,
del sogno americano, di come si passi
dai tormenti e dai dubbi degli anni 40, ancora legati alla tragedia della
Seconda Guerra Mondiale, alla figura vincente e totalmente positiva del
decennio successivo che per eccellenza domina il genere western in quegli anni.
James Stewart è perfetto per incarnare questo eroe positivo nell’indole ma
tormentato, deluso, amareggiato, che ha bisogno di un supporto, e qui è vitale
la presenza di una donna al suo fianco, per riuscire nella sua redenzione.
Perché la figura femminile negli anni 50 non può più credibilmente essere
lasciata sullo sfondo, non dopo la dimostrazione di forza e di efficienza messa
in campo nelle fabbriche americane durante la guerra, quando tutti gli uomini
erano impiegati direttamente sul fronte bellico.
E’ Lina il vero perno su cui
svolta la storia, pur con le sue difficoltà, pur con la sua rinuncia all’individualismo:
prima infatti supporta Ben che è un bandito, poi spinge Owie ad una conversione morale, ma mai mette se
stessa al centro dell’attenzione. Ecco, nello struggente dialogo finale c’è il
senso del film: Owie confessa che ha sempre inseguito Ben per il denaro della
taglia, e intende ancora intascarla. Lina cerca di farlo desistere da una
pratica tanto odiosa e moralmente degradante come uccidere per denaro, ancor
più con l’ipocrita schermo legale
dietro al quale si mascherano i cacciatori
di taglie. Ma l’uomo non demorde dai suoi propositi, e allora lei, alla
fine, accetta comunque di sposarlo in ogni caso, mette la sua fiducia nell’uomo
prima che questi se la meriti: un raro caso in cui vediamo, anche al cinema,
cosa realmente significa fidarsi di qualcuno. Di fronte al peso di una simile
investitura, Howard Kemp non può far altro che smontare il cadavere di Ben dal
cavallo e seppellirlo, insieme all’arrivismo individualista di cui il sogno americano è intriso.
Janet Leigh
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