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sabato 22 giugno 2019

LO SPERONE NUDO

368_LO SPERONE NUDO (The Naked Spur)Stati Uniti, 1953Regia di Anthony Mann.

Nel 1947 Anthony Mann si gioca forse l’ultima carta e ricomincia la sua carriera di regista (arrivando al passaggio decisivo con un film emblematicamente intitolato Desperate, quasi a certificare il proprio stato d’animo dopo il difficoltoso periodo precedente); ma in capo ad un paio d’anni, l’autore ribalta completamente la situazione e sancisce, con un’abbondante manciata di film, un modo assai personale di intendere il genere poliziesco. Morirai a mezzanotte, T-men contro i fuorilegge, Schiavo della furia, Mercanti di uomini e altri ancora, contribuiscono in maniera determinante a sviluppare ed arricchire il genere noir. Ma tutto questo sembra c’entrare poco con Lo sperone nudo, film western del 1953. Western e noir sono in effetti due generi che, per molti versi, sembrano opposti, a partire dall’ambientazione: gli spazi aperti della natura selvaggia in contrapposizione con la frenetica e malata vita della metropoli. Lo sperone nudo non è il primo film western di Mann, anzi, arriva dopo ben quattro di questi film di cui due già con lo stesso protagonista di The naked spur, James Stewart. Nella filmografia del regista possiamo quindi leggere una sorta di cambio, tralasciando il primo incerto periodo: Mann si dedica intensamente al poliziesco, e poi si concentra sul western, al netto di qualche leggera divagazione. E vista la diversità che contraddistingue i due generi, la cosa sembra un po’ insolita, sebbene perfettamente plausibile, sia chiaro. Ma questo discorso può essere interessante da farsi proprio ora, proprio a fronte di Lo sperone nudo, perché questo film sembra quanto di più lontano ci possa essere dal noir o dal poliziesco. Intanto va detto che anche nel suo approccio al western, come già accaduto con il noir, Mann elabora gli stilemi del genere in modo inusuale e personale: sono in pochi, forse nessuno, gli autori in grado di piegare i codici cinematografici alla propria poetica pur rimanendo fedelmente classici, nella misura in cui riesce a farlo l’autore nato a San Diego. E proprio la veste classica dei suoi lavori, non ne evidenzia subito l’unicità: si vede un western di Mann e si pensa subito ad accostarlo ai capolavori del genere, ma il cinema di Mann è certamente classico, ma è soprattutto unico


E forse è proprio la sua unicità la cifra più importante della sua opera. Dunque, la cosa che balza all’occhio ne Lo sperone nudo è l’ambientazione fortemente selvaggia, senza ombra di civiltà, in cui i pochi personaggi della storia si muovono. Oltre a James Stewart, che è Howard Kemp, ex agricoltore e ora cacciatore di taglie, abbiamo il vecchio cercatore d’oro Jessie Tate (Millard Mitchell), l’ufficiale disertore Roy Anderson (Ralph Meeker), il bandito ricercato Ben Vandergroat (Robert Ryan) a cui si accompagna Lina Patch (Janet Leight): un manipolo che è in un certo senso lo specchio della società americana in divenire. 

Questi cinque si muovono in un contesto naturale meraviglioso ma fortemente ostile, arduo, senza punti di riferimento, in cui la presenza degli indiani è più che altro un’insidia, la peggiore, tra tante. L’impressione che i nostri stiano girovagando senza meta è data dall’assenza di riferimenti: per chi è estraneo (l’uomo bianco, l’uomo civilizzato) la natura appare sempre uguale a se stessa. Mann rincara la dose, rimarcando questo senso di disorientamento con la struttura circolare del racconto, sancita dal finale sullo sperone roccioso (noto come naked spur, appunto) con il bandito e la compagna appostati in agguato esattamente come nella scena iniziale della pellicola. 
Tutta la strada percorsa sembra quindi fatta invano, perché il finale di partita si gioca esattamente nella situazione di partenza. Abbiamo quindi un gruppo di persone che girano in un ambiente ostile, (quasi) senza speranza di riuscire a trovare una strada per uscire da questo loro vagare. C’è un’ulteriore caratteristica molto distintiva dell’ambientazione di questo The naked spur, che lo rende differente dagli altri western; il sudovest che abitualmente fa da scenario ai film di questo genere, è abbastanza silenzioso. Lo sperone nudo è, al contrario, un’opera in cui la natura è molto rumorosa: i fiumi, la pioggia, invadono lo spazio audio del lungometraggio, servendo anche da colonna sonora (si pensi alla scena nella caverna, coi recipienti riempiti e suonati dalla pioggia) per i momenti drammatici (molte delle scene più intense e decisive sono sottolineate ed enfatizzate dai rumori della natura). 

Un ulteriore aspetto distintivo de Lo sperone nudo rispetto ad un classico western è l’assenza di personaggi positivi: è evidente che il ruolo dell’eroe è appannaggio di Owie Kemp, d’altra parte è James Stewart, ma si tratta di un cacciatore di taglie, un ruolo piuttosto sgradevole, ed è anche un individuo abbastanza scorretto, ad esempio quando evita di informare i compagni sui suoi reali scopi per non dividere con loro la taglia. Addirittura peggiori gli altri elementi del gruppo: un disertore infido (si veda la scena in cui tende l’agguato agli indiani), un cercatore d’oro pronto a tutto per coronare il suo sogno, oltre al bandito che non solo è un fuorilegge, ma è addirittura luciferino (come viene anche detto esplicitamente). Ma più che la natura negativa dei componenti del gruppo, sono la mancanza di armonia e di reciproco aiuto, la totale sfiducia nell’altro, il tentativo costante di giocare sottobanco, a rappresentare ulteriori segni di distanza rispetto ai soliti film sulla conquista del west, dove le difficoltà tendevano a creare una coesione, quando non sentita, almeno di comodo. Ricapitolando: un manipolo di uomini senza scrupoli (tralasciamo un attimo la donna della vicenda) vaga senza costrutto, in un ambiente ostile; tra loro, ben poca collaborazione. 


A dirla così, sembra quasi una storia di gangster più che un western. Ma, in realtà, si tratta di una storia che unisce i due generi, una sorta di ponte che proietta l’eroe tormentato dei film noir nella figura eroica del western classico. Perché quello che scopriamo essere Kemp, è esattamente il personaggio tipico dei film noir, alla fine del suo percorso: un uomo dai valori positivi che incontra la donna sbagliata, che lo rovina e lo trasforma in un individuo cinico e disilluso. E questo è il personaggio all’inizio del film ma, alla fine di Lo sperone nudo, ritroviamo lo stesso individuo che subisce una nuova svolta, ancora grazie ad una donna (ecco il ruolo di Lina, la ragazza della storia), che stavolta imprime un influenza positiva sul nostro eroe. Qui c’è la grandezza della poetica di Mann, nella risurrezione dell’eroe americano, nella fatica, nel dolore, di questa trasformazione. 

Nessuno come Mann riesce a cogliere il momento del cambiamento di passo della figura eroica, simbolica, del sogno americano, di come si passi dai tormenti e dai dubbi degli anni 40, ancora legati alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, alla figura vincente e totalmente positiva del decennio successivo che per eccellenza domina il genere western in quegli anni. James Stewart è perfetto per incarnare questo eroe positivo nell’indole ma tormentato, deluso, amareggiato, che ha bisogno di un supporto, e qui è vitale la presenza di una donna al suo fianco, per riuscire nella sua redenzione. Perché la figura femminile negli anni 50 non può più credibilmente essere lasciata sullo sfondo, non dopo la dimostrazione di forza e di efficienza messa in campo nelle fabbriche americane durante la guerra, quando tutti gli uomini erano impiegati direttamente sul fronte bellico. 

E’ Lina il vero perno su cui svolta la storia, pur con le sue difficoltà, pur con la sua rinuncia all’individualismo: prima infatti supporta Ben che è un bandito, poi spinge Owie ad una conversione morale, ma mai mette se stessa al centro dell’attenzione. Ecco, nello struggente dialogo finale c’è il senso del film: Owie confessa che ha sempre inseguito Ben per il denaro della taglia, e intende ancora intascarla. Lina cerca di farlo desistere da una pratica tanto odiosa e moralmente degradante come uccidere per denaro, ancor più con l’ipocrita schermo legale dietro al quale si mascherano i cacciatori di taglie. Ma l’uomo non demorde dai suoi propositi, e allora lei, alla fine, accetta comunque di sposarlo in ogni caso, mette la sua fiducia nell’uomo prima che questi se la meriti: un raro caso in cui vediamo, anche al cinema, cosa realmente significa fidarsi di qualcuno. Di fronte al peso di una simile investitura, Howard Kemp non può far altro che smontare il cadavere di Ben dal cavallo e seppellirlo, insieme all’arrivismo individualista di cui il sogno americano è intriso.  





Janet Leigh






  

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