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martedì 22 giugno 2021

LA BANDA DEGLI ONESTI

837_LA BANDA DEGLI ONESTI Italia; 1956; Regia di Camilla Mastrocinque.

Anche stavolta, Camillo Mastrocinque si conferma valido regista, in grado come pochi di gestire al meglio una presenza in un certo senso ingombrante come quella di Totò. In questo La banda degli onesti il comico napoletano è la figura centrale, ovviamente, ben coadiuvato dalla spalla Peppino de Filippo con cui si muove agilmente su storia costruita dal duo Age & Scarpelli (soggetto e sceneggiatura) orchestrata con maestria. Ulteriore merito della struttura alla base del film, anche gli altri personaggi che compaiono nella storia sono funzionali ad un meccanismo che ruota tutt'intorno alla banda degli onesti del titolo, ovvero il trio di protagonisti (oltre a Totò e Peppino c’è anche Giacomo Furia). Il pretesto narrativo è interessante: Antonio Bonocore fa il portiere di un complesso condominiale e un inquilino, in fin di vita, pentitosi per il furto, gli consegna gli stampi autentici per stampare banconote da 10.000 lire, con la richiesta della promessa di distruggerli. Antonio non ne vuole sapere, in quanto onesto; ma l’obbligo di una promessa fatta sul letto di morte, lo 'costringe' moralmente a prendere la valigia ed occuparsene. Da qui, la tentazione lo farà ladro, e finirà per coinvolgere Giuseppe Lo Turco (Peppino), tipografo, e Cardone (Giacomo Furia) pittore, allo scopo di falsificare un po’ di banconote. Dopo mille peripezie il tutto si risolverà per il meglio, naturalmente, dal momento che si tratta comunque di una semplice commedia per sorridere un po’. L’importanza del film, oltre che basata e sorretta dalla verve di Totò e Peppino, è però più profonda: la storia raccontata ne La banda degli onesti smentisce il luogo comune che l’Italia sia un paese di mariuoli, ma ci pone altri interrogativi. Innanzitutto Antonio rimane invischiato nella faccenda dal momento che si sente in obbligo verso il vicino a cui ha fatto una promessa in punto di morte; perché di suo se ne sarebbe stato alla larga. C’è quindi un'onestà di fondo, anche se è vero che in ogni caso poi il nostro cede alla tentazione. L’aspetto veramente interessante della storia è però rivelato nel finale, quando si scopre che tutti e tre i complici hanno preferito non spendere il denaro falso, ma piuttosto indebitarsi per comprare chi le scarpe e chi il cappotto nuovi. Questo è un passaggio curioso perché conferma quell’onestà di fondo di cui si diceva sopra, dell’italiano medio, che però, e qui sta la vera sorpresa, quasi se ne vergogna e, per nasconderla, per evitare di essere additato come onesto e quindi poco furbo (in questo caso agli occhi dei complici), ricorre addirittura ad un prestito. Quindi si ricorre all’indebitamento non tanto per la brama per l’oggetto nuovo da sfoggiare ma per non passare per fesso, del timoroso che non spende i soldi fasulli e quindi disonesti.
Insomma, la retorica dell'italietta, quella autartica del dopoguerra, alla lunga viene fuori lo stesso e se non ci vuole ladri ci dipinge come codardi.





Giulia Rubini


1 commento:

  1. mi sa che il regista alla fine ha voluto essere realistico e non ce l'ha fatta a fornire un'interpretazione troppo candida di questi personaggi... avrei preferito anch'io che non si scivolasse nel solito culto della furbizia, ma vabbè... con Totò ci possiamo accontentare :)

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