1364_MOONZUND (Моонзунд). Unione Sovietica, 1987; Regia di Aleksandr Muratov.
Dei suoi 142 minuti la battaglia di Moonsund, a
cui fa riferimento il titolo del film Moonzund, non occupa che la parte
finale. Nel 1917, durante la Prima Guerra Mondiale, i tedeschi sferrano un
deciso attacco nelle isole del baltico estoni riuscendo nell’impresa di
conquistare l’arcipelago di Moonsund. A difesa della postazione è chiamato il
capitano Arten’ev (Oleg Menshikov), visto nel corso del lungometraggio al
comando della Novik, una nave da guerra russa, sconfiggere i tedeschi in mare
aperto. Più in difficoltà, paradossalmente, l’ufficiale lo era stato coi propri
sottoposti. Ad indebolire infatti le forze russe più che il nemico erano stati
i moti rivoluzionari interni che, in un ambito disciplinato in modo ferreo come
quello della marina militare, risultavano ancora più eclatanti del solito. Il
film di Aleksandr Muratov la prende così alla larga, probabilmente per mostrare
come la crescente insubordinazione dei marinai bolscevichi avesse minato
l’efficienza della marina russa. Non a caso, a contendere maggiormente la scena
al protagonista, il capitano Arten’ev non è Anna/Klara (Lydmila Nilskaya) ma il
marinaio bolscevico Semenchuk (Vladimir Gostyukhin). Anna, o Klara (la donna ha
due nomi essendo una spia e avendo un ruolo duplice) imbastisce con Arten’ev
una storia d’amore che non si incendia mai, visto che i rispettivi ruoli
impediscono qualsiasi sviluppo in tal senso. La presenza della donna è quindi
un elemento di contorno, quasi a dare un po’ di consistenza ad una trama altrimenti
troppo povera; ma non è uno stratagemma funzionale, anche per la scarsa
avvenenza sentimentale dei due personaggi. Ben altra pasta è quella di
Semenchuk che, pur se convinto delle sue idee rivoluzionarie, manterrà
coerentemente fedeltà al suo ruolo militare e al suo capitano.
Arten’ev sembra
assai meno convincente, dal punto di vista della propria integrità morale; più
che altro gli si riconosce un’asettica adesione alla disciplina militare. In
una situazione particolarmente controversa, i russi sono in guerra contro i
tedeschi ma sono appunto corrosi internamente dalle idee rivoluzionarie, si
ostina ad ignorare ogni aspetto politico della vicenda. Il finale, col suo
tentativo di restare insieme agli uomini del suo equipaggio è sorprendente: i
tedeschi, che li hanno appena catturati, non hanno infatti alcuna buona
intenzione verso i marinai russi bolscevichi. Stanno per fucilarli senza troppi
riguardi. Ben diverso l’approccio nei confronti di un valoroso ufficiale benché
nemico; l’atteggiamento di Arten’ev, solidale verso i suoi sottoposti,
sorprende anche loro. Semenchuk cerca di allontanarlo: in fondo il capitano effettivamente
non è bolscevico e forse il marinaio gli riconosce un certo senso dell’onore e
cerca di evitargli la fucilazione. Arten’ev gli rinfaccia di non averlo mai
capito ma il dubbio che Semenchuk cerchi di salvare la vita al suo superiore
che si è dimostrato degno di stima, nonostante le idee diverse, rimane. Ma i
tedeschi non colgono queste sfumature: se hanno deciso che il capitano non
verrà fucilato, non saranno queste schermaglie a fargli cambiare idea. Nel
volto di Arten’ev che si volta verso i propri compatrioti appena fucilati, lo
sguardo di chi riconosce la contraddizione degli eventi: i bolscevichi, contrari
alla guerra, erano morti per la patria; lui, fedele servitore dello Zar, era
stato risparmiato dai nemici.
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