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giovedì 21 settembre 2023

MARTHE RICHARD AU SERVICE DE LA FRANCE

1357_MARTHE RICHARD AU SERVICE DE LA FRANCE . Francia, 1937; Regia di Raymond Bernard.

Oggi Raymond Bernard è ricordato principalmente per Les Misérables (1934), considerato uno dei migliori adattamenti cinematografici dell’opera di Victor Hugo, e Le Croci di legno (1932), ottimo film ambientato durante la Grande Guerra. Successivamente tornò sul tema bellico, una prima volta nel 1937 con Marthe Richard au service de la France. Bernard di suo era un buon autore e anche in questo caso svolge egregiamente il suo lavoro; quello che, a vederlo oggi, penalizza anche eccessivamente il suo operato, è il ricorso a sequenze poco credibili per quel che concerne le scene d’azione bellica o di generica ambientazione. Negli anni 30 del XX secolo, forse, questi segmenti narrativi potevano anche non destare troppa attenzione ma ai giorni nostri sono difficilmente sopportabili. Anche per via del contrasto che si crea con le armoniose scene d’interni che Bernard era abilmente in grado di realizzare. E che purtroppo, in Marthe Richard au service de la France, si trovano appunto accostate a scene realizzate con modellini di sommergibile degni di un film di serie z o immagini di repertorio con la rozza grana della pellicola totalmente incongruente con il raffinato bianco e nero del racconto filmico vero e proprio. A dir la verità, qualche dubbio in più sulla sua capacità di comprendere l’importanza dell’armonia del film nel suo complesso sorge, guardando la sequenza finale nella quale Marthe (una sinuosa e suadente Edwige Feuillère) osserva l’attacco aereo alleato alla base dei sommergibili tedeschi. Al di là che è evidente l’uso di modellini per realizzare la scena, sembra infantile anche il concetto stesso che una ragazza possa salire su un promontorio per godersi un simile scontro bellico manco fosse a teatro. 

Tuttavia queste critiche non devono penalizzare eccessivamente il film, che quando si svolge in interni e vede la protagonista alle prese con il barone von Ludow (uno strepitoso Erich von Stroheim), attraversa momenti di pura eccellenza. La Feuillère era una vera e propria diva del cinema francese e la sua interpretazione della spia transalpina Marthe Richard è notevole: l’innata eleganza, il portamento, la nonchalance con cui gestisce la corte di un marpione come von Ludow, sono d’alta scuola. Ancora più convincente, se possibile, la prova di von Strohem, che qui recita la parte dell’aristocratico ufficiale tedesco della Grande Guerra, inflessibile nei modi ma dall’animo torbido, ruolo sulla cui falsariga tornerà in seguito nella carriera (già nello stesso anno nello strepitoso La Grande Illusione di Jean Renoir). Nel rapporto prima con Mata-Hari (Délia Col) e poi con Marthe, in tutti i siparietti che Bernard crea sullo schermo, il suo von Ludow è sempre misuratamente sopra le righe. Mata-Hari in questo film è relegata nel ruolo di ospite (è la rivale spodestata) ma, nonostante Délia Col non lasci particolarmente il segno, è comunque protagonista di un paio di scene interessanti che certificano anche la validità del lavoro in regia di Bernard. Nella sua prima apparizione, vediamo Mata-Hari infilarsi le calze di seta e farsi poi massaggiare un piede da von Ludow; quando la celebre spia si esibisce successivamente in una danza, scorge l’ufficiale tedesco flirtare al tavolo con Marthe e subito si indispettisce. 

Per reclamare l’attenzione dell’uomo finge significativamente di slogarsi una caviglia durante l’esibizione; von Ludow si precipita nel camerino ma viene sorpreso per l’immediata aggressione da parte della donna, pazza di gelosia. L’imperturbabile aristocratico risolverà la questione con un sonoro ceffone. Divertente anche la scena in cui l’uomo e Marthe stanno svolgendo una sorta di improvvisata gara di tiro con la pistola e la ragazza finge di voler mirare al cuore del barone, senza per altro scuoterlo eccessivamente. Notevole anche l’uscita di scena dell’aristocratico tedesco ma più di ogni altra cosa rimane nella mente un passaggio surreale e quasi comico, nel quale von Stroheim, a voler ben vedere, condensa la natura più profonda del tipico gerarca teutonico. A colazione, il barone von Ludow ha posto la sella del cavallo su uno sgabello e siede dondolandosi come stesse andando al trotto sul suo destriero (o più prosaicamente su un cavallo a dondolo), mentre dal grammofono suona un’adeguata marcia militare. A parte la spassosa scenetta, di questa natura bizzarra e infantile von Storheim permea adeguatamente il suo personaggio, che sembra sempre giocare, ad esempio con il suo interlocutore di turno con boccate di fumo che indirizza sapientemente ora sul volto ora solo vicino ad esso. Ma anche scendendo da una sedia nello stesso modo in cui smonta di sella dall’immaginario cavallo su cui suole far colazione, quando Marthe, che è effettivamente una spia francese, non sembra convincerlo fino in fondo. Quasi a ricordare, a quella ragazza che non sembra così docile da domare, che è pur sempre un cavaliere. Una ragazza bella e tosta, un po’ come fu la Francia per la Germania nella Prima Guerra Mondiale.  



Edwige Feuillère




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