1357_MARTHE RICHARD AU SERVICE DE LA FRANCE . Francia, 1937; Regia di Raymond Bernard.
Oggi Raymond Bernard è ricordato principalmente per Les Misérables (1934),
considerato uno dei migliori adattamenti cinematografici dell’opera di Victor
Hugo, e Le Croci di legno (1932), ottimo film ambientato durante la Grande
Guerra. Successivamente tornò sul tema bellico, una prima volta nel 1937
con Marthe Richard au service de la France. Bernard di suo era un buon
autore e anche in questo caso svolge egregiamente il suo lavoro; quello che, a
vederlo oggi, penalizza anche eccessivamente il suo operato, è il ricorso a
sequenze poco credibili per quel che concerne le scene d’azione bellica o di
generica ambientazione. Negli anni 30 del XX secolo, forse, questi segmenti
narrativi potevano anche non destare troppa attenzione ma ai giorni nostri sono
difficilmente sopportabili. Anche per via del contrasto che si crea con le armoniose
scene d’interni che Bernard era abilmente in grado di realizzare. E che purtroppo,
in Marthe Richard au service de la France, si trovano appunto accostate a
scene realizzate con modellini di sommergibile degni di un film di serie z
o immagini di repertorio con la rozza grana della pellicola totalmente
incongruente con il raffinato bianco e nero del racconto filmico vero e
proprio. A dir la verità, qualche dubbio in più sulla sua capacità di
comprendere l’importanza dell’armonia del film nel suo complesso sorge,
guardando la sequenza finale nella quale Marthe (una sinuosa e suadente Edwige
Feuillère) osserva l’attacco aereo alleato alla base dei sommergibili tedeschi.
Al di là che è evidente l’uso di modellini per realizzare la scena, sembra
infantile anche il concetto stesso che una ragazza possa salire su un
promontorio per godersi un simile scontro bellico manco fosse a teatro.
Tuttavia queste critiche non devono penalizzare eccessivamente il film, che
quando si svolge in interni e vede la protagonista alle prese con il barone von
Ludow (uno strepitoso Erich von Stroheim), attraversa momenti di pura
eccellenza. La Feuillère era una vera e propria diva del cinema francese e la
sua interpretazione della spia transalpina Marthe Richard è notevole: l’innata
eleganza, il portamento, la nonchalance con cui gestisce la corte di un
marpione come von Ludow, sono d’alta scuola. Ancora più convincente, se
possibile, la prova di von Strohem, che qui recita la parte dell’aristocratico ufficiale
tedesco della Grande Guerra, inflessibile nei modi ma dall’animo
torbido, ruolo sulla cui falsariga tornerà in seguito nella carriera (già nello
stesso anno nello strepitoso La Grande Illusione di Jean Renoir). Nel
rapporto prima con Mata-Hari (Délia Col) e poi con Marthe, in tutti i
siparietti che Bernard crea sullo schermo, il suo von Ludow è sempre
misuratamente sopra le righe. Mata-Hari in questo film è relegata nel ruolo di ospite
(è la rivale spodestata) ma, nonostante Délia Col non lasci particolarmente il
segno, è comunque protagonista di un paio di scene interessanti che certificano
anche la validità del lavoro in regia di Bernard. Nella sua prima apparizione,
vediamo Mata-Hari infilarsi le calze di seta e farsi poi massaggiare un piede
da von Ludow; quando la celebre spia si esibisce successivamente in una danza,
scorge l’ufficiale tedesco flirtare al tavolo con Marthe e subito si
indispettisce.
Per reclamare l’attenzione dell’uomo finge significativamente di
slogarsi una caviglia durante l’esibizione; von Ludow si precipita nel camerino
ma viene sorpreso per l’immediata aggressione da parte della donna, pazza di
gelosia. L’imperturbabile aristocratico risolverà la questione con un sonoro
ceffone. Divertente anche la scena in cui l’uomo e Marthe stanno svolgendo una
sorta di improvvisata gara di tiro con la pistola e la ragazza finge di voler
mirare al cuore del barone, senza per altro scuoterlo eccessivamente. Notevole
anche l’uscita di scena dell’aristocratico tedesco ma più di ogni altra cosa
rimane nella mente un passaggio surreale e quasi comico, nel quale von Stroheim,
a voler ben vedere, condensa la natura più profonda del tipico gerarca
teutonico. A colazione, il barone von Ludow ha posto la sella del cavallo su
uno sgabello e siede dondolandosi come stesse andando al trotto sul suo
destriero (o più prosaicamente su un cavallo a dondolo), mentre dal grammofono
suona un’adeguata marcia militare. A parte la spassosa scenetta, di questa
natura bizzarra e infantile von Storheim permea adeguatamente il suo
personaggio, che sembra sempre giocare, ad esempio con il suo interlocutore di
turno con boccate di fumo che indirizza sapientemente ora sul volto ora solo
vicino ad esso. Ma anche scendendo da una sedia nello stesso modo in cui smonta
di sella dall’immaginario cavallo su cui suole far colazione, quando Marthe,
che è effettivamente una spia francese, non sembra convincerlo fino in fondo.
Quasi a ricordare, a quella ragazza che non sembra così docile da domare, che è
pur sempre un cavaliere. Una ragazza bella e tosta, un po’ come fu la Francia
per la Germania nella Prima Guerra Mondiale.
Edwige Feuillère
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