1361_SENZA BANDIERA . Italia, 1951; Regia di Lionello De Felice.
Se lo consideriamo come film di spionaggio bellico, Senza bandiera è un onesto prodotto che, partendo da uno spunto storico, imbastisce un’avvincente storia avventurosa. Alla base del film d’esordio di Lionello De Felice c’è, infatti, il Colpo di Zurigo del 1917, un’azione nella quale l’intelligence italiana riuscì a debellare il centro operativo dello spionaggio austriaco per il belpaese. Com’è evidente, ci si riferisce ad un episodio della Grande Guerra che, in quel 1951, era in genere messa in secondo piano dal successivo conflitto mondiale che si era da poco concluso. Ma, fosse anche solo per legittimo amor proprio, è comprensibile che il cinema italiano andasse a guardare ad una guerra che ci aveva visto vittoriosi. È forse in questo aspetto, però, che si nascondono le insidie per Senza bandiera, film migliore della scarsa fama e visibilità che l’accompagna ancora oggi. A parte sparuti casi di Francesco De Robertis e Duilio Coletti, il cinema italiano ben raramente, dal dopoguerra in poi e per molti cruciali anni, frequenterà il tema bellico: e, a ben vedere, già questo fatto è un punto a favore per l’opera prima di De Felice. Ma, a dirla tutta, sono più interessanti alcune note di curiosità inerenti a Senza bandiera, sia per il caso specifico in sé che estendendo in un quadro generale le riflessioni indotte. Il punto saliente è che il soggetto del film di De Felice è opera di Luigi Freddi che figura anche come produttore. Freddi era stato un importante funzionario fascista durante il Ventennio e si era, ai tempi, esposto in prima persona in modo clamoroso, assumendo, tra le altre cose, il controllo della Direzione Generale della Cinematografia sotto il regime di Mussolini.
Proprio in quegli anni, fu uno dei fautori della costruzione di Cinecittà, della quale fu il primo direttore, in seguito aderì alla Repubblica Sociale e, quando, alla fine della guerra, venne prosciolto in sede processuale, venne però estromesso da qualunque carica istituzionale. Insomma, quando pochi anni dopo, lo ritroviamo artefice principale di un film bellico velatamente patriottico, dove la protagonista è la bella Vivi Gioi, la diva del cinema del Ventennio, la cosa fa storcere il naso a qualcuno. Qualcuno come Elsa Morante che, al tempo, dirigeva una rubrica radiofonica di critica cinematografica e bocciò il film di De Felice scorgendovi ‘nostalgie fasciste’. Da una parte, questo ci dice della difficoltà di evolversi per il nostro cinema d’azione che, appena si esaltava un poco, come era anche nelle corde del genere, poteva incorrere nell’accusa di rispolverare fantasmi neppure troppo antichi. Questo al netto delle legittime opinioni della Morante se il testo possa ritenersi fascista o meno; la discriminante è il passato dell’Italia, diversamente dovrebbero essere stroncati dei film angloamericani e non solo di genere bellico. E forse questo fardello è stato uno degli elementi decisivi – se non addirittura l’elemento – che castrò, in quei fondamentali anni, la dimensione avventurosa seria, del nostro cinema, che ebbe agio di svilupparsi in modo compiuto unicamente nella forma leggera, comico e commedia che fosse. Un aspetto ancora più inquietante furono però le pressioni che la Morante sostenne di aver subito dai funzionari Rai, che, in fin della fiera, evitarono di mandare in onda la sua scheda critica su Senza bandiera in quanto non favorevole al film. La nota giornalista troncò quindi così la sua carriera di critica radiofonica e l’Italia segnò una duplice sconfitta a referto. Una prima legata all’incapacità di gestire e superare il proprio passato storico in chiave artistica. Una seconda, e ben più grave, di non riuscirvi nemmeno nella reale vita quotidiana.
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