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martedì 19 settembre 2023

AMORE E MISTERO

1355_AMORE E MISTERO (Secret Agent). Regno Unito, 1936; Regia di Alfred Hitchcock.

In genere Segret Agent non è considerato uno dei migliori film di Alfred Hitchcock, nemmeno del suo periodo inglese. In Italia è addirittura stato editato con due titoli diversi, ma senza mai convincere troppo: Amore e mistero è l’alternativa al più rispettoso dell’originale L’agente segreto. Hitchcock negli anni si rammaricò che questo film non ebbe un adeguato successo, rimpiangendo che, forse, alcune buone idee nel soggetto non erano state sfruttate a dovere. Anche se, secondo il geniale regista inglese, a tarpare le ali ad Amore e mistero fu soprattutto il fatto che il protagonista, la spia inglese nota come Ashenden (John Gielgud), aveva un compito di cui non era convinto e che era sostanzialmente immorale. In qualità di spia in servizio durante la Prima Guerra Mondiale, Ashenden doveva infatti uccidere a sangue freddo un’agente del servizio segreto tedesco di cui doveva scoprire anche l’identità. Un compito inedito per l’uomo che, in precedenza, era stato un noto scrittore arruolatosi sotto le armi. Il soggetto, assemblato assemblando una commedia di Campbell Dixon e alcuni racconti di W. Somerset Maughan, sembra in effetti un po’ raffazzonato e non è precisamente un prodigio di scorrevolezza lineare. E sebbene il compito di una spia non sia certamente il massimo di quello che si può intendere in senso eroico, probabilmente non è tanto questo a non funzionare in Amore e mistero. Il pubblico può tranquillamente sostenere le sorti di un agente segreto, anche se spietato, purché la cosa sia iscritta all’interno di una narrazione adeguata. Ci sono film che hanno come protagonisti gangster e criminali figuriamoci se può essere un problema il fatto di essere una spia, in tempo di guerra, per giunta. 

In realtà il soggetto di Amore e mistero non è irresistibile, ma questo con Hitchcok in regia sarebbe ancora un problema secondario; il punto è che sembra che il regista non abbia avuto la giusta sintonia con l’opera. L’unica cosa che in parte funziona, ma nemmeno del tutto, è la conferma al centro della scena di Madeleine Carroll, già filmata con una particolare devozione da Hitch nel precedente Il club dei 39 (1935). Elsa, il suo personaggio, ha un comportamento altalenante ben poco coerente con troppe cambi di idea per poter essere seguito con trasporto dallo spettatore. In effetti una certa mutevolezza è il tema dominante dell’opera: lo stesso Ashenden ha una evidente repulsione per il suo incarico e su questi dilemmi doveva basarsi il senso del film. Come ci si deve comportare, ovvero, a fronte di situazioni che obblighino l’individuo a compiere azioni che in altri momenti siano da ritenere riprovevoli? 

Ma né la Carroll, un po’ troppo leggerina, né Gielgud, palesemente a disagio sul set, lui attore di teatro, riescono a dare spessore alle loro interpretazioni. Tantomeno ci riesce Robert Young nei panni del cattivo, la spia nemica Robert Marvin: tagliato fuori dal cuore dal triangolo amoroso, di cui è il lato debole, l’attore americano si limita ad una prestazione di maniera. Chi fa anche peggio, in un certo senso, è Peter Lorre: il grande attore di origine ungherese è trasformato da Hitchcock in una macchietta, il Generale, a cui vengono conferiti gli incarichi più odiosi del racconto in modo da lasciare l’animo del protagonista puro e immacolato in vista della conversione finale. 

Lorre si presta al gioco divertito e scorazza per il film importunando tutte le donne di gradevole aspetto che gli capitano a tiro e facendo fuori, da vero tagliagole, nemici veri o presunti. Forse è vero, come ipotizza Donald Spoto nel suo imprescindibile Il lato oscuro del genio (1999), che questa estrema mutevolezza nel comportamento dei caratteri della coppia di protagonisti dava una prima forma cinematografica alla personalità del regista. Quella stessa sorta di incoerenza che era riscontrabile nei suoi capolavori americani, la presenza di attrazione e repulsione nello stesso momento per la stessa cosa, che qui si rivelava quindi in un modo meno consapevole ma altrettanto genuino. Ma, anche volendo considerare questo aspetto, quello di cui si parla sarebbe un pregio indiretto, ossia più inerente allo studio dell’autore che del singolo testo che, nello specifico, è il film Amore e mistero. E che non può comunque dirsi pienamente riuscito come opera a sé stante, essendo il legame con l’intera cinematografia del regista troppo labile. Un po’ come il tentativo, presente nel racconto del film, di legittimare l’immorale azione dell’agente segreto Ashenden con le presunte conseguenze della sua missione, il successo alleato nella campagna del Sinai e della Palestina: ma non ditelo al generale Allenby.  




Madeleine Carroll 







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