1233_IL PLACIDO DON (Tichij Don). Unione Sovietica, 1957; Regia di Sergej Apollinarievič Gerasimov.
La seconda parte di Placido Don, opera monumentale di
Sergej Apollinarievič Gerasimov, comincia subito in quarta: 1916, siamo sul
fronte orientale, durante la Prima Guerra Mondiale. Persino tra i cosacchi
rintanati nel ricovero ufficiali della fangosa e umida trincea, tra il
malcontento per una guerra brutta, sporca e assai poco valorosa e il rimpianto
della steppa da cavalcare a suon di carica, sciabola alla mano, cominciano a
serpeggiare le idee rivoluzionarie. La tensione politica interna sovrasta
presto quella legata al conflitto militare mondiale, e continua ad alimentare
una violenza che, quando scoppierà, non sarà certo in tono minore, anzi. In
questo secondo capitolo non c’è spazio per i drammi ed intrighi sentimentali
che avevano inzuppato il precedente adattamento dell’omonimo romanzo di Michail
Aleksandrovič Šolochov. La guerra divampa da due parti: il fronte esterno,
quello orientale della Grande Guerra, è però storicamente destinato per i russi
ad esaurirsi presto. Ma forse anche peggio si rivelerà la guerra fratricida tra
Rossi e Bianchi, tra rivoluzionari bolscevichi e i restauratori
che cercheranno di mantenere in qualche modo l’ordine costituito anche alla
caduta dello Zar. Il racconto è avvincente, i protagonisti sono tutti
personaggi sopra le righe, sono cosacchi, che diamine, e non perdono mai
occasione per farlo notare a partire dal fragoroso linguaggio con cui
semplicemente si salutano o fanno un’ordinazione alla taverna. Al centro della
scena c’è sempre Grigorij Melechov (Petr Glebov), ora stimato e decorato
ufficiale cosacco, ma in modo meno prepotente che nel primo capitolo. Non è
solo il minor tempo a disposizione, a favore ad esempio del fratello Petr
(Nikolaj Smirnov), ma è soprattutto che Grigorij diventa un personaggio più
controverso, indeciso se aderire alla rivoluzione o rimanere fedele ai vecchi
schemi. In realtà non si capisce se decida in base ad una convenienza o
seguendo un’idea o una filosofia: e quando si esprime a favore dei bolscevichi,
lo fa perché gli sembra il destino inevitabile della Russia. Quando poi i
Bianchi sfoderano la controffensiva, è lesto ad accusare Podtelkov (Nikolai
Muravyov) di aver svenduto i cosacchi ai Rossi, ma è anche vero che rifiuta di
saccheggiare le case dei poveri che, dopo aver aderito alla rivoluzione, erano
finiti sotto la pesante repressione della restaurazione. Insomma, se nel primo
capitolo Grigorij non si era certo distino per rettitudine in campo
sentimentale, pur con un codice d’onore tutto personale si comporta certamente
meglio sul campo di battaglia. Sangue cosacco non mente.
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