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lunedì 6 marzo 2023

LEGIONY

1234_LEGIONY . Polonia, 2019. Regia di Dariusz Gajewski.

Eccellente esempio lì a dimostrare che il cinema per essere grandioso e coinvolgente non deve per forza essere hollywoodiano, Legiony di Dairusz Gajewski è un film a sfondo bellico che appassiona per tutti i suoi 140 minuti. Dal punto di vista della struttura, la trama è un mirabile intreccio tra l’avventura bellica, dai riferimenti essenziali rigorosamente storici, e il romanzo sentimentale incendiato, nonostante una certa freddezza caratteriale in questo campo dei personaggi coinvolti, da un tema tipicamente melodrammatico. Siamo in Polonia, durante la Prima Guerra Mondiale e i polacchi si uniscono al conflitto costituendo un loro esercito, le Legioni, affiancandosi agli imperi centrali (tedesco e austroungarico) per liberarsi dal giogo russo che dominava da decenni in quelle terre. Nel film, si diceva, ci si affida ad alcuni passaggi storici che sorreggono il canovaccio: eccezionale la resa scenica della carica degli Ulani a Rokitna nel giugno del 1915. Ottima anche la ricostruzione della situazione durante la battaglia di Kostiuchnòwka, nel luglio dell’anno successivo, con la guerra di trincea che aveva ormai preso maggiormente piede. Non mancano i personaggi storici: Jan Frycz è Józef Piłsudski mentre Miroslaw Baka è Stanisław Kaszubski, eroe nazionale polacco, sfruttato a dovere dal regista Dairusz Gajewski come simbolo della resistenza del suo paese anche all’interno del film. Ma a contendersi maggiormente la scena nel lungometraggio sono Josek Wieza (Sebastian Fabijanski), Tadeusz Zbarski (Bartosz Gelner) e Aleksandra Tubilewicz (Wiktoria Wolanska), che costituiscono il classico triangolo melodrammatico a cui si accennava prima. Josek, vero protagonista del film, è un disertore dell’esercito russo che sfugge d’un soffio all’impiccagione. 

E’ allo sbando, al punto di rubare un paio di scarpe e finire a fare il pelapatate pur di raggiungere l’agognata città di Lodz. Le circostanze (la reazione alla fortuita morte di una madre con figlioletto che si prende la pallottola a lui destinata sparata da un cecchino zarista) lo trasformano in un valoroso soldato polacco: quando la truppa vede che ha fatto fuori da solo i due russi appollaiati sul campanile, tra cui il tiratore scelto, viene arruolato per meriti sul campo. Tadeusz è un ulano, un cavaliere armato di sciabola, dal portamento nobile e destinato quasi per stirpe al ruolo dell’eroe, sia sul piano avventuroso che su quello sentimentale, della nostra storia. Aleksandra è la sua fidanzata ufficiale ma è anche una valorosa agente in borghese, in grado di far saltare addirittura un ponte custodito dai russi; in seguito si dedica al ruolo di infermiera. 

Le fasi successive alla bella azione del sabotaggio al ponte hanno un ruolo chiave nella vicenda sentimentale: Aleksandra è in fuga nella foresta, i russi le sono alle calcagna inferociti e hanno già catturato e ucciso l’altra ragazza del mini-commando femminile. Ma nemmeno la nostra eroina può avere scampo: a meno che arrivi il cavaliere a salvarla dalle grinfie dell’energumeno zarista. Sorpresa: il cavaliere, Tadeusz, è battuto sul tempo da Josek che, salvando la giovane, ha giusto il tempo di farci un pensierino prima che arrivi il legittimo fidanzato. Intendiamoci: non ci sono risvolti piccanti visto che, e questa è una grande dote del film, Legiony pur avvalendosi di una trama avvincente, si astiene da gratuiti eccessi in ogni direzione, sia essa erotica che cruenta. C’è, in effetti, qualche scena un po’ forte, siamo pur sempre in un film bellico, ad esempio durante la citata carica di Rokitna, dove gli effetti del mirabile uso delle sciabole dei cavalieri sono mostrati con particolare efficacia, ma stiamo abbondantemente al di sotto degli attuali standard. Sono invece molto toccanti, e molto forti, le immagini dell’impiccagione di Stanisław Kaszubski, con l’ufficiale zarista che, quasi mosso a compassione per il nemico, spara al corpo ancora sgambettante del giustiziato per dargli l’eterna pace. Ma prima di occuparci di questo pregevole intarsio narrativo, va chiusa la questione sentimentale: in effetti la sceneggiatura del film è ben intrecciata e le varie tracce si riannodano non lasciando mai rami in sospeso, confermando la qualità complessiva dell’opera. Il nostro eroe, Josek, nella sua indeterminatezza (come detto è un disertore russo assoldato dalla legione polacca, ma di più non si sa), sembra incarnare il vero simbolo della Polonia, una nazione che solo con grande impegno e fatica potrà ottenere lo status riconosciuto di paese libero. 


Quando, in seguito alla sanguinosa carica di Rokitna il suo rivale in amore, Tadeusz, compare nella lista dei caduti, il soldato avrà il suo spazio per conquistare il cuore di Aleksandra. Un tempo effimero: l’ulano tornerà a reclamare la sua donna che, come da prassi, sceglierà il nobile cavaliere. Che nobile si dimostrerà davvero, durante gli scontri a Kostiuchnòwka, lanciandosi volontariamente e senza preavviso in un’impresa suicida per riallacciare il cavo strappato del detonatore per far saltare la trincea-trappola destinata agli zaristi. Impresa che gli riesce, naturalmente ma, adesso, mentre giace ferito gravemente nella terra di nessuno, Tadeusz non ha possibilità di scamparla un’altra volta. Jozek, che l’aveva visto partire all’arrembaggio, sembra soppesare la possibilità di riprendersi Aleksandra, ora che l’ulano sembra davvero spacciato. 

Ma chissà, forse è piuttosto la sua coscienza che, come per tutte le persone normali e non eroiche di protocollo o ruolo, deve fare il suo lavoro e gli serve qualche momento: fatto sta che poi Jozek balza fuori dalla trincea e, sotto il fuoco nemico, riporta in salvo il rivale. Lieto fine amoroso per Aleksandra e l’amato Tadeusz ma Jozek ruba loro la scena nel bellissimo passaggio conclusivo. Gli zaristi, dopo aver impiccato Kaszubski l’avevano seppellito con infamia, senza alcun segno distintivo, calpestando la terra con gli zoccoli dei loro cavalli, in spregio e per cancellare ogni possibile traccia. Jozek, ferito nella fuga insieme al suo superiore, era nascosto e, una volta che i russi se n’erano andati, a costo di immani dolori, aveva posizionato un masso nel punto della sepoltura per avere un riferimento. Ora si reca a onorare la tomba di Kaszubski con una croce, accompagnato solo da un orfano con cui aveva sperato di formare una sorta di famiglia insieme ad Aleksandra. Invece la scena chiave del film vede in campo (finanche uno sottoterra) tre personaggi maschili, e già questo è un dato poco promettente. E poi sono tre personaggi non certo da prima pagina: il vecchio eroe Kaszubski, considerato dai russi disertore, Jozek, che disertore dell’esercito zarista lo era davvero, e il piccolo orfano, un ladro pidocchioso (nel senso letterale: oltre a rubare per sopravvivere, ha i pidocchi). Non è certamente molto ma la presenza di un bambino, l’unico nel film (e al cinema i giovanissimi hanno un forte senso simbolico), lascia quasi intendere che sia da qui che la Polonia debba ripartire per costituirsi un futuro. Insomma, una conclusione che sembra quindi inondare il tutto con una luce grosso modo positiva ma, a ricordarci che non è proprio così semplice, ci pensa la battuta più memorabile del film. Come detto, nella scena cruciale, il soldato polacco Jozek mette a repentaglio la sua vita per salvare quella di Tadeusz, agonizzante nella terra di nessuno tra le due trincee. Un ufficiale russo osserva la scena: sembra quasi ammirato di fronte a tanta nobiltà. Sono solo due soldati: nemici sì, ma moribondi. Ci si aspetta il classico e cavalleresco “cessate il fuoco!”, per dar tempo ai militari avversi di sgombrare il campo coi feriti. “Una bottiglia di vodka a chi li colpisce!” risuona: è l’ufficiale zarista rivolto ai suoi artiglieri che ci ricorda qual era il clima in trincea durante la Grande Guerra.   




Wiktoria Wolanska



Karolina Kominek 

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