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lunedì 20 marzo 2023

A CIASCUNO IL SUO

1243_A CIASCUNO IL SUO . Italia 1967. Regia di Elio Petri. 

Leonardo Sciascia, autore del libro A ciascuno il suo, temeva che nella trasposizione cinematografica venisse diluito il suo impegno sociale, il suo schierarsi apertamente contro la mafia e le sue collusioni con i poteri forti, politici e religiosi. Elio Petri tranquillizzò lo scrittore; il film, pur non potendo disporre della stessa libertà di un romanzo, ne avrebbe conservato lo sguardo critico. A vederlo oggi, sembra effettivamente così: è vero, il testo cinematografico non è altrettanto esplicito del romanzo ma forse coglie questo limite per farci vivere in prima persona le sensazioni del protagonista, il professor Laurana (Gian Maria Volonté). Petri ci mette nella condizione del protagonista: non riuscire a comprendere realmente la situazione avendo invece la convinzione di aver trovato il bandolo della matassa. E non è un’impresa facile, quella del regista, perché si tratta di fornire gli elementi in gioco ma anche di non metterli propriamente a fuoco. E quindi depistare, ingannare, confondere, forse anche illudere: lo spettatore è lì con Laurana e intorno a lui ci sono i veri pericoli, ma non solo non sono avvertiti, vengono perfino scambiati per possibili alleati. Il professore finisce addirittura per invaghirsi di Luisa (Irene Papas) e anche a noi la cosa sembra abbastanza plausibile: A ciascuno il suo è un film e Volonté e la Papas sono gli interpreti principali, del resto, normale che possano avere una storia. Ma A ciascuno il suo è soprattutto un film sulla mafia e allora faremmo bene a diffidare delle apparenze. E Petri, apparenze a parte, cerca in effetti di metterci in guardia: la sua regia è tutto tranne che ospitale. Ma quello della Macchina da Presa è lo sguardo di Laurana: si guarda in giro, osservando una realtà estranea e incomprensibile poi, qualcosa, cattura la sua attenzione sottolineata dalla violenta zoomata. Si scorge un particolare curioso, una nota stonata, si crede di capire. Ma non è un giallo o un poliziesco, A ciascuno il suo. E la mafia non è un’organizzazione criminale o almeno non solo; la Mafia è una trappola, un’enorme trappola che, con le sue ramificazioni arriva dovunque e non lascia alcuno scampo. Non lascia nemmeno il tempo per capire che sei già perduto. Forse è proprio questo il pregio migliore di A ciascuno il suo: manca il tempo di capire dove sta l’intrigo, nel film di Petri, che il protagonista è già spacciato. In un film sulla normale criminalità, anche nel caso di finale pessimista, si ha almeno la possibilità di comprendere la tragedia dell’eroe e del suo destino. Non in A ciascuno il suo in cui la sorpresa non è tanto di natura gialla, ma sociale. Il problema non è Luisa che è già l’amante di suo cugino l’avvocato Rosello (Gabriele Ferzetti) e con cui è in combutta; il punto è che tutta la comunità sembra invischiata nella rete mafiosa, a partire dalle autorità religiose fino a quelle politiche. E chi forse ne sta fuori, come il curato di Sant’Amo (Mario Scaccia), bada ai suoi affari che nell’esempio specifico non sono le pecorelle del suo gregge ma il traffico di opere d’arte religiose. Una critica durissima e fa quasi tenerezza leggere il commento di Petri quando l’uscita del film fu ritardata per il manifesto ritenuto sconveniente. Considerato la velocità con cui operò la censura, in un paese come l’Italia in genere non certo sollecito in nessun settore, il regista commentò “è perlomeno sospetto”. Sospetto, dice: stai a vedere che l’ingenuità di Laurana era una sfumatura autobiografica del regista. 







 Irene Papas 



 Galleria di manifesti






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