1247_LA TERRA (الأرض , Al-Ard). Egitto 1969. Regia di Youssef Chahine.
Tratto da un romanzo di Abdel Rahman al-Sharqawi, La terra di Youssef Chahine è un film che non riesce a raggiungere l’epicità promessa. Intendiamoci, il testo è ben strutturato, Chahine in regia sa il fatto suo e anche gli interpreti si disimpegnano bene. Ma il tema storico che viene messo in campo, il tormentato rapporto tra la terra egiziana e i suoi lavoratori, i contadini delle aree rurali, meriterebbe probabilmente un livello maggiore di epicità. I personaggi, anche il saggio Muhammad Abu Swelim (Mahmoud Al Meleji), forse il più carismatico del folto gruppo che si alterna sullo schermo, manca delle stigmate dell’eroe, una figura che un testo impostato come è La terra sembrerebbe richiedere. Il tentativo, almeno a livello schematico, c’è, in questo senso: sono sue le mani insanguinate che, nel finale, stringono la terra mentre il suo corpo straziato è trascinato dalla polizia a cavallo, versione più autoritaria della meno efficiente polizia a cammello vista in precedenza. La scena dà corpo visivo alla canzone che accompagna spesso il racconto, nella quale i contadini sono pronti a dare il proprio sangue per irrigare la terra e combattere così, metaforicamente, la siccità e chi la governa gestendo i tempi e i modi dell’irrigazione tramite i canali. Allo stesso tempo la tragica immagine riprende quella iniziale, dove lo stesso Abu Swelim accarezzava la terra e accudiva delicatamente una pianta di cotone. La ripetizione della scena non cristallizza quindi uno stato di immobilismo, come spesso succede al cinema, quanto un destino tragico e fatale. La scena finale, forte e potente, potrebbe anche riscattare il film, per la sua pregnanza di significato; ma nelle oltre due ore precedenti il racconto si è perso nei mille risvolti della situazione egiziana dell’epoca.
Certo, probabilmente con un certo rigore storico ma che non giova non tanto alla fruizione, perché il film resta sempre godibile, ma all’idea complessiva che veicola. Seguendo l’intenzione del suo capace autore, è assai probabile, ma il quadro risulta in definitiva poco incisivo e questo nuoce all’aspetto epico che poi le scene finali vorrebbero incarnare. Certo è che l’Egitto degli anni Trenta del XX secolo era un paese non semplice da descrivere: gli inglesi avevano formalmente riconosciuto l’autonomia della nazione africana ma non per questo avevano rinunciato alle proprie pesanti influenze. Di fatto questa situazione aveva visto raddoppiare i centri di comando, le figure autoritarie: i nuovi padroni locali facevano la voce grossa, legittimati dal rappresentare il nuovo potere, dal canto loro i britannici e i loro vassalli non mollavano tanto facilmente la presa. Non a caso ne La terra pullulano i personaggi che incarnano una qualche forma di autorità: c’è il sindaco (Abdel Warith Assir), il feudatario Mahmoud Bey (Ashraf El Selendar), e poi il Primo Ministro, lo sceriffo, i vari sceicchi anche se la potenza più rilevante sembra volutamente tenuta fuori campo. L’influenza inglese è infatti data da intendere più che mostrata, ma si può intuire già dal modo di presentarsi dell’unico vero borghese capitalista della storia, Mahmoud Bey, aspetto e abiti in stile occidentale, e dai suoi intenti. Il feudatario vuole eliminare i contadini, di qui la disposizione di dimezzare i giorni di irrigazione, per poter costruire una strada: dietro la promessa del progresso c’è l’interesse privato visto che l’infrastruttura favorirà sostanzialmente solo la sua magione. Questi aspetti sono i più interessanti del film, sia per la matrice storica che per la costruzione della narrazione. Quello in cui manca il film è nella vicenda privata messa in primo piano per creare la giusta empatia con gli spettatori. In questo la protagonista potrebbe essere Wasifa (Nagwa Ibrahim) ma l’Egitto del 1969 non sembra in grado di accettare una donna come figura centrale di un film – e forse nemmeno Chahine, purtroppo. Di fatto la figlia di Abu Swelim è davvero intrigante solamente nel curioso incipit ma, nello scorrere della storia, non fa altro che affacciarsi sulle vicende senza imprimere mai veramente la sua impronta.
Anzi, se proprio vogliamo vedere si segnala per un infelice passaggio quando, per difendere il padre, non esita ad accusare il presunto o presumibile promesso sposo, Abd El Hadi (Ezzat El Alaili). Questi, da parte sua, prova ad incarnare lo spirito ribelle dei contadini, ad esempio quando apre le chiuse dell’irrigazione senza permesso, di qui l’accusa che coinvolge però tutti i contadini, ma gli si può riconoscere giusto un carattere indomito ma ben poco carisma. A certificare questo è proprio la traccia romantica: tanto Abu Swelim che mai gli risponde affermativamente alle ripetute richieste della mano di Wasifa, che la stessa ragazza che si limita a contemplarlo, sembrano mai prenderlo davvero in considerazione. E non è che sia una questione culturale o caratteriale della giovane perché nel citato bizzarro incipit è addirittura lei a prendere una focosa iniziativa sessuale.
Proprio il segmento narrativo iniziale lascia piuttosto perplessi e può fungere da cartina tornasole dell’intero film: un ragazzino (Muhammad Al Saqqa) ritorna al paese dopo aver finito le scuole elementari al Cairo. E’ benestante, ovviamente, oltre al fatto di recarsi per l’istruzione nella capitale la cosa è simboleggiata dall’arrivo in carrozza trainata da cavalli. Ad aspettarlo trova Wasifa, ragazza che non è certo suo coetanea; lui ha una decina d’anni, lei è una giovane ormai formata. Eppure la storia insiste su una loro precedente intesa, anche piccante in un qualche senso, finché Wasifa prende l’iniziativa nonostante l’evidente imbarazzo del ragazzino. A questo punto il giovinetto fa giusto una sporadica apparizione mentre prende lezioni dal maestro del paese, Mohammad Effendi (Hamdy Ahmed) e poi sparisce dalla storia, seppure manchi ancora un’ora e mezzo abbondante di film. Proprio Mohammad Effendi è un altro personaggio a metà: dovrebbe incendiare la traccia melodrammatica insediando Abd El Hadi nel cuore di Wasifa, ma rimane sostanzialmente alla finestra. Prova, allora, in qualità di personaggio istruito del villaggio, a farsi portavoce delle istanze dei suoi compaesani presso l’autorità politica ma anche in questo caso non sortisce alcun risultato positivo. In effetti, in un dialogo del film, viene sottolineato che i giovani non sembrino in grado di prendere le redini del paese e, a conferma di ciò, il sacrificio finale, che avrebbe voluto essere eroico, ricade sulle spalle dell’attempato Abu Swelim. In sostanza, quello che rimane de La terra è che l’Egitto, come stato, come nazione, come terra, appunto, al momento cruciale della sua Storia moderna non si farà trovare pronto. Gli individui della generazione adatta, uomini e donne giovani e forti, sono personaggi inconcludenti. E non sono in previsione sviluppi positivi. Il futuro, incarnato dal ragazzino, è altresì ancora più impreparato e destinato a sparire presto di scena. Al paese non resta che attaccarsi alla vecchia guardia, disposta anche al sacrificio per la propria terra, per la propria identità di popolo. Un sacrificio che, almeno nei termini mostrati da La terra, sembra purtroppo inutile.
Nagwa Ibrahim
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