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venerdì 3 marzo 2023

SOBBORGHI

1231_SOBBORGHI (Окра́ина, Okraina)Unione Sovietica, 1933; Regia di Boris Vasil'evič Barnet.

Capolavoro e al contempo notevole esempio della qualità della cinematografia sovietica del tempo, Sobborghi è il primo film sonoro di Boris Vasil'evič Barnet. Che, oltre ad un film bellissimo, sforna subito una sequenza da spellarsi le mani proprio mostrando la sua genialità nell’uso di quell’innovazione tecnica. La scena folgorante arriva dopo una serie di passaggi quantomeno interessanti: dopo l’apertura delle ostilità “in un angolo sperduto della Russia” arrivano un buon numero di prigionieri tedeschi: con la proverbiale pragmatica le autorità russe invitano i prigionieri a trovarsi il modo di guadarsi la pagnotta, gli sarà concesso infatti un orario di libera uscita. Muller III (Hans Klering), il giovane soldato tedesco, ha trovato servizio come calzolaio presso Pyotr (Aleksandr Christyakov) quando arrivano le prime tragiche lettere dal fronte. Il figlio minore di Pyotr è morto; tra l’altro in una straziante scena in cui il ragazzo viene letteralmente travolto dalla paura e fa di tutto per non partecipare all’assalto ma viene spinto a viva forza oltre la trincea, finendo subito falciato dalle micidiali mitragliatrici tedesche. Muller III non conosce il contenuto della lettera e, felice dell’impiego ottenuto, continua il suo lavoro mettendosi addirittura a cantare. Pyotr lo zittisce e lo scaccia ma proprio in quella entra nel locale un ex combattente, un decorato mutilato di guerra, e dietro di lui tre brutti ceffi. Il vecchio male in arnese suona la carica: i tre danno addosso al tedesco. Qui il colpo di genio, siamo nel 1933, giova ricordarlo, e Barnet, quasi un Tarantino ante litteram, fa partire a tutto spiano un tema musicale, una marcia della banda, che fa da spiazzante contrasto con la crudezza delle immagini e la miseria umana mostrata. 

Il pestaggio è infatti furibondo. Buon per il ragazzo che arriva la bella Manka (Yelena Kuzmina), che aveva avuto già un’intesa con lui, e riesce a salvarle la vita. A quel punto, anche Pyotr, che è  comunque padre di due ragazzi come quello ora a terra, si ravvede; in fondo anche il tedesco è un ciabattino, proprio come loro. C’è quindi un accenno alla fratellanza tra lavoratori potremmo dire di tipo internazionale più che all’umana solidarietà; resta però il fatto concreto che l’azione decisiva sia stata dettata dalle ragioni di cuore a Manka e quindi, anche volendo leggervi una sponda socialista in questo passaggio, va sempre messa dopo il tema prevalente su ogni altro, quello dell’amore

Se la messa in scena di questa sequenza appare particolarmente moderna, il film nel complesso regge ancora sontuosamente l’urto degli anni passati e si lascia vedere con interesse e senza particolari difficoltà. Il lavoro di Barnet è sopraffino: la tragedia della guerra si insinua lentamente, le prime scene di trincea sono relativamente tranquille, al netto di qualche colpo di artiglieria. Poi le cose si complicano, le esplosioni si moltiplicano e la terra proiettata in alto ricade copiosa dovunque, e questo quando va bene. Poi cominciano gli assalti alla baionetta, ovviamente catastrofici, essendo le postazioni tedesche proverbialmente difese in modo esemplare. Ma il regista non trascura il contesto: il film in originale si intitola Окра́ина che significa margine e meglio del termine Sobborghi, come venne tradotto nell’edizione italiana, indica che ci troviamo in una terra di confine. Del resto la citata didascalia introduttiva ce lo conferma, quando ci informa che ci si trova in un angolo sperduto della nazione. Prima dello scoppio della guerra la situazione economica non è delle migliori, come prevedibile, ma ci si arrangia: Nikolai Gadkin (Nikolay Bogolyubov) e suo fratello minore Senka (Nikolay Kryuchkov) lavorano come il padre Pyotr, in una fabbrica di scarpe. Aleksandr Petrovič Grešin (Sergej Komarov), insieme alla figlia Manka, tiene a pensione Robert (Robert Erdman), un tedesco, con il quale il padrone di casa gioca continuamente a dama. Intanto nel paese ci sono scioperi brutalmente repressi dalla polizia zarista a cavallo. Nikolai è uno tra gli attivisti più intraprendenti ma è anche quello che si lascia convincere per primo dalla retorica del rappresentante sindacale che esorta i lavoratori a interrompere lo sciopero per arruolarsi. Barnet ha sempre voglia di tenere desta l’attenzione degli spettatori con dettagli spassosi così, mentre l’oratore infiamma di ardore patriottico i cuori dei lavoratori che ascoltano rapiti le sue parole, al suo fianco un anziano illustre rappresentante delle istituzioni, in abito elegante e cappello a tuba, non riesce a tenere gli occhi aperti. 

Il regista inserisce numerose scenette umoristiche, ad alleggerire i toni, alcune sarcastiche come questa e altre prettamente gustose, come la gag ripetuta della panchina che si ribalta con protagonisti Manka e Muller III. Ma Barnet utilizza l’umorismo in modo sapiente per legare gli snodi della vicenda, così il rumore provocato dal ribaltamento della panca, nella seconda delle citate scenette comiche, sveglia Aleksandr Petrovič che si rende protagonista di un gioco di parole sul nome con cui gli viene presentato il nuovo arrivato, quel Muller III a cui, in ogni caso, l’uomo intima di sloggiare. La scena più simpatica sembra un vero nonsense ed è posta all’inizio del lungometraggio quasi a voler mostrare le potenzialità del sonoro, ed è quella del cavallo. Al paese arriva e si ferma una carrozza, il conducente è stremato dal viaggio, lo vediamo sbuffare; poi la macchina da presa scende ed inquadra il cavallo, anch’esso in chiaro affanno. Poi l’animale scuote il muso come cercando un po’ di saliva per riprendersi un po’ e, contemporaneamente, si sentono le prime parole del lungometraggio “oh Signore! Signore!”. Per un attimo, sembra che il cavallo abbia parlato! Poi ci si rende conto che la voce è quella del vetturino ma possiamo notare la brillante onestà di Barnet che comincia la sua avventura col cinema sonoro mettendo in guardia i suoi spettatori dai possibili effetti collaterali, praticamente inganni, della nuova tecnica. Ricordiamo che il cinema è finzione, quindi è di fatto l’arte dell’inganno per definizione finanche, in qualità di espressione artistica, può assurgere a verità. Tuttavia l’importanza di Sobborghi non è per questi sfiziosi aspetti dell’opera ma è generalmente attribuita alle fasi finali quando, alla caduta del regime zarista, tutti si aspettano la fine delle ostilità. Anche qui, da sbellicarsi l’arrivo della notizia in trincea. 

Un militare (Mikhail Yanshin) scende in trincea e annuncia, cercando di dare un minimo di enfasi (senza, per la verità, troppo trasporto): “Ora governerà la Duma!” Nessuno lo degna di risposta. “Del popolo”, specifica il soldato cercando di essere più convincente. Niente. La Duma la chiude lì cercando di far capire che mica è colpa sua. Ma non è certo questo pur splendido e spassoso passaggio il motivo della fama di Sobborghi, ma è la più simbolicamente esplicita resa dei militari, capeggiati da Nicolai, che si accordano coi tedeschi per piantarla con una guerra che, caduto lo Zar e i suoi tirapiedi, non interessava più a nessuno. Almeno così pensavano al fronte; sbagliando di grosso. Perché proprio il padrone della fabbrica di scarpe dove lavoravano i Gadkin ha stretto un accordo per una fornitura di stivali con l’esercito, e come lui evidentemente molti altri industriali in svariati settori e, per questi signori, la fine delle ostilità significherebbe fine dei copiosi guadagni. Qui Barnet abbandona lo stile raffinato e si affida alla tecnica di un montaggio serrato alternando le scene dei meccanismi dell’artiglieria a quelli dei nuovi macchinari installati per aumentare la produzione nella fabbrica di scarpe. La guerra come industria che produce profitto: un brutale ma efficace concetto cinematografico. Le autorità provvisorie decidono prontamente di condannare a morte i fautori dell’ignobile resa: Nikolai viene fucilato ma morente, trova il tempo di scherzare con il suo compagno d’armi (quello interpretato da Mikhail Yanshin), mentre Barnet ci congeda con una vivace marcia militare. Capolavoro.   







Yelena Kuzmina 




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