1236_THE RIFLEMAN aka BLIZZARD OF SOULS. Lettonia, 2019. Regia di Dzintars Dreibergs.
Tratto da un romanzo di Aleksandrs Grins, in cui lo scrittore lettone raccontava della sua esperienza come fuciliere nella Prima Guerra Mondiale, Blizzard of souls, film del 2019 di Dzintars Dreibergs, è certamente un’opera interessante. Nel suo adattamento per il grande schermo Dreibergs avrà presumibilmente dovuto fare una sorta di selezione tra i fatti narrati e, forse, questo lascia qualche punto oscuro nello svolgersi degli eventi allo spettatore che non conosca le traversie della Lettonia durante il periodo storico in questione. Tuttavia sarà la curiosità di conoscere l’inedito punto di vista lettone sulla vicenda o la forza evocativa e suggestiva delle immagini o anche solo il fascino ineludibile della Grande Guerra ma Blizzard of souls riesce nell’intento di conquistarlo, quello spettatore. Non è un capolavoro, questo no, perché manca un po’ di profondità, di un approccio evoluto e aggiornato all’argomento ma, pur avvicinandosi al tema della Prima Guerra Mondiale con una forma di ingenuo patriottismo che sembra un po’ superato, Dreibergs riesce a trasmettere la sincerità d’intenti della sua storia. Che è un po’ la Storia di un intero popolo, quello lettone, che in fondo non ha avuto finora tutte queste ribalte internazionali. Lo stesso Blizzard of souls, pur essendo stato presentato agli Academy Awards 2020 come rappresentante lettone alla categoria miglior film straniero, non è stato poi selezionato per la corsa all’Oscar, nonostante una confezione formale che può tranquillamente rivaleggiare coi blockbuster americani. C’è probabilmente una sorta di necessità da parte del popolo lettone di far sentire la propria voce, di raccontare al mondo del suo contributo ad un evento tragico che ha sicuramente segnato in modo indelebile anche il vivere contemporaneo. In questo senso, la vicenda tragica del giovanissimo Arturs Vanags (Oto Brantevics), a cui vengono ammazzati, nel corso del film, madre, padre e fratello, assolve benissimo al compito. Le critiche alla non particolare capacità interpretativa di Brantevics sono naturalmente legittime ma, probabilmente, erano messe in conto da Dreibergs a cui serviva un attore senza esperienza proprio per dare l’idea di estremo spaesamento che traspare dalla figura del fuciliere protagonista. Del resto se è vero che Oto Brantevics non sembra propriamente all’altezza di un film che si presenta confezionato come una pellicola mainstream di Hollywood, è anche vero che il personaggio Artus non dovrebbe essere arruolato, visto i diciassette anni, ed è solo grazie all’influenza del padre, il veterano sergente maggiore Vanags (Martins Vilsons), che viene iscritto alle ostilità.
E il padre, al contrario, sarebbe troppo anziano, e viene accettato nell’esercito solo perché è uno stimato e riconosciuto valoroso combattente: come dire che i lettoni non avrebbero dovuto partecipare a quella guerra, se quasi nessuno dei protagonisti del film aveva i requisiti richiesti. C’è persino la tiritera del soldato che ha gli stivali troppo piccoli (il film ci ritorna sopra più volte), sottolineatura ironica di come i lettoni non avrebbero dovuto entrarci nella vicenda visto che non c’erano nemmeno le scarpe adeguate. In effetti il racconto evidenzia come con i russi, alleati sul fronte orientale, non ci sia poi tutta questa collaborazione e i soldati baltici furono coinvolti per fare il lavoro sporco ma non adeguatamente supportati quando ne ebbero necessità.
Peraltro, la fase degli scontri sul fronte orientale durante la Grande Guerra, con l’istituzione del corpo militare dei fucilieri lettoni per dar man forte alle truppe zariste e scacciare i tedeschi, costituisce il grosso del film oltre che la parte più comprensibile degli eventi narrati. Siamo nel 1916, i tedeschi sono arrivati fino in Lettonia, all’epoca facente parte dell’Impero Russo, ed è tutto interesse degli abitanti locali sloggiare i nuovi invasori. La scena dei soldati tedeschi che uccidono per errore la madre di Arturs, colpita da un militare indispettito dal continuo abbaiare del cane di casa Vanags, è la molla che spinge anche il giovanissimo ragazzo ad arruolarsi. Dopo un rapido addestramento, si entra nel vivo della battaglia, gli scontri sono cruenti e i fucilieri fanno valere la conoscenza dei luoghi per rintuzzare l’avanzata degli uomini del kaiser. Da un punto di vista scenico il film è notevole e fin qui regge anche la trama storica a cui stanno aggrappati gli eventi in primo piano, con la vicenda sentimentale tra Arturs e l’infermiera Martha (Greta Trusina) a dare un po’ di calore affettivo al racconto. Poi, quando in Russia cade lo zar, si fatica a raccapezzarsi un po’: se i tedeschi lasciano progressivamente il campo, i russi sono ora divisi tra bolscevichi e controrivoluzionari mentre i lettoni chiedono maggiore autonomia, con la presenza estone che non è del tutto chiarita.
Come detto, il film è una riduzione da un romanzo e su tanti passaggi non indugia nelle spiegazioni, a fronte di una situazione non facilmente comprensibile a chi non abbia già conoscenze della storia del paese baltico. In questo senso, forse giova allo spettacolo, nel complesso, la mano leggera del racconto, questo suo non approfondire più di tanto, anche perché essere esaustivi su un tema così articolato non sarebbe semplice nella tempistica prevista al cinema. Un approccio un po’ infantile, se vogliamo, invocato dallo stesso racconto: dai fucili in legno con cui i soldati lettoni si addestrano, che ricordano le armi giocattolo dei bambini o anche dallo stupore di Arturs nel vedere un aeroplano, cosa ribadita dal fratello Edgars (Raimonds Celms) nel momento dell’incontro dei due giovani con un paio di ragazze di facili costumi. E in quest’ottica rientra pure il pudore del protagonista allorché si trovi alle prese con una di queste intraprendenti signorine. Con questa stessa leggerezza, il regista mostra la crudezza della Grande Guerra, riuscendo in una rappresentazione a suo modo lirica e sorvolando le beghe politiche senza entrare troppo nei contorti dettagli della Storia della Lettonia del periodo. In ogni caso la scena con Arturs che si rifiuta di giustiziare l’ex commilitone, ora accusato di essere un antirivoluzionario, è facilmente riconducibile ai tanti esempi già visti nella guerra civile russa post rivoluzione d’ottobre. Pertanto, per ulteriori approfondimenti ci si può sempre rivolgere ad un buon libro di Storia; per quel che riguarda Blizzard of souls è un film bellico dal bilancio certamente più che positivo, oltretutto da un punto di vista originale e inconsueto.
Greta Tusina
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