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martedì 17 gennaio 2023

RIO BRAVO

1203_RIO BRAVO (Rio Grande). Stati Uniti 1950; Regia di John Ford.

Terzo film in tre anni dedicato da John Ford alla cavalleria americana, Rio Bravo è forse quello in cui il regista esprime definitivamente e più chiaramente il suo punto di vista sul corpo militare che meglio rappresenta la Conquista del West. Se nei precedenti Il massacro di Fort Apache e I cavalieri del nord-ovest aveva lasciato intendere che la cavalleria fosse per il soldato una sorta di famiglia, qui mette in evidente competizione la basilare istituzione della società umana con il corpo militare in questione. Nello specifico la disputa si snoda attorno alla famiglia del colonnello Yorke (John Wayne), comandante di un avamposto presso il confine messicano. Tra le nuove reclute, infatti, in questa guarnigione arriva il figlio del colonnello, Jefferson (Claude Jarman Jr), seguito a ruota da sua madre Kathleen (Maureen O’hara). La famiglia Yorke si ritrova così riunita in pieno territorio ostile, dopo un lunghissimo periodo di separazione (15 anni); Ford è bravo a lasciar intendere i trascorsi senza dilungarsi in troppi dettagli. Comunque pare che, in un’azione militare della precedente guerra, quella civile, proprio il colonnello nordista Yorke fu incaricato di bruciare la sua stessa casa, o meglio, quella che era la magione di sua moglie, ricca possidente sudista. Il militare obbedirà ai suoi doveri: una scelta che pagherà amaramente in termini di armonia famigliare. La contrapposizione tra cavalleria e famiglia privata è così esplicitata nel passato dei due protagonisti, e viene riproposta ora che la donna giunge appositamente all’avamposto per chiedere al marito di congedare il figlio. 

Tra l’affetto paterno che lo spingerebbe ad accettare la proposta della moglie e il dovere militare di indurre il soldato a mantenere fede al giuramento, non c’è partita e, via via nella pellicola, anche una testarda Kathleen Yorke dovrà accettare il fatto. Che il film sia una sorta di prova di forza tra due classiche istituzioni americane come l’esercito (la cavalleria) e la famiglia, ce lo dice anche la struttura del film, che è circolare e non porta in sostanza da nessuna parte. Difficile prendere posizione, insomma, eppure i rapporti di importanza tra questi elementi vanno trovati. Il film è divertente ed appassionante, del resto è un western di John Ford e questo vale come assoluta garanzia. Come ogni classico è importantissimo il commento sonoro: ballate, marcette e canzoni sostengono la narrazione. Non manca nemmeno l’aspetto umoristico di cui si incarica prevalentemente il sergente Quincannon (uno strepitoso Victor McLaglen). 

Il racconto comincia con l’arrivo dei cavalleggeri al campo: i soldati sfilano quasi in parata, di fronte alle donne che li attendono e, pur se logori e sporchi dalla missione, appaiano eroici e marziali. Nel finale, c’è un altro ritorno simile e stavolta c’è anche la donna del colonnello Yorke in trepida attesa sia per il figlio che per il marito: assicuratasi che il figlio stia bene – precedenza alla preoccupazione materna – affiancherà il marito ferito trainato da una improvvisata barella, tenendole la mano e, al contempo, marciando con lui. Accettando, in un certo senso, la priorità dell’esercito sulla famiglia. L’esercito – d’accordo, qui c'è la cavalleria ma che dell’esercito ne è l’espressione in un ambito cruciale, ovvero durante la nascita della nazione americana – per Ford rappresenta il senso del dovere, ed è superiore ad ogni cosa. Alla famiglia ma anche alla Legge, con il colonnello Yorke che accetta quasi con piacere di violare i confini col Messico se a chiederlo è il suo generale. La cavalleria rappresenta ciò che è giusto, ciò che serve alla collettività, perché pacifica la regione e ne permette lo sviluppo: non a caso la missione che viene mostrata è il salvataggio di bambini, ovvero del futuro della società. Ford quindi non esalta tanto l’aspetto militare della cavalleria ma, confrontandola con la famiglia, vuole dire che il senso del dovere sociale è più importante della propria individualità, che per natura tenderebbe a privilegiare i propri affetti. 

Nei precedenti film, l’accostamento tra cavalleria e modello famigliare era giocato sulla similitudine: il corpo militare era mostrato come una sorta di famiglia, con la solidarietà ma anche gli scherzi, i momenti di vita quotidiana. Questo aspetto non viene perduto da Rio Bravo, come detto anche qui c’è il sergente Quincannon, sorta di vecchio zio brontolone ma dal cuore d’oro. Se in precedenza Ford aveva preso il modello famigliare come riferimento, con Rio Bravo sposta il confine un po’ più in là. La cavalleria è come la famiglia, ma più importante perché è una famiglia a livello sociale, nazionale e non individuale o parentale. Il Corpo della Cavalleria soddisfa proprio il criterio di estendere e consolidare il senso di appartenenza nazionale, necessario all’America sia come Nazione crescente e forse anche per dissipare i residui della Guerra Civile che il regista non manca mai di ricordare. Particolare è l’approccio che il regista ha per quella che da noi è conosciuta come Guerra di Secessione, perché il suo avvicinarvisi non ha quasi nulla di storico ma è marcato da una nostalgia un po’ di maniera. Si tratta forse di un approccio strumentale, ovvero Ford prende il decantato modello sudista, alla guisa di una sorta di aureo passato che gli Stati Uniti storicamente non hanno ma che serve per imbastire il suo racconto epico. Anche gli indiani sono qui utilizzati dal regista americano in questo modo, come già aveva fatto in Ombre Rosse. In queste pellicole i nativi non hanno connotazioni o motivazioni storiche ma rappresentano unicamente una forza ostile alla nascita della Nazione; sono narrativamente utilizzati meramente come ostacolo naturale per la Conquista del West, come può esserlo un fiume impetuoso da guadare o un passo innevato sulle Montagne Rocciose. In altri film Ford ha dimostrato di conoscere molto bene la questione indiana, ad esempio nel discorso di Cochise ne Il massacro di Fort Apache, che fu il primo dei tre film fordiani sulla cavalleria e perciò precedente a Rio Bravo. E’ curioso, quindi, che il regista abbia poi deciso di lasciar perdere quell’approccio storico più rispettoso del destino capitato ai pellerossa, privilegiando in alcuni dei successivi film, altri aspetti.
Ma forse questo lo può pensare un europeo; un americano come John Ford ha un’indole più pratica e, tra il parlare di un enorme ingiustizia ormai passata alla Storia e tentare di forgiare un popolo che abbia un forte senso del dovere, propende per la seconda opzione.
Avrà peraltro modo di farsi venire qualche dubbio. 









Maureen O'Hara





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