1213_I GIOCHI DEL DIAVOLO: LA MANO INDEMONIATA . Italia, 1981; Regia di Marcello Aliprandi.
17 giugno 1981. A volte si usa prendere una data precisa per sancire la fine di un’epoca, anche solo a modo simbolico. Si pensi a Odoacre che depose l’ultimo imperatore, Romolo Augusto, per sancire la caduta dell’Impero Romano d’Occidente oppure alla scoperta dell’America che chiuse il Medioevo. Come detto si tratta di riferimenti presi simbolicamente: allo stesso modo possiamo prendere la data di messa in onda di La mano indemoniata come fine dell’era gloriosa degli sceneggiati Rai. Il film televisivo di Marcello Aliprandi faceva parte del ciclo I giochi del Diavolo, ovvero Storie fantastiche dell’Ottocento come chiarito dal sottotitolo. In quegli anni, a cavallo dei Settanta e Ottanta, la Rai aveva messo in cantiere numerosi cicli di film con argomenti fantastici, in genere con risultati sempre lusinghieri. A dare un punto d’appoggio privilegiato erano già i soggetti letterari scelti per le trasposizioni e, per non perdere questo vantaggio, per I giochi del Diavolo viene ingaggiato Italo Calvino come consulente alla selezione dei soggetti. Nello specifico La mano indemoniata è tratta da un racconto di Gérard de Nerval, scrittore francese poco noto appartenente alla corrente del romanticismo ottocentesco. E fin qui, tutto bene, perché una nota di merito dell’emittente nazionale in queste sue produzioni era anche quella di far conoscere autori meno noti affiancandoli alle trasposizioni dei più grandi della letteratura. A mandare all’aria tutto quanto, e a rendere manifesta la fine di quel lungo e fecondo periodo della televisione italiana, sono gli interpreti chiamati per i ruoli principali di questo sceneggiato. Cochi Ponzoni (è Eustachio), Veronica Lario (sua moglie Javotte) e Massimo Boldi (l’archibugiere Giuseppe) sono letteralmente disastrosi. In genere, negli sceneggiati gli attori di stampo teatrale ingaggiati dalla Rai, smorzavano la loro verve interpretativa, pur lasciandola ben presente. Serviva un equilibrio: non si era a teatro, qui il mezzo televisivo comunque aiutava, però bisognava pur compensare la mancanza dei set e delle location cinematografiche a cui il pubblico si era ormai abituato. Gli eccezionali interpreti trovarono presto la giusta misura contribuendo in modo consistente alla funzionalità dei lavori prodotti. Ponzoni, Lario e Boldi quell’equilibrio non lo troveranno mai: alzando il tono di voce, come si può fare nei teatri per farsi sentire fino all’ultima fila della platea, provano a mascherare le carenze interpretative. Sorprende, in questo senso Ponzoni, che non riesce ad uscire dal suo cliché cabarettistico; stupisce anche Boldi, che fa peggio di quanto prevedibile, chiamato ad una prova più impegnativa rispetto a cinema e Tv. Delude in modo totale anche Veronica Lario che non riesce neppure ad essere un utile abbellimento di scena. Insomma, in queste condizioni, difficile salvare qualcosa.
Veronica Lario
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